pubblichiamo il testo completo delle riflessioni sulla scuola già apparso a puntate su CLASSICS-CULTURA CLASSICA in fb
I puntata: “come sta andando?”
Non c’è mai stato come in questi ultimi decenni un rialzo delle iniziative e delle attenzioni per il mondo della scuola: dichiarazioni, 3 riforme o ufficiali o di fatto, corsi di recupero gratis, creazione dello “Scuola-Lavoro”, scambi culturali con l’estero, linee guida nazionali sull’inclusione, legge sui DSA e BES, animatore digitale e discussioni sull’uso degli strumenti digitali, registro elettronico, orientamenti “in entrata” e “in uscita” a tutto spiano, auto-valutazione di istituto con creazione di un sistema nazionale di visite di commisssioni (minimo 3 esperti con albergo, gettone, etc.) di rilevazione, ed un’esplosione inimmaginabile – rispetto al vecchio prof. dominante per tutti i primi 80 anni del ‘900, che decideva se un ragazzo valeva o no e assegnava un voto non sempre motivandolo – di sistemi “scientifici” di valutazione: griglie, schede, medie e criteri nazionali-della singola scuola (collegio docenti) e del singolo insegnante per valutare motivatamente. TUTTE QUESTE COSE COSTANO TEMPO, IMPEGNO, SOLDI AL PAESE. Nel frattempo, è aumentato il lavoro degli avvocati su ricorsi per non-promozioni et similia.
Gli strumenti per tali iniziative esistono e vengono incentivati, ormai, da ALMENO 20 ANNI. E’ venuto il momento di chiedersi non solo COME VA LA SCUOLA RISPETTO A QUESTI ORDINI DALL’ALTO, ma anche e soprattutto COSA STANNO PRODUCENDO TALI INIZIATIVE. Cioè è venuto il momento di valutare non più solo la scuola o le scuole, ma le INIZIATIVE DELLA AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA, che, come in ogni vera analisi scientifica, hanno bisogno di una visione olistica, globale e di Gestalt (e qui iniziamo subito a mettere a frutto la cultura antica, ricordando le basi della analisi valutativa storica di Polibio: REALE, GLOBALE, UNIVERSALE, BASATA SUI GRANDI SISTEMI MAI SCISSI DALLA VITA QUOTIDIANA DEI SOGGETTI NORMALI).
E’ quello che, umilmente, cercheremo di proporre nelle prossime puntate. (paolo)
II PUNTATA: VA PROPRIO COSI’ MALE? E LA VOCE UFFICIALE, E’ DAVVERO ALL’AVANGUARDIA E UNIVOCA, IN ITALIA E NEL MONDO?
La prima cosa da chiarire, la prima ammissione da fare è che le epoche passate (fra i trenta e i cento anni fa) non erano TOTALMENTE diverse per la quantità e la qualità dello studio nella scuola in genere. Probabilmente era un po’ diversa la percentuale di chi studiava seriamente o no, e soprattutto la severità del singolo insegnante (il che, accanto a una verità e a un rispetto maggiori, comportava spesso travisamenti, stroncature premature, malattie comportamentali, fallimenti nell’accompagnare ragazzi verso un auto-miglioramento). Libri come Pinocchio, Gianburrasca, Lettera a una professoressa e altri non sono stati scritti a caso, né da persone disinformate…
Potrei riferire (ma saprebbe di gossip) certi racconti di colleghe un tempo studentessse oneste e preparatissime su compagni di scuola, magari poi diventati loro mariti e ottimi prfessionisti.
MA CHE COSA ALLORA E’ CAMBIATO, IN UN MODO CHE E’ DOVEROSO CAPIRE E POSSIBILMENTE SANARE?
Si tratta probabilmente del rapporto tra l’ISTITUZIONE SCUOLA (parte opinabile, ma indispensabile della “REALTA’ CULTURA”) e da una parte gli insegnanti, dall’altra una vulgata
che circola fra gli alunni e anche in molte loro famiglie. Il “nodo” insomma, secondo chi scrive, sta nell’Amministrazione scolastica e nel suo rapporto con la mentalità comune italica. Tornenremo su questo specificamente e con esempi concreti nella IV puntata. Per ora iniziamo a occuparcene puntualizzando un presupposto teorico-pratico: QUELLA CHE L’AMMINISTRAZIONE MIUR INDICA COME META OTTIMALE DI INNOVAZIONE METODOLOGICA, QUASI FOSSE OVVIAMENTE L’UNICA, NON E’ TALE AFFATTO. Se chi legge prova a cercare “competenze” su internet in genere (e non su pubblicazioni – spesso proliferamti da parte delle case editrici per stare al passo e fare soldi- dedicate e specialistiche, o sul sito ufficiale del MIUR), tipo con un motore di ricerca, trova di “prima botta” ben poco: questo ben poco, dopo essersi attorto su discorsi anche buoni ma che potrebbero occupare la metà dello spazio, e che riguardano il rapporto STUDIO-APPLICAZIONE REALE IN COMPITI DI REALTA’, è costretto a riconoscere verso la fine che “competenza” è anche e soprattutto ESSERE CONSAPEVOLI DEL PERCORSO FATTO PER ARRIVARE A CONOSCENZE-ABILITA’ TEORICHE E, SOPRATTUTTO, ALLA CAPACITA’ DI APPLICARLE. Ora questo, non è mai stato così inesistente come nella scuola italiana di adesso, mentre, magari inconsciamente, era LA SCUOLA (raggiunta o pretesa dal discente) di tempi antecedenti (da 40 anni fa circa all’indietro). Posizioni come quelle di GIUSEPPE PONTIGGIA (che fu anche lavoratore non-intellettuale e insegnante di scuola media), ADOLFO SCOTTO DI LUZIO, GIULIO FERRONI sono da almeno trent’anni critiche e interlocutorie, quando non preoccupate e contrarie, riguardo la linea educativa e tecnica auspicata dall’Amministrazione, e citano abbondante bibliografia italica e straniera a sostegno della propria posizione. Gli esperti ministeriali a tale proposito di solito rispondono così: facendo finta che tali posizioni non esistano.
