Piaceri stoici, temperanza epicurea
di Ar. M. (Sole24ore domenica 30/3/14)
La famosa e, nei millenni, famigerata filosofia epicurea fiorì nel IV secolo a.C., nel cuore dell’Ellenismo, tra la Grecia e l’Asia Minore, ma a Roma dovette diffondersi relativamente presto, ancora prima di Lucrezio, se è vero che già nel 173 a.C., a un secolo dalla morte di Epicuro, il Senato decretava l’espulsione dalla città dei filosofi suoi seguaci, accusati di praticare e insegnare una condotta immorale, incentrata sull’esaltazione del piacere. Ma di che “piacere” si parla nella sapienza filosofica antica? Per capirlo piluccheremo tra i fiori del giardino, come direbbe Seneca (che amava appunto arricchire i suoi scritti di florilegi «colti dai giardini altrui»), di un’altra corrente, la sobria, insospettabile filosofia stoica. E per mettere in discussione le nostre idee più comuni riguardo al piacere daremo la parola a Marco Aurelio, che nei Pensieri non nasconde la vera e propria sensazione di godimento, per quanto di natura intellettuale, che è in grado di sperimentare nel portare a compimento il quotidiano «mestiere di uomo». «Bisogna considerare come un vero godimento tutto ciò che è possibile compiere secondo la propria natura» (X, 33). E ancora (XII, 29): «Ecco quello che ci salva nella nostra vita: l’esaminare bene a fondo che cos’è ogni cosa in se stessa, che cosa sono la sua materia e la sua causa; il praticare la giustizia e il dire la verità con tutta l’anima. Che cosa resta, poi, se non godere di vivere facendo seguire una buona azione all’altra, in modo da non lasciare il benché minimo intervallo?». Lo stesso Seneca, oltre a citare spessissimo nelle sue Lettere le massime di Epicuro, propone un’alternanza a prima vista ben poco stoica tra piaceri e doveri dell’uomo e del saggio: «Bisogna mescolare e alternare codeste cose… mantenere la mente costantemente nella stessa tensione, bensì richiamarla agli svaghi…» «E certo a ciò non tenderebbero gli uomini con così grande brama, se il gioco e il divertimento non avessero in sé un certo qual piacere naturale». E cosa dice Lucrezio, divulgatore più importante del messaggio epicureo a Roma, riguardo al piacere? Come insegna il maestro, «gloria della gente greca», gli unici piaceri che vanno perseguiti sono proprio quelli che nascono da un desiderio naturale e non superfluo, come quello di cibo o di bevande, se volto alla soddisfazione del bisogno senza eccessi. Mentre conviene guardarsi attentamente da tutti quegli impulsi che, come il desiderio sessuale, rischiano di alimentare una ricerca infinita di nuovo piacere, senza avere mai la garanzia di una completa soddisfazione, perché la «muta brama» pregusta il piacere, ma «quanto più possediamo, tanto più s’accende nel petto un desiderio selvaggio».