Un italiano su dieci legge gli #ebook. La rivoluzione «lenta»
MICHELA ROVELLI (Corriere della Sera, 19 maggio 2017)
Si comprano con un click, non hanno peso né occupano spazio e sono molto più economici. Non c’era gara: il libro digitale si presentava come invincibile. E in molti, alla nascita del fenomeno ebook, si sono affrettati a prevedere la morte della carta nel giro di un decennio. Complice anche l’annuncio nel 2011 di Amazon, il più grande promotore della rivoluzione letteraria 2.0. Quattro anni dopo il lancio del suo Kindle, dichiara il sorpasso, aumentando le ansie e i timori dell’industria tradizionale: ogni cento volumi fisici venduti, sulla piattaforma di ecommerce venivano acquistati 105 ebook. Non è andata come previsto. La curva, arrivata al culmine in così poco tempo, altrettanto velocemente è tornata a scendere. Le statistiche ufficiali non lasciano dubbi: nel 2016, mentre i libri fisici tornano a crescere, gli ebook perdono il 18,7 per cento negli Usa e il 17 per cento in Inghilterra, due dei maggiori mercati. Nel – più modesto – mondo editoriale italiano registrano ancora un segno più ma la lettura da dispositivi digitali rimane un’abitudine di nicchia, accolta solo da una persona su dieci e che non sostituisce ma affianca la carta. La situazione, però, è più complessa.
«Dipende dai dati che si guardano. I numeri ufficiali non tengono conto delle pubblicazioni indipendenti, che stanno diventando un’enorme parte del business», assicura Michael Tamblyn, presidente e Ceo di Kobo, una delle grandi protagonisti del settore degli ebook. Scrittori in erba, autori che non riescono ad accedere alla catena di distribuzione classica e affidano quindi la loro creatività al digitale. Un fenomeno globale che, si stima, vale un miliardo di dollari. Su cui Amazon ha messo le mani appena ne ha capito le potenzialità: lo scorso anno la piattaforma di Jeff Bezos ha pubblicato 40 milioni di titoli e di questi il 40% erano self-published. Oggi, stima il sito AuthorEarnings.com, equivale al 25% del totale dei suoi ricavi da ebook. Se Amazon ha capito in anticipo dove era meglio investire, hanno seguito la stessa strada anche gli altri grandi distributori «virtuali». Da Apple a Kobo. «Il mondo del self-publishing costituisce un gruppo editoriale a sé ormai, un grande attore che nessuno vede ma continua a crescere in modo stabile», spiega Tamblyn.
Diplomato al conservatorio, grande appassionato di lettura, Tamblyn lavora nel settore da sempre. Aveva partecipato al lancio di Bookshelf.ca, la prima libreria online canadese – «quando ancora Amazon era nel garage» – ed è a capo di Kobo dal 2009, quando da startup di successo è diventata una società globale grazie all’acquisizione da parte del colosso di ecommerce giapponese Rakuten. Ha visto la crescita e il declino (apparente) degli ebook. Rimane ottimista: «Internet e il digitale stanno aiutando la cultura. Se c’è una cosa di cui sono felice è che grazie ai nuovi strumenti i libri sono accessibili a tantissime persone in tutto il mondo. L’altro aspetto è la democratizzazione della distribuzione: c’è un’esplosione senza precedenti della creatività e anche la qualità sta crescendo».
A Kobo – terzo rivenditore di ebook al mondo dopo Amazon e Apple – sono consapevoli che la carta non sta morendo e che il virtuale deve interagire col reale. Lavorano per ottimizzare le ricerche, grazie alla personalizzazione dei suggerimenti di lettura con l’analisi dei dati e il machine learning, e su possibili forme «ibride», come sconti su ebook che già si possiede in forma cartacea. «Cerchiamo di capire cosa vogliono i nostri utenti – aggiunge Tamblyn – perché la vera sfida non è con i nostri concorrenti. La battaglia cruciale si gioca sulla loro attenzione. Lottiamo perché le persone passino il proprio tempo libero leggendo e non guardando una serie tv su Netflix o scorrendo la bacheca di Facebook. Dobbiamo fare in modo che, appena si finisce un libro, venga voglia di iniziarne uno nuovo».
Dalla grande quantità di dati raccolti, a Kobo hanno scoperto che più della metà dei 30 milioni di utenti che utilizzano i loro ereader ha più di 55 anni. E infatti la rivoluzione digitale nel mondo editoriale è l’unica che ha come protagonisti i «senior» e non i «junior». I quali sembrano preferire la carta. «In fondo – osserva Tamblyn – è lo stesso pubblico che troviamo in una libreria. Non mi stupisce: per i ragazzi è importante l’oggetto fisico. Da collezionare o scambiare. E se guardiamo ai giovanissimi, c’è qualcosa di più affascinante nel regalare un libro a un bambino?».
Tamblyn non ha mai sperato che la carta morisse. Anche perché, assicura, ciò che distingue Kobo dai suoi concorrenti è la totale dedizione a questo settore. Al contrario di Amazon – colosso di ecommerce – e Apple, gigante tecnologico, la società canadese è specializzata nella sola produzione di ereader e distribuzione di ebook: «Per noi la lettura non è solo business. È il luogo dove riponiamo i nostri sogni e costruiamo i nostri argomenti. Non è come una serie tv, e quindi merita tutta la creatività di cui siamo in grado per venderla bene. Siamo tutti grandi lettori, i libri occupano un posto d’onore nella nostra cultura e penso quindi che il nostro lavoro sia anche quello di proteggerla».