Esiste una complicata (dispendiosa) macchina di trasmissione fra il centro (non politico ma organizzativo-didattico) e la periferia (leggi: presidi), che dopo avere costretto i vari gradi intermedi discendenti a faticosi indottrinamenti, pretende la restituzione. E’ un po’ come quando i ragazzini spartiati, dopo anni di privazioni e scuola di guerra, entravano a essere i guerrieri e la nobiltà terriera del loro paese. E’ un po’ come quando un architetto avvenirista, pur di vedere i suoi progetti realizzati, accetta di sbatterli in un quartiere liberty cavourriano. Parlate con presidi positivamente famosi e amati da colleghi e ragazzi, che siano andati in pensione da pochissimi anni, e avrete un quadro parrèsico della situazione.
In coda: dispiace che alcune/i colleghe/i impegnate/i e preparate/i intendano l’invito didattico di cui sopra come un obbligo morale e professionale verso lo Stato e i propri superiori: questo obbligo non c’è, anzi la nostra stupenda Costituzione lo nega…
III PUNTATA: IL REALE “TEMPO-SCUOLA”, PER DISCENTI E DOCENTI
Ci sono varie “prove” per poter affermare, senza polemica e senza ombra di dubbio, che l’attuale situazione organizzativa e le richieste – talvolta ineludibili – dell’Amministrazione costituiscono freno e danno ad un buon andamento della scuola, soprattutto della scuola “non dell’obbligo”, e soprattutto di quelle scuole ben definite, come il liceo classico, un liceo scientifico particolarmente attento alla matematica e alla fisica, un tecnico con indirizzo meccatronico (solo per fare tre esempi di ambiti SPECIFICI). Prendiamo “in diretta questo MESE-TIPO di chi scrive: in una classe con due sotto-indirizzi linguistici ho metà alunni all’estero e metà no. Quando l’iniziativa è finita, ne ho da metà a 3/4 in ASL (“scuola lavoro”); contemporaneamente colleghe/i che hanno meno ore, ma non prove più lerggere, mi chiedono ore per poterle fare svolgere meglio; ci sono state due uscite occasionali; inoltre assenze per malattia e assenze (poche) per “forcatura”.
La cosa più incresciosa e offensiva è veder prendere questo fenomeno come “normale”, addebitando al singolo insegnante critico una mentalità arretrata che desidererebbe la lezioncina tradizionale e “il potere” su tutto. Niente di più falso: si tratta di mancanza di “completezza classe ” e soprattutto di “continuità discorso”. Si aggiunga il fatto che chi usa – come il sottoscritto – strumenti come proiezioni, collegamento a Treccani scuola on line, visione diretta di filmati su scoperte archeologiche, di mappe e cartine geografiche, etc., spesso non ha la connessione, o ha l’aula proiezione occupata mentre il riflesso del sole forte impedisce un buon uso del proiettore “piccolo” in aula-base-classe. E questo in una scuola con buoni tecnici ATA, con persone che van d’accordo e con una discreta attrezzatura base. Conosco situazioni di scuole dell’obbligo ben peggiori.
Un buon Amministratore scolastico non dovrebbe dormirci di notte su tale fenomeno diffuso. Anche perché al fatto educativo, prossèmico, istruttivo, si unisce un fatto quasi giuridico: perché i genitori hanno iscritto il figlio a QUELLA scuola? Per vederselo sballonzolare fra orientamenti, visite esterne, ASL, simulazioni imposte, iniziative INVALSI o, ad esempio, perché veda LEGGENDO DIRETTAMENTE E DISCUTENDONE CON PROF E COMPAGNI, come l’UOMO nei secoli ha visto il lavoro, il guadagno, i rapporti con l’ambito familiare e giuridico, i rapporti con la parola e i modi di esprimerla, i sentimenti?(Esiodo). Queste cose, come l’ultimo esempio, sono dotate di una modernità, di una utilità, di una attualità enormemente superiori a quelle che l’Amministrazione spaccia come educative. Certo: se il curriculum valutativo prevede passi appunto curricolari, obbligatori, da esprimere per omogeneità e “democrazia” in questionari precotti che si rifanno a pagine di manuali che cambiano i colori ma dicono più o meno sempre le stesse cose, che l’alunno legge con noia ma studia a memoria per fare appunto la prova (altro che “verifica” come punto di approdo delle abilità e competenze raggiunte!!!), inutile, come dicono i ragazzi, “sbattersi”.
