#Socrate tradito? Non da #Platone
Il rapporto conflittuale tra #allievi e #maestri è il sale nella storia del #pensiero.
Un esempio è il modo in cui #Aristotele critica l’autore della «#Repubblica», ma non si spinge fino in fondo, consapevole che la #filosofia non può essere ridotta alla dimensione #politica. Per questo #Raffaello, nella sua «#ScuoladiAtene», non colse nel segno
di Mauro Bonazzi (Corriere La Lettura 4/10/15)
Sono usciti di recente tre libri importanti sulla figura del filosofo ateniese, maestro di Platone, che venne condannato a morte e bevve la cicuta nel 399 avanti Cristo: Hannah Arendt, Socrate (traduzione di Ilaria Possenti, Raffaello Cortina, pagine 123, e 11); Maria Michela Sassi, Indagine su Socrate. Persona filosofo cittadino (Einaudi, pagine XIV-250, e 23); Alfred E. Taylor, Socrate (traduzione di Michele Bruni, Castelvecchi, pagine 93, e 14,50)
Si dice che i tradimenti siano il sale della vita. Di certo lo sono della filosofia, se è vero che la sua nascita coincide con un tradimento, quello che Platone ha perpetrato nei confronti di Socrate. La voce circolava già ad Atene, ed era solo l’inizio. Più tardi ne avrebbe parlato il giovane Giacomo Leopardi, convinto che il tradimento di Socrate avesse condotto al distacco tra filosofia e vita. George Grote avrebbe poi rincarato la dose, sostenendo che Socrate, nella città ideale di Platone, non avrebbe potuto neppure abitare. Nel 1954 Hannah Arendt, in un saggio appena pubblicato da Raffaello Cortina, ha ripreso questa idea, ritrovando nel Socrate tradito da Platone un punto di riferimento per ripensare la politica contemporanea. La lista è lunga, come si ricava dal nuovo libro di Maria Michela Sassi Indagine su Socrate (Einaudi), e l’accusa sempre la stessa: la fuga nella metafisica, lontano dal mondo degli uomini.
A essere pignoli, l’accusa è impossibile da provare. Socrate non scrisse nulla e quelli che ne hanno parlato ce lo presentano sotto una luce diversa. Socrate rimane un mistero. Ma è vero che tra quei due è successo qualcosa d’importante, che avrebbe avuto conseguenze decisive per la filosofia. Cosa? Per un’ironia della sorte Platone ha rischiato di subire lo stesso trattamento che era sospettato di aver inflitto al suo maestro. Qualche anno dopo sarebbe stato lui a ritrovarsi nei panni del maestro; l’allievo sarebbe stato un certo Aristotele. È una storia che potrebbe aiutarci a capire qualcosa del tradimento, presunto o vero, di Socrate.
I rapporti tra i due furono complicati fin da subito. Elegante come solo gli aristocratici ateniesi sapevano essere, Platone sarà rimasto sconcertato dall’aspetto del giovane macedone Aristotele, con i capelli in avanti a coprire una calvizie incipiente, pieno di anelli, vestito pretenziosamente. Un vero provinciale e forse neppure un greco: per di più bizzarro nei comportamenti, come quando disertava compagnie e lezioni per leggere da solo. Ma Aristotele era il migliore degli allievi: lo chiamavano la «Mente», ed è a lui che Platone iniziò a interessarsi («manca la Mente», pare dicesse, con malcelato disappunto, quando non lo vedeva in classe). Molte delle sue pagine sembrano rivolgersi direttamente a quell’allievo solitario, per dialogare a distanza.
Il problema è che Aristotele, leggendo quei testi, aveva maturato un progetto curioso: smantellare il sistema filosofico del maestro pezzo per pezzo, fino a rovesciarlo completamente. La famosa teoria delle idee? Non spiegava nulla, raddoppiava anzi i problemi. Il comunismo della città ideale? Impossibile da realizzare e neppure desiderabile. L’esistenza del Bene assoluto? Assolutamente inutile. Attaccando Omero, il maestro per eccellenza, Platone aveva osservato che il compito della filosofia era quello di seguire la verità, non le autorità. Detto fatto: Aristotele aveva ritorto l’idea contro il proprio maestro, affermando, prima dell’ennesimo attacco, che «quando si tratta della verità bisogna lasciare da parte gli aspetti personali». Amicus Plato sed magis amica veritas . Niente male per uno che è rimasto nell’Accademia vent’anni.
