Tremila anni di #Mare #Nostrum
La storia delle #città #mediterranee come «hub» politici, commerciali e culturali. Un #intreccio millenario per farci capire come sarà il nostro avvenire
di David Abulafia (Il Sole Domenica 20/3/16)
Gli storici hanno cercato di definire il Mediterraneo in svariati modi e il punto di partenza solitamente è l’opera di Fernand Braudel. Il grande storico francese pensava non solo a un mare ma al mondo che si stendeva ben oltre le sue rive e comprendeva tutte le aree che in un modo o nell’altro interagivano con il Mar Mediterraneo. Il Mediterraneo è infatti chiaramente un’entità fisica, uno spazio per ovvie ragioni disabitato (se si eccettuano le molte isole che possono fungere da ponte fra una costa e l’altra), che tuttavia per secoli è stato attraversato di continuo dagli esseri umani, e lo è tutt’ora.
Il Mediterraneo rappresenta meno dell’1% della superficie marina del globo ma la sua importanza storica è sproporzionata rispetto alle sue dimensioni fisiche. D’altra parte, il fatto di essere uno spazio relativamente esiguo (almeno su scala mondiale) ha reso agevole mantenere i contatti fra una sponda e altra, e la navigazione è stata possibile per tutto l’anno già nell’antichità. Così, nonostante le numerose storie di naufragi tramandate dal periodo classico, dall’epoca medievale ma anche in epoca moderna, le località che sorgono lungo le rive del Mediterraneo hanno sempre potuto intrattenere fra loro relazioni molto intense e regolari.
Le città sulle sue sponde sono sempre state i cruciali punti di contatto di un andirivieni incessante iniziato sin dall’Età del Bronzo, quantomeno nella sua regione orientale. All’incirca dal 1.000 a.C. possiamo considerare quest’area uno spazio integrato che si espande gradualmente fino ad abbracciare l’intero bacino, le cui acque vengono solcate non solo da mercanti, ma da profughi, da schiavi e da persone di ogni genere.
Un’altra peculiarità evidente dall’epoca dei primi navigatori (i fenici, i greci, gli etruschi) è l’enorme varietà di condizioni fisiche e di risorse naturali presenti lungo le coste mediterranee. Abbiamo così il ferro nell’Isola d’Elba, il rame a Cipro, il grano nel Nord Africa (dove Cartagine governava su terreni coltivati che si estendevano fino all’attuale Tunisia, e dove era cruciale il controllo del Delta del Nilo), come anche la fertilità della Sicilia. Fin dal passato più remoto tutte queste microeconomie interagivano le une con le altre a mano a mano che sorgevano non solo città sempre più grandi e bisognose di cibo, ma anche imperi presso le cui corti abbondavano i beni di lusso. Ad esempio, durante la guerra fra le città-stato greche e l’Impero Persiano nel 5° e 6° secolo a.C., i mercanti fenici vendevano merci di ogni genere alla maggior parte dei popoli coinvolti in quel vasto conflitto. Le testimonianze di questa interazione – soprattutto commerciale, anche nelle fasi di conflitto o tensione – sono numerose anche nei periodi successivi; per esempio nel 13° secolo si formò un importante insediamento dei Genovesi nel centro di Tunisi, dove gli italiani vivevano protetti da privilegi e garanzie speciali.
Fin dall’Alto Medio Evo, poi, emerge un’ulteriore caratteristica del Mediterraneo che ci è ben nota: è la regione dove convivono fin dai loro inizi le tre religioni abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islam), plasmando la storia dell’intera area. Nel corso dei secoli i confini delle rispettive aree di influenza sono stati tracciati e spostati diverse volte. E ciò ha avuto effetti anche politici, per cui il Mediterraneo è diventato un mare “diviso” e non è stato più possibile ricreare ciò che avevano creato i Romani: un Mediterraneo politicamente unificato. Nonostante le molte fratture, l’interazione fra le diverse sponde del mare non ha quasi mai perso intensità: i musulmani non amavano mandare le loro navi a commerciare nei paesi cristiani, ma gli ebrei viaggiavano avanti e indietro, molti di loro parlavano arabo ed erano capaci di vivere in maniera molto pacifica in città come Barcellona o Algeri, proprio come facevano i mercanti cristiani (soprattutto genovesi, pisani e veneziani, ma anche catalani). Per tutto il Medio Evo, fino agli albori dell’Era Moderna, nonostante la proibizione papale al commercio con i musulmani, capitava spesso che i mercanti cristiani vendessero loro armi e al tempo stesso rifornissero gli eserciti europei o addirittura contribuissero in prima persona all’assedio delle città costiere. Ad esempio, nel 12° secolo diverse città nordafricane come Ceuta erano importantissime fonti per il commercio dell’oro che le carovane portavano attraverso il Sahara, ragione per cui esisteva un forte interesse reciproco a mantenere sempre aperte le vie commerciali.