Già, la programmazione…abbiamo già detto nelle puntate precedenti come luminari della cultura abbiano dileggiato questo aspetto: esso è veicolo – come nei virus – dell’errore di Edipo; Edipo era un ottimo governante moderno, razionalista, che sapeva definire l’uomo di Aristotele: un essere bipede etc. dotato di parola. Peccato che finì come il pollo di Diogene.
Ricordo che al rientro da un periodo ASL in cui l’Amministrazione mi COSTRINSE a passare il tempo SENZA CLASSE, cioè a fae il fannullono mio malgrado, il Dirigente mi disse che, tra l’altro, quel periodo andava “verificato in classe nelle discipline curricolari”. Annunciai dunque un saggio (o verifica) sul lavoro nel mondo antico confrontato con la loro recente esperienza. I ragazzi (un classe buona, sia moralmente che dal punto di vista dello studio), mi misero in croce col tipico “prof. cosa ci mette”. Diedi qualche indicazione di massima. Nell’80% dei risultati mi ritrovai di fronte a riasssuntini delle parti del loro manuale dedicate alle Georgiche di Virgilio.
Mi colpì una ragazza, una delle migliori, che era tornata da sei mesi in Australia, grata per l’esperienza, ma per nulla entusiasta, che scrisse chiaro e tondo che certe iniziative, come l’ASL (che aveva frequentato con l’impegno dovuto) son delle stupidaggini che non servono a nulla…
Servirebbero se i ragazzi vi fossero costretti venti giorni d’estate, e tornassero con gli attestati e una loro libera, parrèsica relazione critica su come è andata. …
IV PUNTATA: LA REALE SITUAZIONE SOCIALE
Si torna, nei nostri giorni, a citare don Milani. Talvolta per le solite frasi fatte, senza crederci, incollandolo come un link nelle nostre visioni ripetitive. Altre volte, da parte di persone di competenze e estrazioni diverse, a ragion veduta…
Non so quanto l’interessato ne sarebbe ora contento. La sua posizione fu sempre chiara e semplice: come prete (più che altro come parroco) e come cittadino adulto colto, doveva far qualcosa per l’istruzione in un posto di campagna che impediva la promozione della persona giovanissima nel modo in cui la Costituzione la prospetta e la richiede.
Comunque sia, allargando surrettiziamente (ma non troppo disonestamente) il discorso dalla campagna a tutto lo Stivale, l’idea di don Milani rimane chiara: in un paese in teoria UNICO, ci sono minorenni che NON POSSONO avere la cultura; questo produce menomazione degli interessati (quindi ingiustizia), e arretratezza del paese stesso, bloccando insospettate ma reali qualità.
Oggi non è più precisamente così: i pochi giovanissimi che decidono di rimanere nelle campagne profonde hanno spesso un diploma, e lo fanno cosapevolmente, lavorando tantissimo ma arricchendosi e provando soddisfazione. Nelle città ci sono certo differenze socio-economiche cogenti e cocenti, ma non appaiono così evidenti alla vista superficiale. La realtà, come i sociologi e gli storici contemporanei stanno studiando da più di una ventina d’anni, è passata da una società delle classi a una dei CETI. In altre parole, uno potrebbe mangiare un uovo sodo al giorno e andare in giro in Porsche, o per lo meno con la golf ultimo modello. Un altro spettro, una nuova ingiustizia si aggira per l’Italia: essa è la IGNORANZA COOPTATA. Non è raro vedere persone di formazione modesta che ottengono un piccolo avanzamento di carriera e da lì, dal primo giorno, cercano di dettare le proprie condizioni di fannulloneria a pari e anche a superiori, magari richiamandosi alla legge vigente, e/o vendicandosi con lettere allusive su un rotocalco o sui social. Non è raro sentire per la strada bestemmiare appositamente, a voce alta, ragazze vestite alla moda, identiche apparentemente a quelle che non vorrebbero farlo per nessua ragione. Non c’è nessun senso di liberazione sociale , o di “rivalsa femminista” in questo. Il messaggio è: mi sono guadagnato questo territorio: qui comando io e guai a chi me lo tocca. Non è raro e so quel che dico che colleghi/e delle medie inferiori che stavano tentando di intavolare un discorso educativo/istruttivo qualsiasi a fin di bene, si sentano domandare da un ragazzino di dodici anni: “ma lo dovremo sapere? Ma può farlo?” o sentano che mente sapendo di mentire in frasi tipo: “io non l’ho fatto perché lei non l’aveva messo sul registro elettronico”. Non è raro che insegnanti che non fanno mai un’assenza e hanno discreti risultati si sentano, pur garbatamente, ammonire perché, dopo avere consegnato un saggio corretto a tutti i ragazzi, ne hanno trascritto i voti sul registro elettronico il giorno dopo, e l’assenza di alcuni potrebbe costituire “falso in atto pubblico” (corollario: qualora ci fosse un ricorso); (secondo corollario: la modulistica fa parte dei doveri dell’insegnante), con buona pace di quel galileo (g minuscola) che diceva che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
C’è un fatto che colpisce in tutto questo: le persone (qui ovviamente immaginarie!) citate poco sopra sono sempre vestite bene; un poco, di base, si sanno esprimere e usano una prossèmica incipiente elegante. Lo hanno appreso sulle riviste, in TV, nel passaparola degli amici, sui social. Una volta l’abito faceva il monaco…
Intendiamoci: qualsiasi progresso sociale è un bene, porta maggiore dignità e possibilità di apparire come meglio si può e si vuole. Ma qui non stiamo discutendo di questo, bensì dell’usare il progresso personale a corrente alternata, senza sentirsi in dovere di usarlo sempre comunque e dovunque SENZA MENTIRE. Non è la prima volta: si trovano gustosi ritratti di questi attggimenti in passaggi di Shakespeare o nei Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos o nella Cripta dei cappuccini di Roth…
Che cosa è successo?
