Vivere #senza #Facebook: la Papa Nuova Guinea che ci prova

Francesca Pierantozzi, (Messaggero, 31/5/18)

Sarà come una campagna nazionale di disintossicazione, un vaccino lungo un mese, un black-out di Stato: niente Facebook per trenta giorni e vediamo come va. La ricetta è firmata dal ministro della Comunicazione della Papua Nuova Guinea Sam Basil, che ha chiesto ai suoi 6 milioni e mezzo di concittadini di prepararsi, che tra poco (la data non è stata ancora fissata) staccherà la spina. Inutile svegliarsi la mattina per verificare i like ricevuti, commentare, aggiornare e postare: tutti a riposo, in quarantena social. L’iniziativa è inedita. Finora si erano visti solo paesi censurare senza se e senza ma il media di Zuckerberg, come la Cina o la Nord Corea, e altri calare il sipario a singhiozzo, nei momenti più delicati, magari alla vigilia di un’elezione o in periodi di fervore sociale, come in Turchia, Iran, Vietnam, Sri Lanka o Bangladesh. Mai però un paese aveva prescritto una cura alla sua popolazione. «Un mese è una durata interessante per immaginare un divieto di questo tipo» ha commentato al Guardian Aim Sinpeng, esperta in media e politiche digitali all’Università di Sydney.

IL LABORATORIO

Papua è il laboratorio perfetto per un esperimento di #deletefacebook su scala nazionale: è un paese piccolo con una bassa digitalizzazione (intorno al 20 per cento), caratteristiche che rendono più improbabile una generale crisi d’astinenza della cittadinanza difficile da gestire. Il ministro ha cercato di indorare la pillola. Non si tratta di una punizione, né tantomeno di una censura, ma di una cura d’urto, in vista magari di una migliore igiene di vita in futuro. «Questo blocco consentirà al ministero e all’Istituto nazionale della Ricerca di condurre studi su come i social sono utilizzati» ha spiegato Sam Basil. Meglio ancora: consentirà di analizzare «l’eventuale impatto positivo che potrà esserci sulla popolazione e misurare se sia meglio con o senza». Con la speranza che i risultati potranno poi beneficiare ad altre popolazioni del Pianeta.

Per il governo di Papua non è soltanto questione del benessere psicofisico dei cittadini, ma si tratta anche di reagire al problema della fake news, della protezione della privacy, dei profili falsi. «In questo mese ha spiegato il ministro potremo raccogliere informazioni per identificare gli utenti che si nascondono dietro falsi profili, quelli che diffondono informazioni false o scaricano immagini pedopornografiche». Cosa che rende scettica l’esperta: «per realizzare questa pulizia, spegnere tutto per un mese non serve» ha detto Aim Sinpeng. Scettici anche gli operatori economici in Papua Nuova Guinea, che hanno chiesto al governo di fare in modo di non staccare la spina durante gli eventi dell’annuale summit dell’Apec (Cooperazione economica per l’Asia-Pacifico) che quest’anno si svolge appunto sull’isola, altrimenti non sempre affollata di personalità internazionali. Se altre iniziative di blackout social a livello nazionale non sembrano per ora all’ordine del giorno, è sicuro che l’affare Cambridge Analytica ha inferto un duro colpo alla fiducia digitale nel mondo (Zuckerberg rivendica quasi due miliardi di utilizzatori attivi) e non solo in Papua Nuova Guinea.

LA FIDUCIA

Ormai soltanto in paesi digitalmente più giovani e in forte crescita, come Malesia, Colombia, India o Indonesia, una maggioranza di utenti ha fiducia nelle notizie e nella protezione die dati personali sui social. Secondo un’indagine del think tank americano Pew, solo l’11 per cento degli americani crede che i social media Facebook in testa – siano in grado di proteggere la privacy.

In Europa la fiducia nei media sociali e nelle notizie veicolate dai social (di nuovo, Facebook in testa) è ai minimi storici, al 47 per cento e in calo. Per salvarsi da Facebook e da tutti i suoi mali, veri o presunti, Papua ha già un’idea: «riunire tutti i nostri sviluppatori web e creare un sistema più propizio alla comunicazione tra gli abitanti della Papua Nuova Guinea e anche con l’estero».

Difficile però che riesca a raggiungere le performance di Zuckerberg. Secondo Caroline Lancelot Miltgen, docente di marketing a Audencia: «Facebook attraversa una crisi politica, giuridica e finanziaria senza precedenti C’è un effetto domino che si traduce con una diminuzione di fiducia e una fuga di utenti ma non credo a un abbandono in massa: finora non c’è una vera alternativa, e il bisogno di comunicare con gli altri, in rete, è diventato quasi vitale». Anche in Papua Nuova Guinea? Si vedrà dopo la cura.

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