Tra #Nerone e #santElena il Dna dell’ #Europa

Fernando Gentilini , La Stampa 13/2/17

Era convinto di discendere da Apollo, e sarebbe voluto nascere in Grecia. Invece gli era toccata in sorte Roma ed era pure diventato imperatore. Passò alla storia per aver ucciso la madre, incendiato l’Urbe e perseguitato i cristiani. Eppure c’è chi sostiene che non fosse solo un sanguinario, e che con lui prevalsero benessere e stabilità. Come maestro scelse Seneca, il più ellenico dei filosofi romani. Però lo ascoltava fino a un certo punto, soprattutto quando si trattava di esibirsi con la cetra o correre con i carri, cioè le cose che più gli stavano a cuore.

In gara a Olimpia

Nella primavera del 66 decise di partire per Olimpia, e realizzare il sogno della sua vita. Si era allenato, aveva perso peso, da mesi non faceva che gorgheggiare e non vedeva l’ora di vincere i giochi più famosi del mondo antico. Fu acclamato nei panni di Edipo e Oreste, in un teatro costruito apposta per lui. E conquistò molti allori, da auriga e citaredo, corrompendo giudici e avversari com’era nei costumi del tempo. Di tornare a Roma non voleva saperne: solo nel recinto sacro dell’Altís poteva essere a un passo dagli dèi e sovrintendere alla riunificazione culturale dell’impero.

A Olimpia, le rovine della Casa di Nerone si trovano vicino allo stadio. Si dice sia un’invenzione moderna, e che l’imperatore avesse alloggiato altrove. Eppure, quando me la trovai davanti, fu bello immaginare che ci avesse abitato per davvero e che tra quelle mura avesse capito finalmente chi era: un uomo del suo tempo, una specie di viaggiatore filosofico, uno che amava esibirsi, vincere e farsi ammirare, ma che a Olimpia intendeva soprattutto celebrare la tragedia, il mito di Orfeo e l’ordine culturale cui sentiva di appartenere.

Gli inventori del viaggio filosofico occidentale, i primi cioè a cercare le origini della civiltà, erano stati i sapienti della Grecia antica, non per nulla frequentatori della valle del Nilo, dal cui limo nascevano tutte le cose. Venne poi il tempo dei poeti, dei filosofi e degli imperatori romani, i quali più che in Egitto andarono a cercare le proprie radici in Grecia e lungo le coste dell’Asia minore, a cominciare da Troia.

La Vera Croce

Nerone fu per molti versi uno di loro, nel senso che il richiamo della cultura greca lo condusse a Olimpia. Nessuno nella Roma colta di quel tempo poteva immaginare un richiamo diverso. Nessuno avrebbe mai pensato che un giorno i romani sarebbero andati pellegrini a Gerusalemme invece che in viaggio filosofico nella patria di Apollo!

«In hoc signo vinces»: all’indomani della vittoria di ponte Milvio, nel 313, Costantino si convertì – così si tramanda – e dopo qualche anno spedì sua madre Elena a Gerusalemme per ritrovare la Vera Croce del Cristo. Nonostante i suoi ottant’anni, l’imperatrice-madre era determinata e piena di energia. Difatti, con l’aiuto del vescovo Macario, le bastarono pochi giorni per disegnare la mappa archeologica della Gerusalemme cristiana e identificare i luoghi su cui sarebbero sorte le sue basiliche più sante (Calvario, Monte degli Ulivi, Grotta di Betlemme).

Verso la vita eterna

In quella del Santo Sepolcro, la cappella dedicata a sant’Elena appartiene agli armeni. Pendono lampade dal soffitto, si respirano cera e incenso, e alle pareti della ripida scalinata ci sono le piccole croci incise dai pellegrini medievali. In fondo, in un angolo, il punto dell’invenzione (dal latino, scoperta) della Vera Croce. Elena vi era giunta seguendo le indicazioni di un ebreo. Scavando aveva riportato alla luce tre croci e poi identificato quella del Cristo grazie a un miracolo (la resurrezione del cadavere che vi era stato adagiato sopra).

Su questo pezzo di legno il cristianesimo costruì la Leggenda della Vera Croce, raffigurata nel ciclo di affreschi di Piero della Francesca. E fu proprio per toccare, stringere e baciare la più preziosa delle reliquie del Cristo che i cristiani cominciarono ad affluire sempre più numerosi a Gerusalemme. La città iniziò a ripopolarsi già all’indomani del viaggio di Elena, poiché molti dei pellegrini decidevano di restarci. Sorsero per loro conventi, ospizi e monasteri. E la basilica del Santo Sepolcro, da quel momento, divenne il centro di tutte le mappe.

Il pellegrinaggio a Gerusalemme era una tappa verso la vita eterna. Il passaggio del Cristo sulla terra aveva ridotto la distanza tra Dio e l’uomo, dando a quest’ultimo una possibilità di salvezza. Perciò, una volta raggiunti i luoghi santificati dalla Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, al pellegrino non restava che attendere la morte terrena, farsi seppellire fuori delle mura orientali e poi risorgere nel giorno del giudizio.

Un’eredità pesante

Si trattava di una rivoluzione, qualcosa d’inimmaginabile. Prima di allora, nella Grecia antica, nessuno avrebbe mai visitato un luogo sacro pensando di poter varcare il confine tra il mondo degli uomini e quello degli dèi. I greci non ambivano all’aldilà. Sapevano di essere mortali, limitati, senza possibilità celesti. Per questo le loro risposte esistenziali furono sempre di natura scientifica e filosofica.

Questa dicotomia tra Atene e Gerusalemme è parte del nostro Dna, nel senso che essere cittadini europei significa soprattutto cercare una sintesi tra l’imperativo filosofico-scientifico ateniese e la rivelazione giudaico-cristiana gerosolimitana. Non potrebbe essere altrimenti, poiché siamo tutti figli di Platone e della Bibbia; e perché tutti, chi più e chi meno, continuiamo a struggerci da due millenni su come riconciliare queste due letture fondamentali.

È un’eredità pesante, che costringe a scelte sofferte. Alcuni scelgono Atene, altri Gerusalemme, altri ancora tentano esperimenti sincretici tra i due modelli. Prima o poi tocca a tutti. Nel senso che a un certo punto bisogna volgere lo sguardo a Oriente e capire se ci si sente più viaggiatori filosofici o pellegrini. Il mosaico del Mediterraneo orientale raffigura un’infinità di mappe, storie, miti e personaggi emblematici. La Casa di Nerone a Olimpia e la cappella di sant’Elena a Gerusalemme, per quanto l’accoppiata possa apparire blasfema, sono due delle sue innumerevoli tessere.

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