Visto l’ultimo libro di Bettini, in cui dice che il bue e l’asinello compaiono con la Sacra Famiglia fin dal 400, mi permetto di regalare questo pezzo ARTIGIANALE; auguri a tutti!
https://www.youtube.com/watch?v=uKK_vnSFgCc&feature=youtu.be
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Bravo, Paolo! Un regalo graditissimo!
In questo articolo, pubblicato oggi su “La Stampa”, non si parla solo di bue e asinello, ma, addirittura, di fake news sulla festa del Natale. Lo propongo qui, approfittando del riferimento al tema, lasciando, come sempre, il giudizio ai lettori.
Falso Natale
Befana e Babbo, bue e asinello Quante fake news sulla festa
di Federico Taddia (La Stampa 19/12/18)
Non voglio guastare le feste a nessuno. Anzi, il contrario: voglio dimostrare che lo spirito del Natale ha in sé qualcosa di eterno, di intramontabile. Di tradizioni ce n’è un bisogno assoluto: ne abbiamo così fame che spesso le inventiamo, le facciamo nostre, dimenticando le loro origini reali». Sorride, quasi si giustifica, Errico Buonanno, scrittore e saggista, autore di “Falso Natale”, una puntuale inchiesta sulle tante fake news che troviamo sotto l’albero. Certezze assodate dalla consuetudine e che invece si portano con sé continue e variabili contaminazioni tra storia, religione e cultura popolare. Come per esempio la data per eccellenza, il compleanno di Gesù, il 25 dicembre: giornata presa in prestito da precedenti riti pagani e appositamente riadattata per l’occasione. O la coppia bue e asinello nella stalla: immagine sedimentata in ognuno di noi, ma non supportata da alcuna scrittura. La colpa, o il merito, è di un semplice refuso, un errore di traduzione dal greco di un copista. E la stella cometa? Un’invenzione pure quella, partorita dell’estro creativo di Giotto: il primo a disegnare sulla mangiatoia un astro abbellito dalla coda. «Le tradizioni nascono così: a volte per distrazione, a volte per creatività, altre volte ancora per volontà politica. Sovente sono un’evoluzione di una tradizione precedente: ci si appoggia a qualcosa che già c’è, ma gli si dà un nuovo significato. Come San Nicola, che nulla aveva a che fare con il Natale, ma quando il suo culto si è esteso al Nord la sua figura si è fusa con quella del mito di Odino – che nella tradizione nordica portava i regali – e con quella di Father Christmas, figura che rappresentava lo spirito natalizio. Da questo ibrido nasce una sorta di Santa Claus cattolico, contestato dai protestanti che sostenevano che i regali li dovesse portare Gesù bambino. Insomma, rivendicare la propria identità basandosi sulle tradizioni può essere rischioso”. E lo stesso Natale, così come lo conosciamo, con i regali, le luci e i buoni sentimenti è un qualcosa sorto come risposta a chi il Natale non lo voleva più celebrare. «Pochi sanno che furono proprio i religiosi ad abolire il Natale – spiega Buonanno – Nel 1644, infatti, i Puritani inglesi proibirono espressamente il Natale, cosa che si estese subito in America, perché era una festa non prevista dalle scritture. Le festività furono nuovamente ufficializzate nel 1856, di fatto modellate da Charles Dickens con Il canto di Natale. I doni, la famiglia, i sentimenti, il calore: quelli che oggi sono considerati valori tradizionali sono stati tutti forgiati dalla sua fantasia». Tra i grandi miti sfatati anche quello dei Magi: nessuno ha mai dimostrato che fossero tre e, soprattutto, che fossero dei Re. Oppure quello dell’albero addobbato, simbolo indiscusso del periodo: l’usanza è di origine tedesca e fu importata in Italia dalla Regina Margerita di Savoia, meno di due secoli fa. A differenza dello prassi dello scambio degli auguri, che altro non è che una rivisitazione moderna degli auspici degli antichi Àuguri, sacerdoti dell’antica Roma capaci di interpretare il volere degli dei. Così come la dea Diana, con il suo passaggio di casa in casa offrendo prosperità in cambio di qualche piccola offerta, assomiglia tanto alla befana, anche questo un personaggio perfetto per essere inglobato dalla religione e abbinato alla festività dell’Epifania. «Il paganesimo è ancora dentro di noi, è intriso nei nostri simboli e gesti – conclude Buonanno – Non è però falso che il Natale sia per tutti, credenti e non credenti, una festa di speranza e di rinascita. E questo non può essere rimosso da alcuna fake news».
Il presepe di sabbia esposto in piazza San Pietro: il bue e l’asinello accanto alla mangiatoia sono frutto di una traduzione sbagliata dal greco, che confondeva «epoche» con «bestie».
2. Il Babbo Natale come noi lo conosciamo nasce da un’iconografia americana Anni Trenta della pubblicità della Coca Cola.
3. Un’immagine del film 2009 di Robert Zemekis (Disney) tratto dal famoso racconto «A Christmas Carol» di Dickens.
4. Un antico biglietto di auguri: la tradizione di scambiarseli risale all’era vittoriana.
5. L’albero di Natale come noi lo conosciamo venne inventato nella seconda metà dell’800 dalla Regina Vittoria, qui in un’immagine insieme al marito il Principe Alberto.
6. La «Diana di Versailles», un’immagine della dea cacciatrice di epoca romana: la tradizione della Befana viene fatta risalire a lei.