E’ successo l’esatto contrario di ciò che auspicava don Lorenzo Milani; l’istruzione e la cultura, in teoria, sono diventate una garanzia dovuta, mentre i patti didattico/educativi si possono anche mettere sotto le scarpe.
Esiste una schizofrenia della scuola: in moltissimi ragazzi, in molte famiglie, e anche in alcune persone di scuola: da un lato la scuola è diritto alla cultura, semprecomunquedovunque, senza “se” e senza “ma”. Dall’altro è una finestra da saltare e una minestra da mangiare, possibilmente nel modo più facile possibile; la realtà non è quella bella cosa da studiare IN SE’: è l’università, o la bella figura, o un lavoro SUCCESSIVI. E così la realtà è sempre “spostata in avanti”, mentre la vita che stai vivendo a scuola è una realtà di cui non ci si prende la responsabilità; magari in modo sereno, divertente, fiducioso. Una sera tardi tornando a casa ho sentito una bambina sugli otto anni che raccontava compiacuta di avere fatto sempre la stessa domanda inutile tre giorni di fila alla maestra che paziente rispondeva per prenderla in giro. Cose innocue. Già, peccato che il papà, elegante e sportivo, non le disse niente. Non dico di arrabbiarsi o rovinarsi la serata o avvilire la bambina, ma almeno un “però capisci: potrebbe essere la tua mamma…” ci stava. E’ la stessa mentalità di “vado al classico perché non me la dico con la matematica” (non te la dici con la matematica a 13 anni?!!?), o : “latino allo scientifico? Roba vecchia!”. Qui non è piovuta una cartella dal cielo sui nostri ragazzi: questo E’, pari-pari, il mondo maggioritario degli adulti oggi. Non è raro partecipare a riunioni qualsiasi fra adulti in cui gli adulti (taluni dotati di alti titoli di studio) non sappiano distinguere tra opinioni e interpretazioni e discussione di dati, di fatti.
L’emblema di questo comportamento si paòesù nelle “occupazioni selvagge” frequenti fra gli anni “90 e i primi 2000: si iniziava a novembre, si sbaraccava una settimana prioma di Natale patteggiando una ibernazione di prove scritte e orali, si proseguiva la vacanza. Bisogna riconoscere che l’arma più efficace che produsse un indebolimento del fenomeno fu l’atteggiamento di ridicolo che praticarono alcuni giornalisti, alcuni politici e alcuni professori. Sempre troppo pochi…
Forse qualcuno degli eventuali lettori potrà pensare che questa è la frustrazione di un prof. che vorrebbe più potere, non vorrebbe la docimologia valutativa e simpatizzerebbe per Gentile. E qui si coglie il nodo: personalmente, vado a scuola volentierissimo sempre, ho un buon rapporto umano con TUTTI gli alunni, e-pur in una percentuale non altissima- rilevo in loro significativi progressi. Progressi normali in quasi tutti. Il punto è un altro: una scuola della programmazione, dell'”interruzione didattica”, della valutazione a “griglie” permette all’alunno e/o alla famiglia di non riconoscere con se stessi (o di far finta di non riconoscere) che dentro la data prova, magari compessivamente buona, ci sono un paio di stupidaggini su aspetti indispensabili straspiegati che sono INAMMISSIBILI, non so: non sapere quando visse Maometto; scambiare il concilio di Nicea col contenuto tecnico del Vaticano II, o aver dimenticato, dopo il biennio , la data aspprossimativa delle Guerre Persiane differenziandola da quella della Guerra del Peloponneso; o ancora, in un esame scientifico con l’orale di matematica, dimostrare occasionalemte che non ci si preoccupa più di CHE COS’E’ la fisica. Queste cose non han niente a che fare con : “gli insegnanti non sanno motivare e incentivare. Lo hanno invece con una società e un’Amministrazione che le ha costruite e diffuse.
E’ abbastanza insulso attribuire questa realtà a fattori come l’I-phone, lo Smartphone, facebook, la TV, il sesso giovane, la diffusione della droga, etc.. Sono certo ambiti da trattare, ambiti importanti e delicati. Ma alla base c’è un ARCHETIPO: esso è il disprezzo per la cultura. E il narcisismo di metter in piazza il fatto che, senza cultura, si vive anche meglio (soprattutto se si è furbi e figli di furbi…). Un’Amministrazione, dai punti più alti a quelli più bassi, dovrebbe interrogarsi giorno e notte su questo; e lungi dal lanciare crociate o emettere, con fare oracolare, le ennesime “linee guida” dire chiaro e tondo che cosa in questo paese, in quella scuola, in quella classe è IRRINUNCIABILE, e che cosa è piacevole, bellissimo, europeo, inclusivo, ma è ancillare e contesto dell’irrinunciabile.
