Rosso per le stoffe e ocra sui templi, così gli antichi vedevano il mondo

di Eva Cantarella (Corriere della Sera 3/4/14)

Resteremmo trasecolati, oggi, se apparissero davanti a noi — portati da una macchina del tempo — un’opera d’arte, un edificio, un’intera città antica. Siamo troppo abituati a pensare l’antico come un film in bianco e nero. Dico antico qui, meglio specificarlo, pensando alla Grecia o a Roma. Siamo troppo abituati a immaginarle prive di ogni colore: bianche le statue, grigi i muri… Solo gli affreschi romani (quando non sono andati distrutti dal tempo e dall’incuria) si salvano da questa monocromia. La pittura greca, non essendo su muratura, purtroppo non ci è arrivata. 

Ma sto parlando solo della Grecia e di Roma, come dicevo: assai minore sarebbe la sorpresa se dovessimo trovarci di fronte a opere di altre civiltà antiche: ad esempio quella egizia, i cui colori a partire dall’Ottocento sono noti. Ma fino a non molto tempo fa, quando si pensava all’antico si pensava solo ai greci e ai romani (spesso pensati solo come imitatori dei greci). Gli altri popoli non interessavano, non erano «classici». E nel mitico neoclassico costruito nel Settecento da Winckelmann i classici erano immacolati nella loro eterna «purezza», mai contaminata dal colore: le statue greche erano di marmo chiaro, dunque, possibilmente pario. Solo i romani, meno «puri», le avevano a volte in parte colorate. 

E anche se oggi questo modo di pensare l’antico è cambiato, a noi continua a restare negli occhi l’immagine di un mondo i cui colori sono quelli che vediamo nei musei, nelle esposizioni e in quel che resta dell’architettura. Un mondo diverso, dunque, molto diverso da quel che era. 

Sia i greci sia i romani amavano i colori. Li amavano e li usavano molto. Allora — sia detto per inciso — questi venivano ricavati dal mondo animale, vegetale e minerale (il rosso, ad esempio, si ricavava generalmente da un miscuglio di ossido di ferro e di argilla dalla grana molto sottile). Ma questo non significa che non se ne usasse una notevole varietà, in gran parte prodotta in loco, ma anche importata: azzurro, rosso, verde, giallo, ocra e bruno, in varie tonalità, per non parlare dell’oro, rendevano vivi gli edifici pubblici, le case, i templi, le vie, animate anch’esse delle vesti colorate dei passanti, soprattutto se di sesso femminile. 

E così dovremmo sforzarci di vederli, oggi, gli antichi, quando ne visitiamo i resti: usando l’immaginazione, così che il passato non ci sembri il residuo, bello ma inutile, di un mondo morto, così lontano da noi da essere ininfluente sul nostro presente e il nostro futuro. 

Conoscere gli antichi come realmente erano, anche visivamente, ci aiuta a capirci e a progettare il domani di cui abbiamo tanto bisogno.

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