Semplificare la scuola non giova ai nostri ragazzi
Nuccio Ordine (Corriere, 20 dicembre 2016)
Ormai il lessico che domina il mondo della scuola e dell’università è noto a tutti: velocizzare, risparmiare, semplificare, anticipare. Non c’è da stupirsi, quindi, se nel giro di qualche giorno abbiamo letto due notizie che confermano ulteriormente l’omologazione verso il basso: si riducono, in via sperimentale, a 4 anni le scuole superiori e si abolisce la «prova finale» (tesi) per la laurea triennale.
Nel primo caso, ci dicono, il «risparmio» farebbe felici gli studenti (che si diplomano a 18 anni!) e, nello stesso tempo, le casse dello Stato (che economizzerebbero 3 miliardi!). Nell’altro caso, invece, si tratterebbe di una strategia per far «crescere più in fretta il numero dei laureati». La riduzione di costi e tempi favorisce la quantità. Ma chi si preoccupa della qualità dei nostri «clienti» (così, senza vergogna, li chiamano)? Anziché rafforzare le conoscenze degli studenti delle secondarie (fortificando le discipline fondamentali) e imporre uno standard più alto alle tesi (per meglio educare alla ricerca e, soprattutto, alla scrittura), ci si piega alla logica devastante del fast, con la demagogica promessa di un’immissione anticipata nel mondo del mercato (e per fare cosa, visto l’alto tasso di disoccupazione giovanile?).
Si invoca l’esempio di altri Paesi europei: ma si dimentica che, a differenza del nostro, alcuni hanno scuole di eccellenza per formare la loro classe dirigente. Indebolire l’istruzione pubblica significa penalizzare i figli delle famiglie più deboli (i ricchi possono iscriversi altrove). La conoscenza richiede tempo, lentezza, sacrificio. La fretta e il facile – lo ricordano, con forza, anche Nietzsche e Rilke – sono nemici dell’apprendimento. Perché non creare (come ha fatto quel geniaccio di Carlo Petrini per il cibo) presìdi Slow Learning?
Non posso che essere d’accordo. La qualità è l’ultima cosa a cui si pensa. Con rammarico intravedo una volontà malcelata nel cercare di distruggere l’istruzione pubblica, nel voler creare un popolo di ignoranti, nel rendere la cultura appannaggio di pochi ricchi, la cui posizione privilegiata – non certo per merito, ma per destino – assicurerà loro un ruolo prestigioso fra l’elite dirigente. Un quadro inquietante….