Socrate? C’è, ma non si vede
di Dorella Cianci (Il Sole 24Ore Domenica 16/03/14).
«I libri di filosofia iniziano tutti lo stesso giorno: quello dopo la morte di Socrate», così dice il filosofo Pardo, citazione riportata nel volume di Kohan, appena tradotto in Italia. L’autore si sofferma sull’insegnamento della filosofia, sulle sue potenzialità educatrici e sul rapporto politica e filosofia. In primis, nel l’insegnamento filosofico si realizza l’incontro fra due personaggi, l’insegnante e l’allievo. Un incontro paradossale, perché la filosofia può essere insegnata? Chi insegna filosofia intesse un rapporto erotico (in senso etimologico) con l’altro e scava pian piano un solco nel pensiero di un altro, come l’amato nell’amante. Si arriverà a chiedersi se in questo rapporto a due c’è sempre un bilanciamento o se i due ruoli mantengono un’alternanza di attivo/passivo. Come emerge già nell’ultimo libro di Lyotard, l’incontro amoroso, nella filosofia, fa sì che nell’insegnarla esistano delle tensioni epistemologiche fra chi insegna e chi apprende e queste non vanno eliminate in nome di una «democrazia filosofica» irraggiungibile. Ogni insegnamento filosofico prevede un po’ di vita e un po’ di morte, un concetto nasce e un concetto subito si pone in attesa di essere “ucciso”, in una palestra di idee interminabile, che si spinge ben più al di là di ogni singola vita limitata. Kohan, docente presso l’Università di Rio, rivolge il suo volume soprattutto alle popolazioni ai confini della terra, nelle cosiddette zone periferiche, come le chiama Papa Francesco, le quali vivono una costante situazione di emergenza educativa e dove spesso si tende a soffocare il pensiero critico. La traduzione italiana arriva tuttavia in un momento, in Italia, di dibattito intenso sulla contrazione delle discipline filosofiche nelle facoltà pedagogiche. Un altro paradosso. Kohan, ricordando i suoi studi a Parigi, cita un libretto di Derrida, La carte postale (1980), con in copertina una cartolina nella quale si raffigura Socrate che scrive. Questa immagine realizza il sogno di Derrida di vedere un Socrate scrivano e disse ironicamente: «il compagno Socrate fu il primo segretario del partito platonico». Kohan con questa citazione vuol arrivare a parlare di due figure enigmatico-paradossali: Socrate e Platone. L’enigma consiste nell’individuare ciò che è libero e ciò che è determinato fra le parole del maestro e la scrittura dell’allievo. Il paradosso di Socrate è il paradosso di ogni insegnante di filosofia: aiutare a vedere senza mostrarsi e ogni allievo incontra Socrate proprio dove non c’è o dove dichiara di non esserci, nell’insegnamento. Nel l’Apologia (33a) si difende dall’accusa pedagogica dichiarando di non essere un maestro pur “generando” allievi. Socrate vuole svegliare la città (rimaneggiando una vecchia metafora di Eraclito, nella quale anche lui vedeva l’insegnamento filosofico come il metodo per svegliare). Egli non insegna esplicitamente, un po’ come fa ogni professore di filosofia: esamina gli altri per esaminare sempre se stesso e le sue posizioni, il paradosso del filosofo e dell’io. Foucault ha affermato che Socrate rifiuta il ruolo di insegnante per rifondarlo: è il cittadino più sapiente, perché è l’unico capace di vedere la sua ignoranza. È attuale soffermarsi nel rapporto fra insegnamento della filosofia e politici: «La politica è la possibilità di vedere nell’insegnamento della filosofia una proiezione sociale concreta e realizzata, una produttività compromessa nella trasformazione dello stato delle cose; è l’estensione di un senso, utilità o prodotto tangibile in società flagellate dalle ingiustizie come le nostre; la politica è il doppio della filosofia nella pólis». Il problema non è di certo l’ignoranza filosofica in politica, ma l’ignoranza di un’ignoranza che spoglia la filosofia da quel principio di generatività che le è proprio. Nell’ultima parte del libro, Kohan torna su posizioni più nette, affrontate già in passato: Socrate ascolta i suoi interlocutori? Egli esamina il caso dell’Eutifrone. Socrate non accetta le risposte di Eutifrone, le reputa sbagliate, non ascolta le sue argomentazioni, vuole soltanto sentire la risposta che egli ha in mente. L’interlocutore, alla fine del dialogo (in questo caso molto apparente) è stremato e scappa. Il “sistema Socrate”, emblema di ogni insegnamento filosofico, presenta qualche crepa, ma possiamo arrivare ad affermare che il filosofo tenti «una depersonalizzazione del pensiero e una disconnessione dell’interlocutore dai suoi affetti»? Qui emergono le posizioni di Ranciére, molto dure nei confronti di Socrate, secondo cui, con il suo «non insegnamento orientativo», procede a un abbrutimento dell’interlocutore. La questione, molto discutibile, rimane aperta.