Nel corso dei secoli è sempre esistito uno stretto rapporto fra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo, legato soprattutto al commercio delle spezie. I mercanti potevano arrivare al Mar Rosso e poi, raggiunto il Nilo, risalirlo fino al Cairo e ad Alessandria; altrimenti potevano risalire il Golfo Persico per poi raggiungere, via terra, città come Damasco e Aleppo. A Ostia (il porto di Roma) c’erano magazzini grandi come interi caseggiati pieni solo di pepe, un prodotto che arrivava grazie a un viaggio lunghissimo. I carichi di zenzero provenivano dall’India o da luoghi ancora più remoti come l’Indonesia e la Malesia. Ecco perché non possiamo pensare al Mediterraneo senza considerare il suo rapporto con altri mari e in particolare con l’Oceano Indiano, almeno fino al 15° secolo quando il mondo cambiò a seguito delle grandi scoperte e dall’ascesa del commercio atlantico.
La grande trasformazione che si realizzò dal 16° secolo, con l’apertura delle rotte transoceaniche per raggiungere l’America e la circumnavigazione dell’Africa per raggiungere l’India, ebbe un impatto enorme non solo sul Mediterraneo, ma sul mondo intero. Si può dire che fra il 16° e il 17° secolo il Mediterraneo tornò sostanzialmente a essere qualcosa di più simile a quell’1% della superficie marina del globo, perché poteva essere aggirato e (fino all’apertura del Canale di Suez nel 1869) cessò di essere una via per raggiungere l’Oceano Indiano. Mentre i vascelli spagnoli, e poi olandesi e inglesi, solcavano gli oceani, nel Mediterraneo orientale e meridionale le economie islamiche perdevano dinamismo, mentre i grandi poli manifatturieri si spostavano sempre più verso nord. Tuttavia le interazioni fra le sponde del Mediterraneo, persino quando l’Europa diventò il centro di un mondo commerciale ben più ampio, continuarono a essere significative: ad esempio le élites in Egitto e in Siria indossavano abiti fiamminghi o inglesi, mentre i tre punti di accesso al Mediterraneo (il Bosforo, lo Stretto di Gibilterra e poi Suez) giocavano comunque un ruolo cruciale. Buona parte del traffico commerciale fra l’Inghilterra (soprattutto Liverpool) e l’India, su cui si resse l’Impero Britannico nell’ultima parte del 19° secolo, passava dal Mediterraneo: Port Said costituiva l’accesso al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, ma anche Alessandria e il Cairo diventarono centri commerciali di primaria importanza. Alessandria, in particolare, diventò una città molto internazionalizzata dove vivevano ampie comunità italiane, greche, turche ed ebraiche. Gibilterra diventò il posto ideale per provvedere al rifornimento o alla riparazione delle navi. Così, benché il Mediterraneo fosse in un certo senso marginalizzato nel complesso del commercio mondiale transoceanico, alcune delle sue città prosperarono e conservarono un ruolo rilevante soprattutto grazie alla loro apertura.
Anche da queste esperienze nasce l’idea quasi romantica di una felice coesistenza fra comunità diverse sotto il profilo etnico e religioso. È una rappresentazione che non va esagerata, poiché nel corso della storia vi sono stati numerosi episodi di tensione, di conflitto e spesso di violenza. Ciò nonostante città come Salonicco e Alessandria o, più a occidente, come Livorno o Trieste, sono luoghi dove gruppi etnici e religiosi differenti riuscirono a vivere sostanzialmente in armonia. Vi fu spesso un’interazione vantaggiosa, non solo in termini di profitti commerciali, ma nel senso che le persone che vivevano in quelle città, o che ne facevano una meta frequente di viaggio, impararono a rispettarsi a vicenda, arrivando persino a sentire di appartenere a una comunità più ampia. Per esempio gli ebrei o gli italiani ad Alessandria avevano un’identità culturale molteplice ed erano orgogliosi di ciò che la loro città rappresentava in quanto ultima città europea e margine estremo dell’Europa, appollaiata sul confine stesso dell’Africa di cui comunque non faceva parte. Oppure possiamo guardare alla Spagna musulmana (”al-Andalus”) e a città come Cordova, dove per lunghi periodi le tre religioni monoteistiche e i diversi gruppi etnici riuscirono a coesistere. Di conseguenza possiamo affermare che quell’ideale romantico di coabitazione non è privo di una base reale. Ed è importantissimo tenerlo vivo, poiché oggi nella maggior parte delle città da una parte all’altra del Mediterraneo la coesistenza pacifica certo non è certo la norma.
Quel filo rosso che lega Roma e Parigi.