Il testo più chiaro, in questo senso, è l’ Etica nicomachea . Per Platone senza la filosofia non ci sarebbe stata fine ai mali dell’umanità. Aristotele mostra che non è così, perché la politica umana ha bisogno non di principi astratti, ma di ragionamenti concreti, che ci aiutino a confrontarci con la complessità dei problemi. Talete, a furia di guardare il cielo, era caduto in un pozzo. Meglio seguire Pericle, che Platone aveva accusato di essere la causa della rovina di Atene ed era invece l’esempio di un’intelligenza pratica sempre pronta a capire le situazioni e agire di conseguenza. È l’intuizione che ha fatto la fortuna odierna di Aristotele quando, dopo la tragica stagione dei totalitarismi, si è cominciato a ricostruire la politica sulla base di una discussione razionale, a partire dal mondo dell’esperienza umana, rinunciando alla pretesa di fondazioni ideali. Nella Scuola di Atene di Raffaello, Aristotele indica la terra e tiene in mano proprio l’ Etica nicomachea , il testo che segnava il distacco dell’allievo dal maestro.
Fosse stata conservata mutila della conclusione, l’ Etica sarebbe stata il libro del tradimento perfetto. Ma proprio all’ultimo tutto cambia, in modo clamoroso. Il tema in discussione era la felicità, il grande problema dei Greci: come vivere una vita felice? In mezzo agli uomini e per gli uomini, era la conclusione a cui sembrava condurre l’analisi di Aristotele — la «vita attiva» di cui avrebbe parlato Hannah Arendt in riferimento a Socrate. Tradendo il maestro, l’allievo stava rendendo giustizia al maestro del maestro, ingiustamente tradito? Una storia edificante che implode in dirittura di arrivo. Quando Aristotele conclude, ecco la sorpresa: la vita politica non basta; la felicità si realizza altrove, nella conoscenza delle verità ultime, perché noi crediamo di essere uomini mortali, ma in realtà siamo esseri divini; è indagando i misteri della conoscenza che troveremo dunque la felicità più piena. Questo è Platone; più precisamente questo è il Platone del Timeo , dove si tratta dell’universo e dei principi ultimi. Il Timeo , vale a dire il dialogo che Raffaello mise in mano a Platone (che indicava il cielo) per opporlo ad Aristotele. Un’opposizione che alla fine non c’è: la Scuola di Atene è stupenda, ma non riesce a rendere conto della complessità del rapporto tra Platone e Aristotele. Nessuno ci è ancora riuscito.
Gli studiosi si disperano quando leggono le pagine finali dell’ Etica : come è possibile conciliare questa conclusione con i ragionamenti che precedono? Quello dell’ Etica , del resto, non è neppure un caso isolato; è la manifestazione più visibile di una tendenza di fondo: la Metafisica attacca le idee universali, rivendica la priorità delle sostanze individuali e termina però con la celebrazione di Dio, la forma pura — una versione teologica delle idee. Per tacere dell’anima: un intero trattato per dimostrare, contro Platone, che la nostra anima è mortale e un capitolo finale che introduce l’intelletto immortale.
Aristotele cade in contraddizione per non rinunciare del tutto a Platone? Sì, ed è il segno della sua grandezza. Le risposte le offrono i santoni; ai filosofi interessano i problemi. A pensarci bene è facile capire perché Aristotele non sia andato fino in fondo. Perché rinunciando a Platone avrebbe dovuto rinunciare anche alla filosofia e a tutto quello che significa. Mentre Socrate parlava, mentre Platone e Aristotele discutevano, mentre noi oggi leggiamo, intorno a noi tutti si dispiega un universo immenso, meraviglioso e inquietante: è infinito o finito? E se è finito cosa c’è al di là? E ancora, è eterno o creato? E nel caso da chi? E perché? Dentro di noi, intanto, e tra le piante e gli animali, scorre la vita, senza quasi che ce ne rendiamo conto: che cos’è la vita? Da dove emerge? Domande, e tante altre se ne potrebbero aggiungere, ancora in attesa di risposte, che forse non arriveranno mai. Domande ingenue; ma possiamo farne a meno? Di sicuro non può farne a meno la filosofia. La politica è importantissima, ma non è tutto. Alla fine Aristotele ha raccolto il messaggio che Platone gli aveva lasciato.
Socrate era un tipico cittadino ateniese, sempre in piazza a discutere con gli altri; parlava volentieri di politica, toccando temi scomodi; il risultato fu un processo con la condanna a morte. Anche se non lo si poteva dire (c’era stata un’amnistia) la causa vera della condanna era il suo coinvolgimento con gli oligarchici (probabilmente falso, ma tant’è). Platone era un giovane aristocratico; l’impegno politico era la sua destinazione naturale, facilitata dall’ambiente di provenienza; dopo aver incontrato Socrate cambiò vita, per la disperazione dei famigliari. Platone, promesso alla politica, diventò filosofo grazie a Socrate. Fu tradimento? O aveva capito che il messaggio di Socrate andava oltre la sola politica? Non lo sapremo mai. Ma il confronto con Aristotele aiuta almeno a capire quale fosse la posta in gioco. Non fuggire dalla realtà, ma imparare a meravigliarsi per la sua infinita ricchezza.
Questo è il messaggio che Aristotele ha raccolto da Platone. E questo è quello che Platone diceva di aver appreso da Socrate. È bello pensare che sia stato così. Forse non ci furono tradimenti.