Riconoscere e riattivare #Ulisse
«Il grande racconto di Ulisse» (il Mulino). Una sterminata «enciclopedia» alla ricerca dei molteplici sensi riverberati dall’ #eroe #omerico nella #letteratura e nell’ #arte
di Graziella Pulce (il manifesto 4/12/16)
Con Il grande racconto di Ulisse (il Mulino «Beaux livres», pp. 672, € 55,00) Piero #Boitani ha realizzato una summa del suo lungo, ininterrotto dialogo con l’Odissea e ne presenta gli esiti in un’opera fastosa e policentrica, che cattura e seduce anche perché indirizza a quell’anagnorosis, il riconoscimento delle radici, di cui è intriso il nostro essere nel mondo e di cui Ulisse è in definitiva l’icona più potente. Il libro si svolge e si riavvolge continuamente su di sé: via via si apre, mostra e offre un tessuto di racconti e immagini, e poi a tratti si ritira ripiegandosi in un silenzio fitto di echi e memorie: lì il lettore deve compiere i suoi passi e cimentarsi personalmente con i problemi che il testo reca in sé.
Nel Grande racconto di Ulisse vanno a convogliare una serie non quantificabile di dati, impreziositi – nelle numerose sezioni iconografiche – da centinaia e centinaia di immagini originate dal mito di Ulisse, il più prolifico tra quelli che l’antichità ci abbia consegnato e che rappresenta un’eredità che ancora oggi ci tocca, ci coinvolge e ci identifica. Il poema omerico rappresenta l’archetipo in cui l’uomo moderno coglie la propria immagine, è «l’archeologia dell’uomo moderno», come viene dimostrato in modo inequivocabile. E ciò è tanto più vero se si considerano le ramificazioni originate da un personaggio e da una storia infinitamente riproponibili e manipolabili.
I limiti dell’essere
Il volume è scandito in parti che invece di un tutto ‘finito’ suggeriscono un’idea di apertura e di non delimitabile. Più complicato del suo ritorno è infatti il meccanismo del suo riconoscimento. Il protrarsi delle prove, più di tutte quelle cui lo sottopone Penelope, confermano che il mito di Ulisse giace entro i limiti dell’essere come processo in fieri, il cui senso si spiega solo all’interno dell’orizzonte del divenire, un divenire perennemente attualizzabile. In apertura c’è uno scritto proemiale, «In guisa di introduzione: Ulisse e io», cui fa seguito una sezione intitolata «Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto vagò…», nella quale vengono esposti i contenuti del poema e presentati alcuni tra i passi più noti; in «Tre millenni di Odissea» si snodano le tappe del lungo tragitto percorso da questa figura, comprese le riscritture, le metamorfosi e le sue varie reincarnazioni; seguono la riproposizione de «L’ombra di Ulisse» (omonima pubblicazione del ’92), «Oltre le colonne d’Ercole, fino a noi» (dedicata al ‘folle volo’), «L’avventura delle immagini», «Ulisse nel mondo». In chiusura, il canto dantesco di Inferno XXVI, quindi le serie di «Frammenti e Letture».
La postura dell’autore è in tutto simile a quella dell’aedo, che raccoglie i materiali e con abilità li cuce in un tessuto di parole che si rivela necessario all’identità di chi legge. Gli dèi mandano le sventure agli uomini perché questo divenga materia di canto; dunque conoscenza e dolore, da Omero a Wordsworth e oltre. Ulisse rappresenta la «tragedia del sapere» che impone una scelta: «da ciascuno di noi dipendono l’evadere, o il lottare, il cercare il trovare e il non cedere».
Opera di fatto enciclopedica, Il grande racconto di Ulisse è uno sterminato racconto che mette in scena la proliferazione di significati riverberati dal personaggio Ulisse secondo un meccanismo che comprende anche la generazione di altri racconti e di altra poesia, e implica in sostanza anche quello che continua ad accadere tra Ulisse e l’autore. Se Ulisse è il viaggiatore per eccellenza, Boitani è il professore che ha fatto continuare i viaggi del proprio eroe rappresentandone il mito in giro per il mondo, accompagnandone e illustrandone le imprese, soprattutto – come si sottolinea – in quegli spazi d’oltreoceano che Dio non aveva permesso che l’Ulisse dantesco solcasse.
