Per #amare serve coraggio e #Giasone ci aiuta a trovarlo
Il viaggio degli #Argonauti è una bussola per orientarsi nel mare della vita non si potrà mai essere del tutto soli se si prova nostalgia per qualcuno
di Enzo Bianchi, priore di Bose (La Stampa 3/3/18) Andrea #Marcolongo
Un sostantivo e un aggettivo, se ben scelti, sono la via più semplice ed efficace per rendere conto fin dal titolo del contenuto di un libro. È stato così per il primo lavoro di Andrea Marcolongo, La lingua geniale, che ha saputo riassumere la sostanza di «9 ragioni per amare il greco». È così per la seconda opera della giovane scrittrice che – dopo aver smesso di fare il «fantasma» per conto terzi e «raccontare un mondo non suo, irreale» – ha iniziato a narrare ciò che più le sta a cuore: il titolo La misura eroica detta infatti il ritmo all’analisi del «coraggio che spinge gli uomini ad amare», seguendo miglia dopo miglia «il mito degli Argonauti». Accostare l’aggettivo «eroica» a «misura» potrebbe sembrare addirittura un ossimoro, abituati come siamo a considerare l’eroe come una persona che compie imprese straordinarie, «smisurate» rispetto ai normali gesti dei suoi contemporanei. Invece «da millenni eroe è chi decide la sua vita», giorno dopo giorno, scelta dopo scelta e «la sua misura sarà sempre grande perché sarà quella della sua felicità». Eroe, allora «è chi accetta la prova chiesta a ogni essere umano, quella di non tradirsi mai», così come «misura» non è mediocrità o bassa frequenza, ma conoscenza di se stessi, rispetto dei limiti, equilibrio nel «liberarsi da» per acquisire la «libertà di»… scegliere, partire, amare, viaggiare, tornare.
Così, salpata dalla nativa città portuale di Livorno, Andrea Marcolongo dedica il suo lavoro «A Sarajevo,/ che non ha mare,/ ma sa essere per me sempre porto» e prende come guida Giasone e i suoi compagni a bordo di Argo – «la prima nave costruita al mondo … non per una guerra ma solo per amore» – seguendo onda dopo onda la navigazione verso il Vello d’oro e il passaggio all’età adulta di quei mitici eroi. Se Seneca potrà affermare che «nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare», Giasone e i suoi amici ci mostrano che il porto può anche essere ignoto, a condizione che non lo sia la meta, cioè il «perché» dell’andare per il mare della vita.
Come ci ricorda l’autrice attraverso le parole di Pessoa, «in questo mondo, viviamo tutti a bordo di una nave salpata da un porto che non conosciamo, diretta a un porto che ignoriamo; dobbiamo avere per gli altri una amabilità da viaggio». Ed è allora con amabilità che Marcolongo narra degli Argonauti per narrare della vita di ciascuno di noi, una vita nella quale «la scelta della nostra misura è affidata a noi soli», una vita in cui peraltro «non si potrà mai essere del tutto soli, se si prova nostalgia per qualcuno».
Tre piani si intrecciano nel racconto della Marcolongo. Innanzitutto la vicenda della peregrinazione marina alla ricerca del Vello d’oro che solo consentirà a Giasone di liberare il padre e riconquistare il regno della nativa Iolco: qui la padronanza che l’autrice possiede dei significati più profondi della mitologia greca conduce il lettore a coglierne la valenza universale a partire da dettagli sui quali non si soffermerebbe perché ritenuti non particolarmente significativi. Da questo approccio letterale e letterario sgorga spontanea la «traduzione» nel nostro quotidiano di uomini e donne del terzo millennio, smarriti in viaggi di cui studiamo nei dettagli l’itinerario trascurandone lo scopo: attraverso un uso «misurato» e mai saccente dell’etimologia, Andrea Marcolongo ridà senso alle parole e all’uso che potremmo farne non solo nel nostro parlare ma ancor più nel nostro pensare noi stessi e la realtà attorno a noi. Infine, presente come in filigrana, vi è l’evocazione di un testo su «come abbandonare la nave», un manuale redatto ai tempi della seconda guerra mondiale da un ufficiale di marina sopravvissuto in modo rocambolesco all’affondamento della sua nave mercantile ad opera di un sottomarino tedesco. Sì, perché a un certo punto è possibile che le vicende della vita ci obblighino ad abbandonare la nave che ci ha condotto all’età adulta, ma esiste un modo per non voltarsi indietro custodendo tuttavia la gratitudine per il passato che ci ha plasmato.
Anche Giasone tornerà a casa assieme ai suoi compagni naufraghi superstiti – ma «colmi di gioia», come annota Apollonio Rodio in chiusura delle sue Argonautiche – e con Medea inciderà un motto che, attraversati secoli ed oceani, darà lustro all’ultima dimora del poeta cileno Pablo Neruda a Isla Negra: «Ho tanto navigato e ora sono tornato per costruire la mia allegria». In realtà però ormai il passaggio all’età adulta è compiuto e a tornare non saranno gli stessi. Lo aveva intuito un grande esperto del viaggio interiore, Dag Hammarskjöld, che verso la fine del suo Diario annoterà in un breve haiku: «Mai tornerai / Un altro uomo /troverà un’altra città». Sì, navigare tra le pagine di questo libro significa addentrarsi, con misura e amabilità, in un’unica realtà, riassumibile anch’essa in un sostantivo e un aggettivo: l’avventura umana.