Il senso dei #Millennials per le lezioni di #greco
Incontro con Andrea #Marcolongo: il suo libro “La lingua geniale” è sold out su Amazon e lei è invitata nei licei classici di tutta Italia
Maurizio Bono (Repubblica 1/ 11/16)
Succede di rado, ma se capita è un “caso: su Amazon, da settimane, chi prova a comprare “La lingua geniale”, sottotitolo “9 ragioni per amare il greco” (solo 176 pagine, 15 euro) di Andrea Marcolongo (solo 29 anni, solo un equivoco prenderlo per un nome da maschio) legge “non disponibile”. Cioè “sold out”: quattro edizioni in quattro settimane, 11mila copie ogni volta bruciate mentre l’editore
(Laterza) fa salti mortali per rifornire i negozi online e tradizionali rimasti senza. È ciò che ha fatto anche slittare molte presentazioni in libreria (con 1,4 milioni di copie perse nei primi otto mesi 2016 mandar via un cliente a mani vuote è uno spreco) ma non sta rallentando gli inviti di Marcolongo nei licei classici di tutt’Italia (almeno trenta, da Torino a Palermo) e ai festival: il più veloce quello di Bagno di Romagna, dove lei racconta d’aver rivisto sul palco il suo professore di filologia classica all’università: «Come a un esame, ho pensato “quasi quasi mi ritiro”, invece poi mi ha chiesto la dedica».
Alla fine fanno tutti così anche i prof di greco al ginnasio e al liceo che la chiamano alla missione impossibile di far amare la materia che procura più incubi che entusiasmi e in genere, passata la maturità, il sollievo di poterla dimenticare, “tanto non mi servirà più”. I prof ottimisti sperano che gli dia una mano a convincere che, checché ne dica una polemica ciclicamente in voga, il classico non è da buttare. I pessimisti si accontenterebbero di qualche aneddoto sugli stress post- traumatici da greco, stile episodi di naia che a ricordarli anni dopo cementano una solidarietà tra scampati. Poi invece arriva Andrea, che con i Millennials che si trova di fronte ha in comune non solo l’aria giovane, ma l’esperienza del mondo complicato in cui vivono e perfino una manciata di tatuaggi addosso. E se i ragazzi spengono persino i telefonini, ha già a che fare con la seconda delle “9 ragioni per amare il greco”: è una lingua, spiega Marcolongo, da secoli silente, perciò obbliga ad ascoltare con la mente. E farlo si può.
La ragione prima, però, scrive lei, è un’altra: lo “strano” senso per il tempo dei greci antichi: «Al tempo come lo intendiamo noi badavano poco, o punto… Si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre, come. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre quando». Per chi l’ha scordato o da ragazzo aveva altre bestie nere, è quello che le grammatiche greche chiamano “valore aspettuale”. Ma lo liquidano con una nota. «In pratica invitano a ignorarlo, almeno fino all’università. E così, per esempio l’aoristo, che esprime un’azione in un tempo imprecisato senza considerarne le conseguenze, nelle traduzioni a scuola diventa sempre passato remoto. Un tradimento…». Altro che elogio dell’utilità del classico… «In effetti il libro è nato di lì, è il capitolo che preferisco ed è rimasto quasi identico a qualche pagina che avevo scritto tre anni fa per spiegare a un ragazzo a cui davo ripetizioni perché si dovessero imparare a memoria i paradigmi, cioè i temi a volte diversi che ogni verbo greco usa per esprimere proprio l’aspetto».
Marcolongo non dice fino a che punto l’abbia convinto, ma certo quella lezione privata un Greco la direbbe col piuccheperfetto, «quando un’azione proietta conseguenze in un altro passato, conseguenze che ancora bruciano nel presente»: «Quelle riflessioni stavano in fondo a un cassetto. Poi un’amica agente letterario mi dice: “Prova a mandare a Laterza qualcosa che hai pronto”. Tiro fuori gli appunti, spedisco e quando rispondono mi sembra di essere su scherzi a parte».
Naturalmente, come in tutti gli esordi (non solo un singolare libro sul greco antico) c’è un “prima” che lo rende possibile. Ma per dirla con Marcolongo: «Siamo noi a essere abituati a disporre, a differenza dei Greci, ciò che ci accade lungo una precisa linea temporale: ciascuno ha la sua, che sia dritta o a zig zag». A volte molto a zig zag: liceo classico frequentato in provincia, a Crema, poi un anno sabbatico quando non era ancora di moda. Tornata, si laurea con lode in Lettere classiche a Milano. Ma anziché accettare un dottorato va sei mesi a Dakar con un’Ong. S’iscrive alla scuola di scrittura Holden a Torino (storytelling applicato al discorso politico) e da lì manda un testo al meeting della Leopolda di Renzi. Gira ancora su internet il filmato di Andrea 26enne che scandisce: «Siamo un’Italia cresciuta a pane e sciatteria… il futuro di cui parla Matteo è molto simile a quello di cui voglio essere orgogliosa». La conseguenza arriva: due anni a Firenze come ghost writer del premier, è farina del suo sacco il discorso sulla “generazione Telemaco” all’apertura del Semestre di presidenza italiana Ue. Ma non arriva l’ingaggio, solo un rimborso tipo stagista, e con ritardo. La notizia rimbalza in cronaca: «Eravamo tutti così. Viaggi e Roma e lavori mai pagati, so di persone che si sono indebitate e sono andate dallo psicologo perché distrutti dalle promesse». L’anno dopo, Andrea alla Leopolda non c’era.
Nel frattempo dal 2014 s’è trasferita a Livorno: «Ho tradotto il sofista Gorgia per lo spettacolo di Baricco Palamede l’eroe cancellato e devo dire che in confronto a ciò che s’è visto in Trump contro Clinton la retorica politica antica era nobile. Poi c’è questo La lingua geniale, il cui successo sorprende anche me».
Chiarito il senso “greco” dei Millennials, la seconda delle 9 ragioni enunciate per amare la lingua antica va dritta al cuore: ha un “numero” speciale, il “duale (oltre a singolare e plurale) per dire due anime unite o le metà separate dell’essere umano secondo Platone. E un “modo” verbale intero (l’ottativo) per dire le sfumature tra possibilità e desiderio. Ancora: non due ma tre generi (maschile, femminile, neutro, spesso arbitrari proprio come maschile e femminile del nome Andrea). Infine il greco è sopravvissuto intatto e a tutto nonostante fosse parlato da gente che ha vinto certe battaglie ma mai una guerra, ha una costruzione così libera che l’ordine delle parole nella frase non conta. E paga il privilegio (c’è sempre un prezzo) con la complicazione dei “casi”. Ma alla fine, fare greco al classico, serve a qualcosa? «Se devo tirare una somma sola, niente come un 3 in greco ti prepara agli inevitabili fallimenti nella vita, niente come ripararlo ti dà la sensazione che puoi fare tutto».