E’ don Milani che ci racconta un aneddoto: giovane seminarista, si trovava con i suoi compagni in seminario d’inverno – riscaldamento completamente inesistente – a studiare fregandosi le mani per il freddo. C’erano per caso operai nei corridoi per aggiustare strutture rotte. A un certo punto uno disse: “Eh, loro sì che fanno la bella vita!” …
V PUNTATA: UN RISPARMIO REALE? (E IL “PROBLEMA ISCRIZIONI”)
Da circa vent’anni si cerca di risparmiare soldi statali anche dalla scuola, e alcune decisioni potrebbero essere dettate anche dall’intenzione di non “tagliare” aspetti che tocchino direttamente l’insegnante (inteso come singolo o come gruppo lavorativo sociale) e la didattica. Ciò che si chiama “razionalizzazione” e “riorganizzazione” è conugato in realtà, in concreto, con due azioni: “inzeppare” l’orario completo degli insegnanti in servizio indeterminato di ruolo, e accorpare scuole. Di tali azioni si rende conto nei bilanci di Amministrazione che sembrerebbero aver sortito, almeno in parte, i risparmi ricercati. Salteremo qui a pié pari interpretazioni di parte (cioè : di chi scrive) sugli effetti non-virtuosi di quanto sopra (ad esempio la dannosità di accorpare scuole dello stesso tipo e livello, ma con insegnanti e una politica culturale molto diversi fra loro, che avevano una loro identificazione per gli abitanti di una città: si tratta di operazioni che non sortiscono mai la solidarietà e la linea concorde che si auspica, per ragioni evidenti. Ma – oltre al fatto che è meglio astenersi da proprie letture – l’argomento ‘stavolta è un altro…).
In realtà i risparmi di cui sora si parla potrebbero risultare minori di quelli annunciati, o addirittura apparenti. Prima di spiegare, un due parole, perché, proviamo a rispondere a queste domande:
-perché il debito pubblico aumenta, se tutti i dicasteri applicano le politiche di risparmio
-come mai all’inizio di ogni anno scolastico c’è bisogno, con un sistema di assunzione farraginoso che è stato via via peggiorato, di supplenti annuali e di vari interventi più o meno lunghi di supplenti temporanei (e , per quanto mi riguarda, ben vengano, perché al 90% ho sempre visto lavorare, anche se maltrattati, giovani appassionati e preparati)
Se il lettore non si accontenta delle proprie libere risposte a queste due domande per spiegare l’argomento di fondo, allora semplicemente diremo che i “capitoli” di risparmio non tengono conto della spesa corrente per far fronte a classi scoperte, imprevisti vari, difficoltà improvvise. E quidi abbiamo risultati non falsati in economia virtuale, ma non in economia rerale. E’ come quando certi enti statali o parastatali vendono o impegnano beni reali, er tranquilizzare il credito bancario o il governo globale, ma poi devono spendere durante l’anno (magari affittando il dato edificio che è lo stesso venduto prima…).
Tutto questo comporta più impegni, più preoccupazioni, un maggiore agitarsi da parte dei dirigenti atutti i livelli per il lato economico-organizzativo lasciando in ombra quello didattico-disciplinare. D’altronde, anche quando si fanno proposte di costosissimi e lontani aggiornamenti, essi non riguardano le importantissime scoperte che in linguistica, in biologia, in fisica, in filosofia si sono verificate in questi ultimi 30 anni, ma aspetti organizzativi e valutativi. Ciò induce un aumento dell’ignoranza travestito da modernità, nel paese.
Parente diretto della fissazione per l’organizzazione (che però non sembrerebbe produrre linearità, semplificazione, luoghi di lavoro dal clima armonioso, etc….) è la preoccupazione per il dimensionamento della propria scuola: la paura di essere accorpati produce, specialente in provincia, uno spreco di energie nel romuovere la propria scuola con iniziative “di moda” a cui manca l’idea del “pilota”, che in un paese che dà ciò che promette a chi si iscrive a un indirizzo culturale può, e per correttezza DEVE essere l’aspetto di indirizzo fondamentale indicato dalle materie caratterizzanti appunto quella scuola. Anche quando il cosiddetto “orientamento” è onesto e sincero, questa situazione (che tra parentesi, seppur accompagnati da molto lavoro volontario gratuito di alcuni colleghi, richiede investimenti della singola scuola volti principalmente a tale ambito), questa situazione contiene in sé un pericolo molto grosso che viene sottovalutato: identificarte la data scuola con quel nome e con l’ambito sociale di scelta, e non con l’indirizzo culturale caratterizzante e fondamentale. Cioè, col sorriso sulle labbra, una realtà schizofrenica.
Si otrebbe scoprire che la fasraonica macchina di concorsi difficilissimi per dirigenti, di orientamenti vari, di ingrandimento amministrativo di scuole ha prodotto più una modulistica e una serie di affermazioni che un reale risparmio.