Insidie dell’gnoto
Non c’è viaggiatore che affronti le insidie dell’ignoto che non si rifaccia al personaggio omerico, l’unico antico a essere punito e dannato da un Dio che non poteva conoscere. Il figlio di Cristoforo Colombo, viene qui ricordato, lascia scritto di essere convinto che suo padre abbia portato a compimento il ‘folle volo’ di Ulisse. Anche i successivi esploratori saranno sostenuti da tale convinzione, così che il raggiungimento e la conquista della nuova terra americana sono stati letti come l’inveramento cristiano del desiderio espresso dall’eroe pagano. Ma è con l’Ulisse dantesco che l’avventura della conoscenza di cui Ulisse è l’emblema giunge a decisiva maturazione poetica. Con Inferno XXVI e Purgatorio I Dante inscrive il suo proprio viaggio nei confini dell’esperienza ulissiaca. È lui il vero, moderno Ulisse, il personaggio autorizzato a varcare il limite posto all’umanità, capace di giungere all’estremo orizzonte e soprattutto capace di tornare indietro. Quell’aldilà che Ulisse e i suoi compagni avevano potuto scorgere solo per un istante prima di essere sprofondati negli abissi, è ora invece pienamente accessibile. Dopo Dante, l’Ulisse omerico muterà per sempre profilo.
Boitani è in grado di rintracciare il DNA di Ulisse anche dove i segni sono meno evidenti. Oltre i più canonici (Tennyson, Leopardi, Joyce, Borges, Brodskij, Levi, Calvino) moltissimi artisti (Brueghel, Canova, Attardi, Manzù, Mozart…) traggono ispirazione dal personaggio che fa del viaggio e della menzogna i propri tratti distintivi.
Carattere proteiforme
Intrinseco delle forze più fonde e primigenie dell’umanità, Ulisse è un segno che non si limita a rappresentare un significato. Il suo carattere proteiforme si fa latore di un sovrappiù di senso che non può non conquistare il lettore moderno. Boitani, sulla base di una materia universalmente nota e familiare, edifica un racconto con il quale accompagna nell’alto mare di implicazioni sorprendenti. La sfida è alta. Con astuzia pari a quella mostrata dall’eroe greco, vengono sapientemente ridestate nel lettore memorie fondamentali che renderanno possibili quel riconoscimento, e quell’autoriconoscimento, sperimentati dal medesimo Ulisse alla corte dei Feaci. Che l’eroe pianga all’udire la sua propria storia per bocca di Demodoco è un particolare che Boitani più di una volta ripropone, quasi adottando egli stesso quello stile formulare con le ripetizioni di marca omerica che faceva sì che l’aedo continuamente richiamasse e mantenesse vivi alla coscienza degli ascoltatori i singoli elementi di una storia tanto complessa. Dunque il racconto ‘cucito’ dell’aedo riattiva la memoria di Ulisse e lo porta a vedere se stesso. Il pianto non è che il segnale dell’avvenuto riconoscimento e della riconquistata identità: l’eroe, ridotto alla nudità, con il corpo cosparso di sale, deve ascoltare la propria storia raccontata da un altro per ricominciare a vivere e ad agire.
Sulla scorta di questo libro dottissimo, tutto aperto e godibile, il lettore che raccoglie la sfida compie anch’egli un viaggio con l’intento di conquistare ciò che è lontano, per poi ritornare a un sé che includerà di fatto tutti gli ‘altri’ nei quali l’eroe si è via via imbattuto o travestito. La sporgenza dell’io di Boitani, avvertibile regolarmente nelle pagine, ha una funzione narrativa precisa e avvicina l’esperienza di lettura e di studio dell’autore a quella ulissiaca. Rievocare la fascinazione infantile e la protratta passione per l’Odissea non è dunque un gesto di esibizione narcisistica, ma risponde a una strategia, tesa a dimostrare la vita inesauribile della cultura classica e quanto di quella cultura, anche al di là della soglia della consapevolezza, il presente si sostanzi.
Riconoscere è un dio è appunto il titolo di un saggio di Boitani dedicato al processo oscuro e difficile grazie al quale avviene il riconoscimento di un’identità ignorata o smarrita. È la dimostrazione che il mondo classico e tutto l’intreccio delle sue storie, che stanno sepolte nel fondo della coscienza e ne determinano la dimensione, possono essere riportate alla luce e rese di nuovo attive. Ed è partendo da lì che si può riprendere il cammino.