Quando uomini e dei parlavano nella lingua degli eroi Achei.
Decifrata una tavoletta di bronzo che è un pezzo unico “Così è riemersa dall’antico santuario di Kaulonia”
di Gabriele Beccaria (da La Stampa TuttoScienze 03/09/14)
Tutto è fragile, fragilissimo, nella città perduta di Kaulonia. Come la tavoletta riemersa da quasi 25 secoli di sonno a pezzi e pezzettini e che ora, ricomposta, ripulita e in via di decifrazione, ha ricominciato a diffondere un enigmatico messaggio di orgoglio e devozione, in cui uomini e dei intrecciano i propri destini.
Carmine Ampolo, professore di storia greca alla Scuola Normale Superiore di Pisa, racconta che questa voce congelata su una tavoletta di bronzo – alta 12 centimetri e mezzo e larga 25 – è straordinaria. Un esemplare unico e che quindi ha del miracoloso. «E’ una dedica votiva, che contiene il testo greco più lungo in alfabeto acheo mai ritrovato in tutta la Magna Grecia».
Kaulonia si trova in un angolo di Calabria, a Monasterace, e, nonostante le pietre che affiorano abbondanti, mantiene le sembianze di un miraggio. Affacciata sul mare, scavata un secolo fa da un padre dell’archeologia italiana, Paolo Orsi, oggi il suo santuario – quello di Punta Stilo – è pericolosamente in bilico e rischia di essere divorato dai crolli e dalle mareggiate, nonostante gli scavi che il team di Ampolo conduce dal 1999 (e le promesse d’intervento del ministero). Qui, con la collega Maria Cecilia Parra, professoressa di Archeologia della Magna Grecia all’Università di Pisa, ha concentrato tutto l’high tech disponibile per gli archeologi del XXI secolo. Un drone con cui mappare la colonia che gli Achei del Peloponneso fondarono sullo Ionio, non lontano da altre città come Metaponto, Sibari e Crotone, e le immagini ad altissima risoluzione ottenute con il microscopio elettronico e tecniche di retroilluminazione, quelle che hanno fatto riemergere le 18 righe dell’iscrizione.
Diciotto righe, dove le lettere sono disposte in ordine geometrico, in senso sia orizzontale sia verticale, creando una scacchiera che gli addetti ai lavori definiscono «stoichedon» e in cui sono racchiuse tante sorprese. A cominciare dai personaggi citati. «Il committente fu Pythokritos, “figlio di Euxenos, figlio di nobile padre”, e conosciamo perfino l’autore di una statua collocata nell’agorà (o di una sua riproduzione in scala ridotta nel santuario), che si è firmato: è l’artista Apollodotos». Una forma di protagonismo che, per la Magna Grecia e l’epoca, è un evento quasi senza precedenti.
«All’inizio – spiega Ampolo – si legge l’invocazione alla divinità e segue il riferimento alla statua di Zeus eretta nell’agorà, “di cui tu, o Signore, sii lieto e concedi buona salute a Pythokritos”. Si continua poi con versi con riferimenti alle Grazie, ad Artemide, ad Apollo e alle Muse e all’accoglimento del dono e del monumento di Zeus, entrambi ricordati più volte». Uno spaccato di politeismo in un testo – aggiunge il professore – complesso e ancora da indagare, «che ci restituisce, tra l’altro, forme di devozione dell’aristocrazia di Kaulonia, a cui Pythokritos, di certo, appartenne».
Ma, mentre Kaulonia vibra con i contorni del miraggio, che cosa si potrebbe intravedere se, viaggiando nel tempo, si tornasse al 470 a.C., quando presumibilmente furono incise le 18 righe? Si passeggerebbe per una città in espansione grazie a una fitta rete di scambi commerciali (disponeva non a caso di un doppio porto) e ci si ritroverebbe davanti a un imponente tempio dorico, forse dedicato a Zeus o forse no. La tavoletta delle meraviglie era lì vicino, affissa su un sostegno, come rivelano due buchi per i chiodi alle estremità superiori. Difficile, fantasticando ma non troppo, non immaginare altre dediche e oggetti votivi in bronzo o in terracotta, uno accanto all’altro, in un’area di devozione coperta da una struttura piuttosto ricercata: si deduce – dice Ampolo – che fosse una specie di baldacchino di legno, con un tetto decorato da gocciolatoi modellati come teste di leoni.
Sotto la copertura si svolgevano riti e si deponevano offerte. Tra queste, tante armi: pezzi privilegiati, dato che nel tempo è stato ritrovato un campionario di elmi, scudi, schinieri, spallacci e spade corte, oltre a punte di lancia e di freccia. Un luogo di vita e morte, di preghiera e sangue che oggi appare come l’incrocio multicolore (secondo una perfetta logica pagana) tra la raccolta di reliquie e il museo e in cui si affollavano microstorie individuali e grande storia collettiva. La terra, purtroppo, ha riassorbito la catastrofe e digerito quasi tutto, quando intorno al IV sec. a.C. l’area di culto fu schiacciata dal crollo del tempio, abbattuto – si suppone – da un terremoto. Ma, sebbene strappata e schiacciata, la tavoletta è tra i «sopravvissuti».
Un’ulteriore sorpresa – aggiunge Ampolo – è che 16 delle 18 linee sono versi (esametri e pentametri, vale a dire una serie di distici), legati ad almeno due composizioni poetiche: «Un caso senza confronti nelle iscrizioni della Magna Grecia». E da lì emergono altri dettagli sulla religiosità degli abitanti di Kaulonia: devoti a Zeus, invocato come «Olimpio» e «Basileus», dedicavano un culto speciale anche ad Apollo (che infatti compare sulle monete cittadine). Ma – conclude l’archeologo – decifrazione e interpretazione non si possono considerare concluse. E a Kaulonia l’area da scavare resta enorme. Riemergerà prima o poi la statua di Zeus, ordinata dal misterioso Pythokritos e realizzata dall’altrettanto misterioso Apollodotos?