Tra il #Tigri e l’ #Eufrate
– Luciano Del Sette, VENEZIA, (4/2/17 – Il Manifesto)=
Mostra. Prima dell’ #alfabeto. Viaggio nella #Mesopotamia alle origini della #scrittura
Improvvisamente, la nebbia della memoria si dirada. La nebbia che avvolgeva nomi imparati sui
banchi di scuola, e poi, negli anni, privati di una loro, precisa, identità. Mesopotamia, Babele, Ninive,
Nabucodonosor, Gilgamesh, Assurbanipal, Semiramide Storia e geografia che hanno tempo e confini,
miti e leggende che tempo e confini non conoscono. Improvvisamente, a Venezia, in Campo Santo
Stefano e in cima alla scalinata di Palazzo Loredan, una mattina di metà gennaio, la nebbia della
memoria si dirada. E quei nomi, quella storia e quella geografia, quei miti e quelle leggende, si
riconsegnano a te. Chiusi negli spazi trasparenti di una mostra, dove l’oscurità indebolita soltanto da
poche e giuste luci si fa complice dell’attenzione. Prima dell’alfabeto, Viaggio nella Mesopotamia alle
origini della scrittura, è il titolo di una mostra che ai ricordi quasi estinti dei banchi di scuola
restituisce forza e conferisce loro il dono dell’emozione. Se prima di entrare ti avessero detto che
dentro le vetrine di Prima dell’alfabeto, duecento pezzi provenienti dalla Collezione di Giancarlo
Ligabue, avresti trovato per lo più tavolette di argilla e sigilli cilindrici, forse ti saresti inventato una
buona scusa per rimandare l’occasione. Commettendo un piccolo, imperdonabile, errore. Frederick
Mario Fales, assirologo e studioso del Vicino Oriente, definisce la mostra, di cui è curatore, ‘da
meditazione’. Come certi whisky, aggiunge con un sorriso da esperto non di sole antichità. È così,
ma occorre far precedere la meditazione da una sorta di Bignami, tale per obbligo di spazio, che
identifichi luoghi e date degli eventi.
IRAQ, 3200 A.C.
Mesopotamia, la terra tra le acque del Tigri e dell’Eufrate, oggi assai più brevemente e tragicamente
Iraq, 3200 avanti Cristo, l’anno che segna la nascita della scrittura cuneiforme, incisa su centinaia di
migliaia di tavolette e sigilli. Saranno loro, nel corso dei millenni, a testimoniare di commerci,
trattative, accordi, acquisti di case e terreni, decisioni giuridiche, pratiche d’usura, adozioni infantili,
perfino di tangenti in cambio di favori. Racconteranno vita e imprese dei sovrani, vita quotidiana,
pozioni mediche, pratiche religiose, avvenimenti della storia, celebrazioni. Tramanderanno la
mitologia della nascita dell’uomo e del diluvio universale, dell’eroe Gilgamesh e del suo amico
Enkidu, della ribellione degli dei Igigi al dio Enlil che li ha fatti schiavi del lavoro. Approderanno in
Siria, sulle sponde dell’Eufrate, in Persia. Daranno involontariamente corpo a un incredibile
patrimonio di archivi e biblioteche, dimostrando che, duemila anni in anticipo sui fenici e tremila e
seicento sugli arabi, la Mesopotamia aveva compreso l’enorme importanza della scrittura. Occorrerà
arrivare al XVII secolo perché l’Occidente decifri quei segni, riesca a interpretare ciò che su
tavolette e sigilli avevano lasciato gli scribi e gli sfragisti. Il poligrafico romano Pietro Della Valle
racconta nel suo Viaggi delle gigantesche iscrizioni ‘in caratteri sconosciuti’ da lui ammirate in
Mesopotamia, durante un pellegrinaggio in Terra Santa agli albori del ’600. Carsten Niebhur, un
secolo e mezzo dopo, unico superstite di una spedizione, disegna le iscrizioni di Persepoli. Il linguista
Georg Friedrich Grotefend, nel 1802, è il primo a decifrare la scrittura cuneiforme. Sempre nella
stessa epoca, il baronetto inglese Henry Creswicke Rawlinson, sospeso a settanta metri di altezza,
copia e poi riesce a tradurre l’iscrizione trilingue di Dario I incisa sulle rocce di Bisutun, Iran; Paul
Emile Botta e Austen Henry Lavard scoprono i resti della città di Ninive. A metà del ’900, Jean
Bottéro traduce il Codice di Hammurabi. Meditazione ed emozione sono alchimia che rende difficile
dare priorità.