Sicuramente non ha prodotto un progresso culturale: si può alzare spallucce e adirarsi per la distanza fra un paio di mondi appartenenti entrambi all’ambito del sapere, ma la lettera dei 600 universitari sullo scarso livello linguistico degli attuali 20-25ENNI (tra parentesi: chi ha iniziato la scuola elementare quando è stato creato l’INVALSI) rimane, ed ha le sue concrete cause e motivazioni…
VI PUNTATA: LA TESI E L’ANTITESI CHE SI FANNO IN ANTICIPO SINTESI (e la diseducazione alla scuola)
La filosofia, quella vera, è una cosa seria. Tanto più che un filosofo che presiede ottimi gruppi dedicati all’ontologia ci informa che anche l’imbecillità è una cosa seria (dopo aver dichiarato imbecille per primo lui che scrive, e io aggiungo: per primissimo chi scrive qui, il sottoscritto), perché solo quando l’uomo si rende conto delle imbecillità intraprese produce qualche piccolo progresso sulla strada della verità e della non-imbecillità pratica. Per questo non mi imbarcherò in un ambito (quello filosofico) che ho sempre ammirato, e da cui artigianalmente ho tratto tante riflessioni e consigli, ma che negli studi giovanili universitari non ho mai istituzionalmente praticato.
Una cosa però penso si possa dire: la TESI e l’ANTITESI sono fatte PER la sintesi: altrimenti non han ragione di essere. Forse non “sono” nemmeno. Questa sesta puntata vorrebbe sostenere che tesi e antitesi create e incentivate dalla Scuola si sostituiscono alla sintesi, che è per l’alunno e il Paese tutto semplicemente: crescere, nel corpo e nello spirito, il più buono e giusto possibile; studiare, apprendere, avere conoscenze a disposizione (ma sì… diciamolo: e competenze!).
Non è raro che, magari nel bel mezzo di un percorso educativo comunitario e personalizzato studiato apposta da un insegnante consapevole, una famiglia a completa insaputa dell’insegnante si rechi da uno psicologo privato – in quanto evadere tutte le richieste della cosa di cui stiamo parlando gratuitamente tramite l’ASL sarebbe impossibile, per cui esiste una serie sterminata di psicologi “accreditati” – che emette una diagnosi. La diagnosi è spesso consegnata alla scuola insieme a una richiesta dei genitori su carta intestata di un’Associazione, anch’essa accreditata (peraltro patrona di iscrizioni a pagamento) che oltre alla diagnosi professionale aggiunge consigli spesso con fare imperativo e ovvio. Quando finalmente tutto questo giunge sotto gli occhi di un Consiglio di Classe, esistono per la legge (e il bene del ragazzo coinvolto) solo due termini – in senso stretto – che contano: QUELLA diagnosi e QUEL C.di Classe, in particolare QUEGLI insegnanti nel momento dell’elaborazione prove e della VALUTAZIONE. La tesi e l’antitesi, in un dialogo costruttivo, si sono sostituiti surrettiziamente alla sintesi. L’insegnante è invitato (e spesso rimproverato da Dirigenti, familiari, psicologi/he Associazioni, etc…) a ESEGUIRE, non a costruire insieme all’alunno (si parta per favore dal presupposto che PER TUTTI , secondo chi scrive, la VOTAZIONE deve avere un uso dinamico e funzionale per una classe e per un ragazzo, e che certi contesti impediscono irrimediabilmente tale uso funzionale…).
Spostandoci di campo, ma a latere, vorrei dire con ottica del tutto personale che dopo 32 anni di esperienza in periodi lunghi presso scuole superiori sensibilmente diverse fra loro, e 35 anni di dialogo con colleghi/e estremamente positivi delle medie inferiori, i ragazzi con bisogni educativi speciali sono molti, molti di più di quanti sembrano: un/a ragazzo/a ricco proveniente da una famiglia carrierista che da una parte non mette la cultura al primo posto, ma dall’altra ritaglia in anticipo tutta la carriera di quell’essere umano, è un bes. Un ragazzo (di qui in poi si dia per scontato o/a) che per lo sport o l’amore per un hobbie o per qualcosa “più che hobbie” diminuisce fortemente lo studio, oppure lo porta avanti bene a costo di fatiche immani, malattie, stanchezze e simili, è un bes. Un ragazzo che non “finisce male” ma è costantemente in compagnie dove si finisce male è un bes. Un ragazzo che frequenta associazioni di socializzazione, religiose o laiche, e usa più o meno inconsciamente questo suo impegno per non sedersi almeno un pochino, ogni giorno, alla scrivania solo con se stesso a riflettere su ciò che ha capito o no a scuola e a applicarlo o prepararsi domande di chiarimento al prof., è un bes. Un gruppo di ragazzi che sono riusciti a attraversare le medie inferiori preparandosi su quantità di apprendimento fisse e acritiche ed avendo un mondo tutto loro, che non “si sbottona” mai con gli adulti, e vogliono imporre tale antropologia nelle classi successive, sono bes, e rischiano di ridurre a bes i compagni diversi da loro. Pochi ragazzi che frequentano la scuola non solo sperando di divertirsi il più possibile e non fare granché fatica, ma interpretando la scuola unicamente come luogo di incontro per accordarsi per divertimenti continui, molti anche illeciti e non vogliono fare NESSUNA fatica, sono bes. Dei genitori che non sanno seguire almeno un poco di revisione domestica di ciò che si fa a scuola, e vanno a protestare per i “troppi compiti”, si procurano dei figli bes. Dichiareremo bes la metà o più della popolazione scolastica?!? E’ possibile trovare, almeno tentare, altre soluzioni, di cui parleremo nella prossima puntata. Con gli esempi si potrebbe continuare…
A parte dichiarare folle chi scrive, di solito queste situazioni sono bellamente affidate al singolo insegnante: solo lui può (spesso sbagliando) di volta in volta scegliere se è meglio – considerato ciò che rischia quel ragazzo – sperare che continui a frequentare quell’associazione, a essere incentivato dalla famiglia nella carriera, etc., o se – per il suo bene – cercare di mostrargli la sua grave incomprensione degli apprendimenti e i rischi che corre: nella vita e nella cultura (che a qualcosina servirà, no?). Ancora una volta la cultura elaborata ma popolare supera la scuola: un “televisivo” come La compagnia del cigno o una puntata di quelle sapienti e responsabili di Un posto al sole fanno riflettere sulla realtà giovanile e i suoi bisogni molto più di tante linee guida o aggiornamenti costosi. Ma, soprattutto, ci mostrano che la vita è una serie di SCELTE, e che il mondo adulto deve aiutare nel farle, non GESTIRLE al posto del ragazzo.
