“Prima di bombe crolli e incuria Ecco la Pompei mai vista”, di Francesco Erbani (La Repubblica 22.07.14)
Pompei anni Venti, Trenta. Alcuni visitatori infagottati nei lunghi cappotti si aggirano per il Foro, entrano ed escono dalle domus, calpestano con prudenza il basolato antico. Sono figure nere, ieratiche, vagamente misteriose. Oltre a loro raggiungono gli scavi della città vesuviana turisti sorridenti, radunati su un treno come in una gita scolastica — nonostante l’età più matura. La scena in cui si muovono, documentata in una serie di preziosi video custoditi dall’Istituto Luce e da oggi visibili su Repubblica. it, è una Pompei muta, ordinata, incomparabile con quella rumorosa e pericolante di oggi, eppure affabilmente consapevole della suggestione che i suoi muri e le sue colonne comunicano.
Sullo sfondo del Vesuvio, dal quale si alza un pennacchio di fumo, sfilano nei filmati gli ambienti solenni e quelli domestici della città antica. Fra le immagini dei video, ecco comparire la Schola Armaturarum, l’edificio adibito a luogo di riunione militare, palestra di arti gladiatorie. Queste immagini, della durata di pochi secondi, sono importanti. Sono le uniche a documentare il manufatto prima del bombardamento che nel 1943, investendo parte di Pompei, colpì la Schola, distruggendo i suoi affreschi (ben visibili in quella manciata di secondi). Ma le immagini sono rilevanti anche per un altro motivo: la Schola Armaturarum viene giù nel novembre del 2010, primo dei crolli che hanno flagellato Pompei negli ultimi tempi, uno stillicidio di episodi di degrado che hanno raccontato al mondo la precarietà in cui la città antica sembra precipitata. E che in questi filmati sembra inimmaginabile.
Gli anni Venti e Trenta sono molto importanti nella storia moderna della Pompei antica. La parte di città scavata non supera i due terzi dei 44 ettari attualmente visitabili (sul totale dei 66 compresi nell’area archeologica). Ma sono assai attive le indagini per portare alla luce quanto più possibile di quel che è rimasto sepolto dalla cenere nel 79 dopo Cristo. Alla testa della soprintendenza delle Antichità in Campania c’è, dal 1924, un archeologo di grandi qualità, Amedeo Maiuri, il quale resterà per quasi un quarantennio, fino al 1961, il dominus assoluto di Pompei.
Maiuri si pone l’obiettivo, illustrato in una video-intervista da Fabrizio Pesando, archeologo dell’Istituto universitario orientale di Napoli, di riunificare le parti della città fino ad allora scavate, quella del Foro e quella dell’Anfiteatro, e separate da un terrapieno sotto il quale giace la via dell’Abbondanza. Lo scavo attribuirà a Pompei la sua vera dimensione: un organismo urbano che lentamente riemerge da un sonno secolare. Non solo, quindi, un insieme di pregevoli domus dove sono conservati oggetti da musealizzare. Lo stesso atteggiamento culturale Maiuri elabora per Ercolano, considerata solo per le statue, i bronzi o i papiri che si potevano estrarre dalle domus nelle quali si penetrava attraverso cunicoli. Dal 1927 Maiuri avvia lo scavo sistematico della città antica, nel frattempo sovrastata dalla moderna Resina.
Nei filmati del Luce questa fase è avvolta dalla patina retorica del regime, che distorce l’attività di conoscenza e di valorizzazione del patrimonio archeologico a fini di propaganda. La mitologia della romanità incrocia un’idea dell’antico fatta di monumenti isolati dal contesto del mondo classico e della sua cultura, premonitori solo di una gloria che andava compiendosi con il fascismo.
Oltre la retorica, brillano però le immagini. E Pompei continua a conquistare gli intellettuali. Dopo le fascinazioni settecentesche e ottocentesche all’insegna del Grand Tour, la città vesuviana è meta di un turismo culturale diverso, meno orientato al culto di una civiltà incorrotta, originaria e più sensibile alla dimensione quotidiana, alla socialità che lì si era sviluppata. Di essa parlano Sigmund Freud e Walter Benjamin («il più grande labirinto, il più grande dedalo della terra», la definisce
quest’ultimo). Nel 1911, alcuni anni prima dei nostri filmati, arriva a Pompei Le Corbusier che qui chiude il suo viaggio in Oriente. Agli occhi del grande architetto, Pompei appare un luogo assolutamente contemporaneo, del quale è possibile rintracciare e descrivere i modi dell’abitare. Le Corbusier riempie il suo quaderno di appunti, disegna la Casa del poeta tragico, la Casa delle nozze d’argento. Nel catalogo della mostra che si è svolta al Maxxi di Roma nell’ottobre 2012 («Le Corbusier e l’Italia», a cura di Marida Talamona), Josep Quetglas racconta che all’architetto restano impressi elementi come un lavabo, un tavolo o le finestre della Casa dei Ceii, che diventeranno fonti di ispirazione (nelle finestre della Cappella di Ronchamp, per esempio, o nei lavandini di Villa Savoye). È una Pompei che parla di sé a chi è immerso nella modernità. E sembra che i linguaggi, anche a distanza di secoli, si mescolino. È a noi che osserviamo la Pompei di oggi che quei linguaggi sembrano lontani.