DOCUMENTI E SIGILLI
Dunque non resta che citare. La busta d’argilla, XIX secolo a.C., con tavoletta all’interno,
promemoria di un quantitativo di rame, certificato da firme; la tavoletta del XXV secolo a.C.
comprovante l’acquisto di una casa; la Tavoletta dei Messaggeri, 2065/ 2005, a.C., elenco di razioni
di birra, olio, farina, pane, grasso; la tavoletta delle prescrizioni mediche per una partoriente
corredate da due incantesimi, Primo Millennio a.C.; il calco di cilindro con iscrizione di Ciro II di
Persia, V secolo a.C., che legittima la conquista di Babilonia. Nella splendida selezione dei sigilli,
curata dall’archeologa Roswhita Del Fabbro, l’aquila Imdugud e alcuni bevitori che attingono birra
da un vaso tramite lunghe cannucce; il sigillo incastonato in un anello, due capridi sormontati da
figure alate; il tondo dell’orante, mani alzate in preghiera davanti a una creatura ibrida; la Dea Nuda,
alla sua destra la dea Lama e a sinistra un sovrano armato di mazza. Emozioni e stupore regala il
frammento di bassorilievo assiro da Dur-Sharrukin, oggi Khorsabad, Iraq, che raffigura il re Sargon
in abito cerimoniale; le meravigliose collane ritrovate nelle tombe del cimitero di Ur; l’albero sacro e
tre geni alati, sulle placchette dell’VIII secolo a.C., in oro; le scene dal mito di Etana, tredicesimo re
della prima dinastia di Kish, 3000 a.C. Dal ciclo epico dell’Epopea di Gilgamesh, 2600 anni prima di
Cristo ‘Lumanità conta i suoi giorni, qualunque cosa faccia è vento’. Nella terra dei due fiumi ha
disegnato su piccole tavole d’argilla il nostro futuro.
I LUOGHI DEGLI ANTICHI SITI DISTRUTTI DALLISIS
9 novembre 1993. Sulle reti televisive del mondo intero scorrono le immagini della distruzione del
ponte di Mostar, lo Stari Most, Bosnia-Erzegovina. In una manciata di secondi, i secessionisti croati
fanno macerie del ponte ottomano, costruito quattro secoli prima. 12 marzo 2001. Lo «spettacolo» si
ripete a Bamyan, Afghanistan. In una sequenza impressionante, girata e diffusa dai talebani stessi, le
immense statue del Buddha, III e V secolo, si sbriciolano come pane raffermo dentro le nicchie che li
accoglievano. Indignazione, dolore, sgomento per la morte dello Stari Most e dei Buddha si erano
allora accompagnati alla speranza, alla convinzione, che immagini come quelle non le avremmo viste
mai più. Speranza e convinzione dissolte nell’elenco delle stragi archeologiche compiute dall’Isis tra
il 2015 e il 2016.
Iraq: distruzione di buona parte delle mura di Ninive, della città assira di Nimrud, delle opere del
museo archeologico di Mosul. E sempre a Mosul, della Porta di Dio, del monastero di Sant’Elia, del
mausoleo sciita di Fathi al-Kahen. Distruzione della moschea di Al-Arbahin a Tikrit e delle quaranta
tombe omayyadi, della tomba e moschea del profeta Jirjis, del santuario dell’imam Awn al-Din, di una
delle tombe presunte del profeta Daniele, della tomba e moschea del profeta Giona, delle rovine
assire di Dur-Sharrukin.
Libia: distruzione dei santuari sufi vicino a Tripoli.
Mali: distruzione dei mausolei e dei monumenti sufi a Timbuctù.
