Telemaco
La parola che diventa mito
di Maurizio Bettini (da Repubblica 5/7/14)
QUANDO Diomede, l’eroe dell’Iliade, si alza in assemblea per contrastare le parole di Agamennone, prima di esprimere la propria opinione, è costretto a recitare, per intero, la propria genealogia. Perché? Eppure ciò che ha da dire è saggio, tant’è vero che gli Achei seguiranno poi il suo consiglio, ed egli è sicuramente un guerriero forte e temibile. Solo che Diomede è il più giovane di tutti, come lui stesso dichiara prima di cominciare a parlare, e per questo ha paura che i presenti disprezzino il suo discorso – anzi, il suo mùthos , come lo chiama il poeta. In Omero infatti questo termine non indica ancora il racconto favoloso, la parola seducente ma infondata, così come sarà nella cultura greca successiva e come è ancora per noi, che usiamo “mito” in questo senso. Tutto al contrario, nell’epica antica si definisce mùthos il discorso pronunziato da uno speaker autorevole, come può esserlo un re scettrato che parla in assemblea o una divinità irata. Il mùthos indica insomma la parola tanto autorevole quanto efficace, capace di influire concretamente sul contesto che la riceve: ed è proprio la capacità di pronunziare mùthoi che, in Omero, viene negata ai giovani. Non ci si aspetta che l’abbia Diomede, così come non ci si aspetta che l’abbia Telemaco. Salvo che, nel suo caso, capita qualcosa di imprevisto.
Dopo l’incontro con Mente (in realtà Atena in sembianze umane), il figlio di Ulisse ha infatti assunto un piglio diverso: la dea “gli ha infuso nel petto forza ed audacia”. Ecco perché, con grande stupore di sua madre Penelope, dopo un breve scambio di battute Telemaco le dirà seccamente di lasciare a lui il mùthos, perché è lui che ha «il potere in questa casa»; così come rivolgerà ai Proci un mùthos il cui contenuto è molto esplicito: che lascino la reggia, cessino di divorare le sue sostanze, o invocherà su di loro la punizione degli dèi. Il ragazzo di casa ha ricevuto l’investitura del mùthos, da questo momento in poi la sua parola è divenuta autorevole e dovrà essere ascoltata con rispetto.
Credo sia questo il Telemaco che, meglio di altri, si presta a simboleggiare la generazione di giovani che Renzi ha rappresentato a Strasburgo. Non solo i “giusti eredi” evocati da Massimo Recalcati, ma tutti coloro che, Renzi per primo, si sono finalmente guadagnati il diritto di pronunziare mùthoi, parole autorevoli che debbono essere ascoltate con rispetto e sono anzi destinate a produrre effetti sul contesto che le riceve. Fino a questo momento, nelle rare occasioni in cui li si lasciava parlare, i giovani potevano al massimo aspirare alla posizione di Diomede – quella di chi, per farsi ascoltare, deve come minimo recitare la propria genealogia. Adesso non è più così, Atena sembra aver suscitato nel loro petto “forza ed audacia” e la loro parola è divenuta mùthos. Speriamo solo che la dea continui a ispirarli.