#Obesità male antico, anche #Catone lo deplorava (Corriere della Sera, 18 novembre 2016)

Un volume di quasi 500 pagine, con varie illustrazioni, per raccontare ciò che mangiavano gli antichi Romani, oltre al significato culturale del tempo dedicato ai pasti. Il concetto è nel titolo: Panem et Circenses (Nuova Ipsa). L’autore è l’accademico Alberto Jori, massimo esperto della filosofia aristotelica. Testo classico che si avvale dei contributi di poeti e scrittori dell’epoca (Virgilio, Orazio, Cicerone e Seneca), accessibile, tuttavia, anche ai «non studiosi».

L’opera è corredata da un campionario di ricette. Alcune, corrette, funzionerebbero pure ai nostri tempi. La star è Apicio, il più famoso gastronomo dell’antica Roma.

Panem et Circenses, testo di analisi storica e sociale, ha il sapore del contemporaneo. Del resto, «la vita dei Romani non era poi così diversa dalla nostra», osserva nella prefazione Gianluca Mech. Ed è mirata la scelta di affidare a lui, ideatore della «dieta tisanoreica», formidabile divulgatore, la presentazione del volume.

Il nutrizionista ne anticipa le chiavi di lettura, evidenzia analogie tra ieri e oggi. «L’ opera – dice – si presta a numerosi raffronti. Prendiamo la ricerca del piacere a tavola. È comune, certo. Ma, a differenza dei predecessori, noi siamo frettolosi e distratti da altro. L’elemento seduttivo del cibo? Noi perseguiamo la seduzione individuale; ci adoperiamo per far colpo sulla persona da conquistare. I Romani utilizzavano l’offerta di cibo, l’allestimento della tavola, il lusso, come seduzione sociale».

Attento ai temi della salute, Mech scrive: «Viviamo in un’epoca in cui il sovrappeso e l’obesità sono considerate “epidemie”. Anche 2000 anni fa i medici lottavano contro questi problemi. Catone il Censore arrivò a vietare l’utilizzo del cavallo pagato dalle finanze dello Stato a quei cavalieri corpulenti che avrebbero affaticato troppo il povero animale!». Il secondo elemento del libro, i Circenses, non gli sfugge. «Oggi si guarda la tv assaporando un buon dessert – nota Mech – I Romani consumavano il pasto fra esibizioni e intrattenimenti, chiudendo la cena con un dolce. Da qui, la celeberrima espressione dulcis in fundo».

Marisa Fumagalli

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