Siria: distruzione del sito assiro di Tal Ajaja e del monastero di Sant’Elian a Qaryatayn. Palmira:
distruzione del leone di al-Lat, della tomba di Muhammad bin Ali, del sepolcro di Shagaf, dei templi
di Baal Shamin e di Bel, dell’Arco di Settimio Severo. Decapitazione del direttore del sito, Khaled
Assam, ottantadue anni. Il 26 marzo 2016 Palmira viene riconquistata dall’esercito siriano con
l’appoggio dell’aviazione russa, ma il 10 dicembre torna in mano all’Isis, che il 20 gennaio di
quest’anno diffonde la notizia di aver distrutto il Tetrapilo e la facciata del Teatro Romano.
Il 10 dicembre è anche il giorno in cui, a Damasco, si è svolto un convegno internazionale di
archeologi sullo stato e il futuro del patrimonio siriano, promosso dal governo. Molti accademici
esprimono il proprio dissenso nei confronti di un’iniziativa che si svolge proprio mentre ad Aleppo è
in corso l’offensiva finale contro l’Isis, certamente foriera di altri morti e altre distruzioni. Essere lì,
affermano, significa avallare indirettamente il regime di Bashar al Assad. Il più deciso nel contestare
il convegno è l’archeologo Marc Lebeau, che lamenta un atteggiamento di indifferenza, chiede il
rispetto della lotta del popolo siriano, accusa chi continua a lavorare nel Vicino Oriente di sapere
bene quanto lì i diritti umani siano violati «gli archeologi di prima (prima dello scoppio della guerra
civile nel 2011, ndr) non erano in contatto con il regime né erano coinvolti nella propaganda».
Lebeau e i dissidenti stanno lavorando a una Carta degli archeologi in tempo di guerra. «Ho
concluso la mia ultima lezione dicendo ai mei studenti ‘In una vita normale avrei dovuto augurarvi di
vedere e godere di molte più cose rispetto a quelle che ho visto io. Non ve lo posso dire. Perché oggi
voi non potete andare in un gran numero di paesi che ho visto e studiato. Per molto tempo sarà
così’». È l’esordio dell’incontro con Frederick Mario Fales, professore ordinario di Storia del Vicino
Oriente Antico all’Università di Udine, da poco in pensione.
Altrettanto perentorio è Fales nell’affermare la fine di un’epoca: «Dal secondo dopoguerra abbiamo
vissuto un sessantennio estremamente felice per l’archeologia orientale, di legame con le nuove
democrazie della regione che in alcuni casi hanno cercato di sviluppare le classi dirigenti degli
archeologi e degli studiosi. Abbiamo potuto intervenire in progetti di salvataggio sul Tigri e
sull’Eufrate; abbiamo lavorato nello Yemen. Un periodo magico. Tutto questo ci è scoppiato in mano
perché le cosiddette Primavere arabe si sono rivelate un fallimento, una democratizzazione senza
regole».
Insieme al rimpianto professionale, quello umano «Bravissima gente, i siriani. Finché siamo rimasti lì,
abbiamo pianto con loro ai funerali e fatto festa ai matrimoni. Sono diventate delle belve umane. Mi
fa impressione, mi fa riflettere, pensarli prima, pacifici e amici». Pessimista convinto si dichiara il
professore anche rispetto alle modalità di rinascita della Siria: «Non sarà ricostruita come io e lei
vorremmo. La Siria non tornerà più a essere quella dei suq meravigliosi nelle città, dei grandi
alberghi, dei quartieri popolari, delle grandi campagne e dei villaggi. Ci saranno, se ci si arriverà,
una reindustrializzazione nuova, una ricrescita non necessariamente rispettosa del territorio, perché
nessuno ha detto che occorre esserlo». E l’archeologia? «Pensare di ritornare sui siti, di riaprire la
casa del guardiano, è una follia. Se mai succedesse, ci faremo scrivere i permessi in arabo o in
cirillico?».
«Prima dell’alfabeto» nasconde nell’involucro delle sue vetrine narrazioni di usanze e rituali, miti e
leggende, che hanno incredibili analogie con altri, ad altre latitudini e in altre civiltà. Prendete la
tavoletta in argilla ricavata dal sigillo cilindrico ‘Bevitori di birra con l’aquila Imdugud’, 3000 a.C.
