Paolo #Matthiae.
Le scoperte, che bellezza!
L’archeologo italiano che ha riportato in luce la città di #Ebla racconta le più clamorose campagne di scavo effettuate dall’Ottocento a oggi tra Egitto e Mesopotamia
di Marco Carminati (Il Sole Domenica 17/6/18)
Paolo Matthiae è stato protagonista di una delle più clamorose scoperte archeologiche del secolo scorso: il ritrovamento della città e della civiltà di Ebla. Correva l’anno 1962. Matthiae aveva 22 anni e si trovava ad Aleppo per motivi di studio. Visitando il museo della città siriana il giovane archeologo venne attirato da un singolare bacile di basalto. Chiese la provenienza del reperto e gli venne indicato il nome (a lui sconosciuto) di Tell Mardikh, una località a 55 chilometri da Aleppo. Molto incuriosito, decise di andare a vedere personalmente il sito e lo fece prendendo un taxi (così facendo, senza saperlo, avrebbe stabilito un primato da guinness: la prima grande scoperta archeologica della storia effettuata usando un taxi!). Giunto a Tell Mardikh, Matthiae intuì subito che sotto quella strana collina a forma di cratere poteva celarsi qualcosa di importante. Tornò sul luogo più volte e nel 1964 riuscì a organizzare i primi scavi, indotto dal sospetto che quel sito potesse coincidere con l’antica città di Ebla, di cui parlavano molte fonti antiche ma che sembrava essersi dissolta nel nulla. Nel 1968 arrivò il primo indizio decisivo: emerse dalla terra una statua acefala recante questa iscrizione: «Ibbit-Lim, re della stirpe di Ebla». Il ritrovamento incoraggiò a continuare, e la città, piano piano, tornò alla luce. Si trattava di un grande agglomerato urbano risalente al 2400-2300 avanti Cristo, circondato da solide mura e caratterizzato da un grande Palazzo Reale posto sull’acropoli. E proprio nel Palazzo venne fatta nel 1974 la scoperta più sensazionale: emerse una quantità impressionante di tavolette cuneiformi che una volta lette si rivelarono essere nientemeno che l’archivio amministrativo della città. Dunque Ebla restituì non solo i suoi resti fisici ma anche la sua storia economica e sociale, tra l’altro in stretto legame con le grandi civiltà limitrofe dell’Egitto e della Mesopotamia.
Nel suo nuovo volume Dalla terra alla storia. Scoperte leggendarie di archeologia orientale, Paolo Matthiae ha ovviamente inserito la grande scoperta di Ebla, ma ha voluto che questo suo eccezionale successo professionale venisse incastonato nella strepitosa sequenza di altre leggendarie scoperte archeologiche che, dalla metà dell’Ottocento a oggi, hanno enormemente dilatato le conoscenze sulle civiltà preclassiche del vicino Oriente. Attraverso cinquecento pagine e centinaia di bellissime immagini (fotografie, disegni, mappe, piante e ricostruzioni), Matthiae ci guida in un viaggio davvero appassionante che tocca tutti i principali siti archeologici dell’Egitto e del Medio Oriente, dalla Valle dei Re a Tebe (in Egitto), da Qatna ad Aleppo (in Siria), da Nimrud a Sippar (in Mesopotamia), da Troia da Hattusa (in Turchia), da Abido ad Amarna (di nuovo in Egitto) fino agli scavi sensazionali nel sottosuolo di Gerusalemme.
Evidenti fili conduttori legano i dodici capitoli del libro. Tutte le scoperte sono definite “leggendarie” non solo perché inattese e sorprendenti, ma perché molto innovative per metodologie usate e interpretazioni offerte. Non basta scavare – sottolinea Matthiae – ma bisogna comprendere e interpretare la massa di informazioni emerse dagli scavi al fine di creare un quadro complessivo della storia economica, sociale, politica, diplomatica, religiosa, artistica, letteraria e culturale delle civiltà riscoperte.