Viene dal culto pagano del Sole Invitto
Nessun Vangelo indica il compleanno di Gesù. Solo a partire dal IV secolo dopo Cristo, e unicamente nella città di Roma, si iniziò a festeggiare il 25 dicembre, poiché in quella data già si celebrava il Natale del Sole Invitto. Un culto pagano di un dio Sole, che per i cristiani ben si sposava con la nascita del Salvatore. E pure l’anno 1 non è quello che crediamo: fu un monaco scita di nome Dionigi il Piccolo che, nel 525, decise che bisognava iniziare a contare gli anni dalla nascita di Gesù. Ma sbagliò i suoi calcoli e attualmente siamo almeno nel 2022.
La inventò Giotto osservando Halley
Nel Vangelo di Matteo si parla di una stella, luminosa come veniva rappresentata in ogni natività nei primi secoli e in tutto il Medioevo, ma non c’è nessun riferimento al fatto che fosse una cometa. E visto che, almeno fino al XVII questi corpi celesti erano visti come segnali di prodigi certi, pare strano che possa aver omesso il dettaglio. Il primo ad aver inserito la stella cometa è stato Giotto, affrescando la Cappella degli Scrovegni a Padova tra il 1303 e il 1305. Probabilmente ispirato dal passaggio nel 1301 di un bolide, ribattezzato poi secoli dopo con il nome di Cometa di Halley.
Attenzione Santa Claus è un misogino
di Massimo Vincenzi
È talmente arrabbiata che non a caso alla fine dei divertimenti tutte le Feste porta via, come recita la storica filastrocca. Ora arriva nelle sale il film con Paola Cortellesi protagonista nei panni della Befana – «La Befana vien di notte», appunto – . Una Befana furiosa contro il suo peggior nemico: Babbo Natale. Tanto da lanciargli, nell’era del politicamente corretto, l’offesa più infamante: è un misogino.
Senza spoilerare il film, le accuse sono pesanti: lui viaggia su una lussuosa e comoda slitta, maestose renne lo fanno sfrecciare nei cieli senza alcuna fatica e la sua immagine pubblica è infinitamente più forte di quella della Befana. Negli spot lei è assente, mentre non c’è panettone o giocattolo che non veda protagonista il Rosso Barbuto, non a caso sempre sorridente.
Per non parlare del cinema, dove il confronto non esiste nemmeno: meglio che l’anziana signora non scenda neanche in campo. L’unica sfida è su canzoni e musiche varie dove c’è quasi il pareggio.
Per forza la Befana oppone alla sorte un ghigno da vecchia arrabbiata dal brutto carattere e, nell’era dell’apparire, dal pessimo look. Straccio sulla testa che serve a distinguerla dalle fattucchiere, stesso motivo per cui cavalca la scopa al contrario di come fanno loro. Meglio non correre rischi, in tempi di caccia alle streghe.
La tradizione parte dal Sud Italia e, cambiando il nome, vola nei cieli di tutta Europa sempre con lo stesso rito: caramelle ai bambini buoni e carbone a quelli che sono stati capricciosi durante l’anno.
Il feticcio è la calza, secondo il sociologo Marino Niola il vero timbro di fabbrica che evita alla Befana l’oblio e la strappa da quel ghigno incartapecorito un sorriso sghembo. Altrimenti non le resta che appellarsi ai social, dove due gruppi non proprio la sostengono ma la incoraggiano: «Santa Claus deve essere donna» con due membri (meglio che niente) e «Santa Claus sia donna» più consistente (undici adesioni). Poca cosa ma da qui potrebbe partire il riscatto.
Gli articoli riportasti dal Nostro Caro Angelo Informatore (Licia Landi, che fa bene a riportarli) sono un po’ penosi: le “falsità” di cui si parla sono da SEMPRE riconosciute da tutti, Chiesa per prima, che le ha sempre dette. E’ come dire che Esiodo diceva falsità perché credeva che Crono fosse stato castrato da Zeus, o che mentiva sapendo di mentire e intendeva tutto come “simbolo” nel senso più limitante dell’espressione. Dal punto di vista di una antropologia matura, che con fatica Wittgenstein, Levi-Strauss, i grandi romanzieri del ‘900 hanno saputo rilanciare rispetto a uno scientismo “sempre-dovunque e comunque”, che non capisce che il simbolo non è il cartello stradale (rileggere Pierce, prego…) ma qualcosa che si vive come PROGETTO sul clima che si vuole sentire nella comunicazione umana e nel cuore, e quindi crea figure, poesie, arte matura, DOMANDE all’individuo e alla comunità, che dà forza anche allo scienziato intelligente nelle sue ricerche, facendogli sperare che le sue ricerche stesse cadano in un mondo che crede si possa riunire la “natura selvaggia” (la grotta, gli animali nel presepe) o gli affetti familiari spesso perduti (la vecchietta che, povera, porta doni a bambini ancora più poveri) col fare bene il proprio lavoro, non per beccare la cattedra o i soldi, ha avuto in questo ultimo ventennio un significativo regresso, che è svelato dalla scuola “a questionari” che però produce la lettera dei 600 italianisti sull’ignoranza di studenti in età avanzata. Non c’è granché da sperare… speriamo il Bambinello ci dia una mano…
Grazie, Paolo, per aver dato voce al mio pensiero.