Nella parte superiore, i personaggi, per bere, affondano lunghe cannucce in un grande recipiente.
Lo stesso, ancora oggi, fanno gli uomini dell’etnia Qiang, nella provincia di Sichuan, Cina.
Altrettanto sorprendente la coincidenza che riguarda la tavoletta con gli ingredienti di un infuso per
aiutare il momento del parto. Il testo dà istruzione alla donna di accovacciarsi sopra la bocca del
recipiente che contiene l’infuso posto su un braciere, in modo che i vapori aiutino la dilatazione. Le
ricerche di Roswhita Del Fabbro l’hanno condotta a un’illustrazione del XIX secolo, dove alcune
donne africane sono ritratte in identica postura. Una delle sale della mostra diffonde una voce
maschile che si lamenta sommessamente. Denuncia il suo stato di prostrazione, gli atti di contrizione
rivolti al dio; afferma di aver esplorato il suo animo senza riuscire a trovare una ragione o una colpa
che giustifichino tanta sventura. Chiede «Per quanto tempo non avrai cura di me e non mi
assisterai?» Il dio lo salva l’uomo e lo esorta « ungi colui che si è bruciato, dai da mangiare
all’affamato, dai da bere acqua all’assetato». Il pensiero corre subito a Giobbe e alle Opere di
Misericordia chieste da Gesù nel Vangelo secondo Matteo, ma il testo del lamento, in lingua
sumerica, risale al XIX secolo a.C. ed è noto come Tema del Giusto sofferente. Creazione dell’uomo e
Diluvio Universale sono narrati nel Poema di Atrahsis, composizione databile al 1700 a.C. circa.
Subito dopo la cosmogonia, il dio Anu è salito in cielo e il dio Enku è sceso nell’Apsu, l’abisso di
acque. Della terra è divenuto sovrano il dio Enlil. Che impone agli dei Igigi di scavare il Tigri e
l’Eufrate, e svolgere durissimi lavori. Duemila e cinquecento anni dopo gli Igigi si ribellano. Enlil,
spaventato dal timore di eventuali guerre, accetta, seguendo il consiglio di Anu, di creare l’uomo. Il
compito è affidato alla Dea Madre, Mami, che sacrificando il dio We (dio dell’intelligenza), ne
mischia le carni e il sangue all’argilla. Convoca poi gli Igigi, esortandoli a sputare sull’impasto.
Nasce così l’uomo, cui Enlil assegna il dovere del lavoro. Ma il frastuono prodotto dall’umanità, che
in milleduecento anni si è moltiplicata, diviene per Enlil così insopportabile da indurlo a scatenare
un’epidemia. Il saggio Athrasis intrattiene buoni rapporti con il dio Ea, che gli suggerisce il modo di
fermarla. Una seconda epidemia e una carestia cesseranno i loro effetti sempre grazie all’intervento
di Ea. Quando Enlil decide il Diluvio Universale, è ancora Ea a spronare Athrasis affinché costruisca
una barca per salvare sé stesso e le specie animali. La barca approda in cima a un monte. Enlil,
placata la sua ira, concede vita eterna ad Athrasis. (l.d.s.)
LA MOSTRA
A Venezia, Palazzo Loredan, Campo Santo Stefano fino al 25 aprile. Raccomandato vivamente
l’acquisto del catalogo edito da Giunti, 40 euro, curato da Adriano Favaro. Il volume, oltre a
presentare i reperti esposti attraverso splendide immagini fotografiche, guida il lettore dentro la
storia della Mesopotamia e della scrittura cuneiforme. Gli otto capitoli corrispondono alle sezioni
della mostra, dal quadro geografico d’insieme alla decifrazione dei testi, passando per il lavoro dello
scriba e dello sfragista, il rapporto tra uomini e dei, i sovrani e le loro gesta, la vita quotidiana. Di
particolare attualità e interesse la prefazione firmata da Frederick Mario Fales. Per informazioni:
041-2705616 www.primadellalfabeto.it