Purtroppo assistiamo a un’epoca in cui alcuni insegnanti stessi (peraltro in buona fede, capaci, stimabilissimi) praticano una scuola in cui i problemi di cui sopra non sono problemi, ma spunti da usare proprio per far bella la scuola. E questo, facendo i conti senza l’oste, in certi periodi è stato quasi affermato dall’Amministrazione.
Dovrebbero far riflettere anche episodi un po’ comici, come il corso-Sophia sull’esorcismo : non tanto ridicolo in sé (tutto è antropologia…) ma perché ha sollevato un polverone e dopo una settimana è stato tolto dalla piattaforma. Oppure il fatto che l’attuale Ministro MIUR, che si era dichiarato in nomina favorevole allo “scuola-lavoro”, cambi il nome a questa iniziativa e ne diminuisca le ore, mentre chi lo ha preceduto NON VOLEVA SENTIR RAGIONI DI DIFFERENZIAZIONI O CRITICHE. Naturalmente non sto criticando l’uno o l’altro ministro, né l’iniziativa ASL: sto prendendo atto che cose presentate come spezzando il pane dell’aggiornamento a poveri insegnanti polemici, idealisti e arretrati non sono affatto univoche o scontate o ben funzionanti. E questo non dipende certo solo dalla politica. Tutti sanno che quando chi scrive era sedicenne lo “scuola-lavoro” negli alberghieri o in alcuni nautici funzionanti di fatto C’ERA GIA’,e funzionava; e tutti sanno che un vero “scuola-lavoro” per altri tipi di scuole dovrebbe prevedere la fase più importante dello scuola-lavoro (cioè cercarsi l’ente e farsi i fogli pertinenti) come fase autonoma del ragazzo (con le dovute, inflessibili garanzie); e che 20 ore invernali e venti estive SENZA INTERROMPERE LA CONTINUITA’ EDUCATIVO-DIDATTICA DELLE DISCIPLINE sarebbero efficaci e sufficienti.
Propongo un gruppo di studio di esperti “alti” che rifletta su come far in modo che la tesi e l’antitesi non si sostituiscano definitivamente alla sintesi…
VII PUNTATA: I CATONI CENSORI E I SALAPUTIA
Siamo giunti alla settima e ultima puntata di questi sproloqui sulla scuola. Ultima perché stringendo stringendo possiamo illuderci di aver buttato giù qualcosina di minimo e di essenziale. Se così non fosse, tutte le persone di scuola sanno che si potrebbe continuare per pagine e pagine: con esempi, con ragionamenti, con proposte. Ma meglio non esagerare.
Per dirigerci verso una qualche parziale conclusione concreta, ripeteremo una domanda già fatta nelle puntate precedenti: va tutto così male? Non c’è nulla da fare?
Beh, no: gente che non ha voglia di studiare (e solo perché non ne ha voglia); gente che impara a sfruttare le occasioni non per quello per cui esse sono state create; adulti ignoranti o cattivi che cercano di “mettere le mani sulla scuola” , ci sono sempre stati: basterebbe leggere certe pagine del Garofano Rosso o de L’esclusa o del Giovane Thörless per rendersene conto… La tesi qui era un’altra: cioè che un’intera parte della società adulta, e soprattutto dell’Amministrazione contribuisca di fatto al decadere della scuola, magari dicendo di farla progreditre.
