#Ozio, obbligati come #Cicerone (Luciano #Canfora, ‘La Lettura’, 26 luglio 2015.)
«L’ozio mandò in rovina le città» ammoniva Catullo (carme 51) ribellandosi al proprio torpore amoroso, come Metastasio nell’ode alla libertà. Ma all’otium come pace interiore inneggiava Orazio (Odi II, 16). L’otium in antitesi all’impegno nella vita pubblica può essere, come scrive Cicerone nella Pro Plancio, «per nulla otiosus». La medesima parola denota situazioni materiali opposte. Dunque è più utile passare dalla lessicografia alla realtà.
La questione di come impegnare il proprio «ozio» è problema tipico delle classi sociali ricche. Esso si manifesta in due varianti: l’ozio proprio – raffinato e, nei casi migliori, sbilanciato sul versante intellettuale – e l’ozio delle classi popolari da riempire con piaceri e divertimenti grossolani e frastornanti (panem et circenses, l’equivalente nell’età nostra dell’abbrutimento calcistico). Va da sé che l’ozio (talora non volontario) dei nullatenenti può essere un fattore sociale molto pericoloso, che ha costituito, per esempio nel mondo romano,una delle preoccupazioni principali dei governanti.
Solo una ristrettissima élite intellettuale poneva la questione dell’otium in termini filosofici. E intendeva otium (in quanto alternativa al negotium, cioè all’attività pratica, essenzialmente politica e militare) come lo spazio per un’appartata e feconda riflessione sui massimi problemi dell’esistenza.
Ci si divideva, spiega Seneca nel suo trattatello sull’otium (De otio), secondo due scuole.
Per i seguaci della filosofia stoica – maggioritaria nel ceto senatorio – l’otium, il ritiro negli studi, era l’alternativa obbligata quando è impossibile fare politica: per esempio perché c’è il tiranno, o perché impazzala ferocia civile.
Per i seguaci di Epicuro invece il ritiro contemplativo dev’essere la norma e l’impegno politico una extrema ratio. Cicerone scrive i suoi trattati di filosofia e di teoria retorica quando viene buttato fuori dalla politica attiva (sotto la dittatura di Cesare). Sembra un’esperienza remota, ma è la stessa nella quale siamo, pur senza piena consapevolezza, oggi immersi.