I dodici casi affrontati da Matthiae non possono essere qui riassunti. Converrà citarne uno. Il caso di Amarna. Amarna è il nome moderno di Akhetaton, la città della Valle del Nilo eretta da Amenohotep IV (1352-1336 a. C.), il visionario e rivoluzionario faraone che, assumendo il nome di Akhenaton, fondò un nuova religione dedicata al dio solare Aton. Quest’audacia riformatrice costò cara al faraone e alla sua città, perché dopo la sua morte i successori ripristinarono l’antica religione e ordinarono la distruzione dei templi di Aton e la cancellazione del nome del sovrano eretico da tutti i monumenti dell’Egitto.
La damnatio memoriae durò millenni, finché a partire dalla metà dell’Ottocento alcune missioni archeologiche tedesche, attratte da casuali rinvenimenti effettuati dai contadini della zona, iniziarono sistematiche campagne di scavo ad Amarna. Nella missione diretta da Ludwig Borchardt (1911-1913) vennero esplorati i quartieri residenziali di Akhetaton, e nella casa di Thutmose, l’artista più talentuoso dalla città, venne rinvenuta una specie di testa-modello da tenere in bottega e da usare per le repliche, che corrisponde allo splendido e celeberrimo busto di Nefertiti (moglie di Akhenaton), oggi vanto delle collezioni berlinesi e al cui fascino irresistibile continuiamo, muti ed esterrefatti, totalmente a soccombere.
Dalla terra alla storia.
Scoperte leggendarie di archeologia orientale
Paolo Matthiae
Einaudi, Torino, pagg. 568, € 48
E’ molto bello che Carminati abbia scritto tale recensione sul “Sole”, e che la preziosa Licia Landi abbia messo qui questo post. Ho sempre trovato strabilianti (anche per chiarezza didattica, scientificità e completezza) i libri di Matthiae, in particolare “Gli archivi reali di Ebla”, forse meno avvincente di “Ebla, la città del trono”, ma più utile e scientifico. In esso Matthiae a un certo punto fa una storia dell’importanza di Ebla nei secoli alla luce degli scavi archeologici, e da essa si può vedere come la città perda importanza in contemporanea all’età in cui Dario poneva le famose iscrizioni di Bisotum (la prima attestazione di antico persiano “indoeuropeo” databile in modo materiale sicuro, cioè non per ipotesi cronologica o ricostruzione linguistica posteriore): ebbene la distanza fra lo splendore di Ebla e tali iscrizioni è di 2000 anni! Si dovrebbe riflettere sul fatto che Cipro, Ebla, Bisotum sono quasi sulla stessa linea d’aria procedendo da Occidente a Oriente…
Ciò che cerco di far notare va in una direzione analoga all’esempio dell’ultimo libro di Matthiae (quello riguardante Akhenaton) o alla considerazione di Seneca (ad Helviam VII) in cui il filosofo invita la destinataria a non stupirsi se in India parlano la “lingua dei Macedoni” (perché dice Macedoni e non Greci?), o alle migliaia di semi linguistici “semito/europei” raccolti da Semerano (che certo a volte sbaglia, sempre esagera atteggiamento, e secondo me non dà una giusta interpretazione globale di ciò che lui stesso scopre, ma butta sul tavolo comunque migliaia di semi, e il linguista ha il dovere: il dovere, di dire “questo sì, questo no, questo forse, perché…”): sarebbe l’ora di rivedere il modo in cui si presenta ai ragazzi l’assetto etnografico e linguistico del mondo precedente al 400 a.C., e smettere di proiettare – come è successo dopo i primissimi scavi di Pilo e Cnosso – le strutture odierne sulle dinamiche antiche. Eppure, basta leggere un’introduzione a qualsiasi grammatica del ‘ex ginnasio, o le prime pagine di un manuale di letteratura greca, magari di encomiabile fattura, per assistere quasi a un passo indietro in campo linguistico-storico. Come mai?