Le speranze – di base – non sono perdute. Chi scrive abita in un punto della sua città al centro di almeno sei scuole di vario tipo e con alunni di età diverse. Andando al lavoro al mattino, gli capita molto spesso di incrociare coppie o terne di alunni, o genitori con figli, che stanno ripassando la lezione. Stanno ripassando DEI CONTENUTI. Delle conoscenze. A prescindere dalle ragioni che li muovono, significa che la scuola è ancora una parte in qualche modo importante, di riferimento della propria giornata e del proprio LAVORO. Perché al di là delle varie ASL e dei “compiti di realtà”, chi si iscrive a una scuola entra in una dinamica che dura da circa 5000 anni (lettera del papà egiziano che ammonisce il figlio che studia poco…) in cui lui SCEGLIE di assumere più conoscenze possibili, e possibilmente di elaborarle per usarle. E le discipline, le “materie”, sono il binario di questo percorso perché sono il binario della storia dell’uomo accanto a quello della sopravvivenza (sfamarsi, non morire, riprodursi…). Galileo non ha abolito la matematica o la teologia, le ha semplicemente riordinate. Socrate non ha abolito la filosofia, ha cercato di darle un ruolo. Tantomeno Gesù ha abolito la religione o la fede. Si dirà: “Lungi da noi abolire le conoscenze e le materie!!!”. Certo; ma se le interruzioni, il tempo, la cogenza dell’aspetto formale rispetto a quello sostanziale riducono le conoscenze, e la loro rielaborazione, a qualcosa di occasionale, breve e ancillare, la cosa assomiglia allo schioppo di Franceschiello: “Pirché, surdato, non avete sparato ao fuggitivo?” “Maestà, pe’ttante e svariate raggioni…” “Sentiamo!” “Primo: no tenevo o schioppo…” “Grazie: basta accussì!”.
Tornando a pensare in positivo, anche la filiera PROGRAMMAZIONE- DOCIMOLOGIA – GRIGLIE – VALUTAZIONE – COMPETENZE non è priva di fondamento: essa ha costretto gli insegnanti che giudicavano dalle prime mosse, che (magari in buona fede – vedi notorie pagine di Bertolt Brecht…- ) valutavano in anticipo, prima di un percorso fatto, se una persona umana “si esprimeva bene” o “non era adatto a questa scuola”, a render conto innanzitutto a se stessi di un modo di fare, di un “racconto” motivato delle proprie azioni. Personalmente, ho imparato a fare l’insegnante da alcune colleghe presso uno sperimentale nel passaggio anni 80/90, e sono grato alla vita e a loro di tale esperienza. Il problema è un altro:
l’INVALSI esiste da 22 anni: in un numwero equivalente di anni c’è stato ed è stato abbattuto un regime, quasi ci sono state due guerre mondiali; è stata rivoluzionata la fisica e la telematica. Quali discorsi nuovi ci sono? Quali miglioramenti? Quali i costi? E’ avere sotto mano una situazione statistica il FINE a cui tendiamo? Non è per avercela con un siongolo ente: diciamo che lo prendo a porta-bandiera di tutta una serie di dinamiche che sono prioritarie rispetto a un aggiornamento contenutistico (in linguistica, in fisica, in diritto e economia i mutamenti degli ultimi vent’anni sono eccezionali, e altrettanto eccezionale è l’arretratezza scolastica in proposito…) e a un rinnovamento dell’entusiasmo efficaci e sostanziali.
Soprattutto, dispiace lo schierarsi di massima del mondo adulto in proposito. Intenderemo, senza distinguere, un’immagine del mondo adulto assieme, senza distinguere azione genitoriale, istruttiva-educativa scolastica degli insegnanti, organizzativa dirigenziale, e politica.
Una parte di adulti è definibile dei Catoni i Censori: una volta si studiava, ora è uno sfacelo; meglio far finta di starci, essere onesti, e educare/ insegnare/ organizzare (possibilmente alla vecchia maniera) e poi adattarsi senza dare né plauso né disapprovazione. Tempi duri: molti ragazzi furbastri sono dove non dovevano essere…; si bocciasse un po’ di più…
Un’altra parte è definibile catullianamente “Salaputia”: sono sempre agitati, molti incattiviti, molti altri gaudenti; sono dappertutto; basta una piccola iniziativa di “colleghi” (altri genitori, altri insegnanti, altri dirigenti…) perché producano su WA una serie sterminata di cuoricini, di “grazie!!!”, di ditoni pollice. Non perdono occasione per rimpinguare e moltiplicare l'”offerta formativa” (formativa?), spesso in ore mattutine in cui il ragazzo all’atto dell’iscrizione aveva concordato di IMPARARE altre cose. In segreto, alcuni di loro pensano che sia un bene diminuire un po’ la noiosità del lavoro tradizionale scolastico. Come diceva Seneca dei tifosi: “guardano alla casacca”, cioè non alle cose che si fanno o all’istruzione dell’intero Paese, ma a espandere QUELLA scuola… Ciò produce un aumento di difficoltà dei colleghi che sìcercsano contatti basati su occasioni culturali e basta; disattenzione verso iniziative culturali non legate esplicitamente alla scuola (possibilmente alla propria scuola), minor tempo er calma dedicati all’autoaggiornamento diretto e autonomo…
Ci fermiamo qua. Fare proposte sarebbe presuntuoso. Facciamo però domande alla rovescia:
Tornare a scuole piccole sarebbe un errore?
Dividere più nettamente i tempi per gli apprendimenti seri di discipline da altre cose sarebbe dannoso?
Si possono risparmiare soldi in altra maniera?
I concorsoni, soprattutto quelli dirigenziali, hanno prodotto figure abbastanza omogenee, tranquille, che si occupano principalmente di didattica e hanno sotto mano la situazione?
Non c’è il rischio che i mezzi diventino i fini?
Quale considerazione è presente nell’amministrazione per l’auto-aggiornamento contenutistico e culturale in genere?
Grazie per l’attenzione e scusate, paolo