Gli #italiani #studiano ma #imparano poco #Ocse-Pisa2015

di Gianna Fregonara e Orsola Riva (Corriere, 7 dicembre 2016)

A sentire loro, i quindicenni italiani sono tra i più studiosi d’Europa. Cinquanta ore alla settimana in media, hanno raccontato nei questionari della rilevazione Ocse-Pisa 2015, ventinove a scuola e ventuno di compiti. Un terzo in più dei loro coetanei tedeschi e finlandesi (36 ore in tutto), il 20 per cento in più dei giapponesi e degli svizzeri. Tutti studenti che hanno poi migliori risultati nei test.

Perché a dispetto della fatica, di quella percepita per lo meno, i risultati, misurati dall’Ocse assieme a quelli di 72 Paesi, sono al di sotto della sufficienza: in lettura e scienze gli studenti italiani non riescono neppure a raggiungere la media dei Paesi Ocse e sono il fanalino di coda dell’Europa, superati anche da spagnoli e portoghesi. In matematica il punteggio è lievemente più alto, ma distante anni luce dai super studenti di Singapore, Finlandia e Canada, che restano al top. Traducendo i punti Ocse in mesi di studio: i quindicenni di Singapore hanno quasi la preparazione dei nostri maturandi. E se in scienze un po’ c’era d’aspettarselo, visto anche il peso di un approccio tendenzialmente più nozionistico che empirico-laboratoriale, le cose non vanno affatto meglio nella capacità di comprensione dei testi (lettura). Mentre gli altri facevano progressi, noi siamo rimasti al palo, tanto che anche gli studenti spagnoli, sloveni, portoghesi e russi che sei anni fa erano meno bravi di noi ci hanno superati.

Certo in Italia ci sono molte differenze, tra scuola e scuola e tra regione e regione: la Lombardia, che pure ha visto diminuire il proprio voto dal 2012 al 2015 in tutte e tre le materie, offre una preparazione ai suoi ragazzi che è un anno avanti rispetto a quella della Campania relegata ben al di sotto della media Ocse.

Il punto è che il sistema appare immobile, incapace di grandi balzi in avanti. L’unico dato lievemente positivo, quello relativo alla matematica, dimostra che l’aver modificato i curriculum privilegiandone lo studio ha portato a un miglioramento sensibile delle performance.

Uno dei dati più sconsolanti invece è quello relativo allo svantaggio delle ragazze nelle materie scientifiche. Mentre negli altri Paesi la distanza si è assottigliata, da noi la forbice è ancora larghissima: purtroppo non è una novità, il soffitto di cristallo per le ragazze è il prodotto di pregiudizi culturali duri a morire che ne minano l’autostima e ne condizionano inconsapevolmente le scelte. Come altrimenti spiegare che le studentesse siano ormai maggioranza a Medicina ma Ingegneria resti un campo da gioco prettamente maschile? Perfino nella lettura, cavallo di battaglia femminile negli ultimi dieci anni, i ragazzi hanno dimostrato di saper fare passi avanti riducendo il distacco dalle ragazze.

C’è solo un dato nel quale gli italiani primeggiano: la loro propensione a marinare la scuola. In media nei Paesi Ocse solo uno studente su 5 confessa di aver «bigiato» nelle due settimane precedenti il test Pisa. Nel caso degli italiani la percentuale esplode, diventando fenomeno di massa: più di un ragazzo su due (il 55 per cento) infatti veste i panni di Lucignolo. E la tendenza sta peggiorando. Con effetti anche drammatici, perché chi salta la scuola tende a farlo abitualmente e finisce per avere risultati peggiori di 31 punti rispetto ai compagni: è l’equivalente di un anno di studio. Saltare un’interrogazione o un compito in classe infatti non è affatto una trovata furba. Sul lungo periodo rivela un’incapacità di affrontare le sfide che danneggia gravemente il rendimento scolastico. Non a caso l’Italia ha un alto tasso di bocciati ( uno studente su dieci) e di abbandoni (15 per cento) perché le frequenti assenze sono l’anticamera della bocciatura, che se ripetuta prelude alla dispersione scolastica.

Per recuperare questo ritardo secondo l’Ocse c’è una sola cosa da fare: puntare sugli insegnanti, come hanno fatto Singapore e la Finlandia. Da un lato esigendo una formazione di altissima qualità, dall’altro restituendo loro il necessario prestigio sociale.

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