Numeri, alfabeto del mondo da Platone al bosone di Higgs

È così che si capiscono la natura, l’arte e il virtuale

di Armando Torno (Corriere 18/06/14)

In un discorso amichevole con Guido Tonelli, fisico del Cern di Ginevra, uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, ci siamo resi di nuovo conto che i numeri rimangono il linguaggio migliore per conoscere immediatamente chi siamo, dove andiamo e le nostre coordinate nello spazio e nel tempo. Ci confidava l’illustre scienziato: «Viviamo in un universo (per noi) molto grande che ha una dimensione di 10 alla 28 centimetri e che è piuttosto vecchio perché ha circa un’età di 13,8 miliardi di anni; è anche freddo, giacché ha soltanto una temperatura media di 3 gradi sopra lo zero assoluto. Della sua composizione sappiamo molto poco, dal momento che le nostre conoscenze si riferiscono a malapena al 5 per 100 dell’universo; il 27 per 100 è materia oscura (tiene insieme le galassie ma si ignora di cosa sia fatta), il 68 per 100 è ancora più misterioso perché è energia non nota che spinge tutto lontano da tutto e la cui origine è totalmente sconosciuta. Attraverso pochi numeri è possibile esprimere quello che si sa e quanto, per il momento, ignoriamo». 

Sono bastate alcune battute, o meglio poco più di sei cifre, per evocare a nostro giudizio quel che sosteneva l’astrofisico inglese Sir James H. Jeans nel suo fascinoso saggio The Mysterious Universe , pubblicato a Cambridge nel 1930: «Il Grande Architetto dell’Universo ora comincia ad essere considerato un puro matematico». D’altra parte, Platone non aveva asserito che «Dio geometrizza sempre»? Questo detto, tramandatoci da Plutarco nelle Questioni conviviali , possiamo anche considerarlo definitivo per esprimere l’importanza della matematica — e di quei suoi soldati che sono i numeri e gli elementi geometrici — nella cultura non soltanto occidentale. 

Già, la matematica. Non si può ignorare, né è possibile studiare filosofia senza tenerne conto; persino taluni argomenti religiosi chiedono di essere chiariti con il suo soccorso. Il primo pensatore occidentale, ovvero Talete, ha legato il nome a un teorema di geometria; Pitagora e la sua scuola hanno sostanzialmente divinizzato i numeri, ponendo i loro rapporti alla base della realtà e di quell’arte fugace (e allora divina) che è la musica. Del triangolo discussero i manichei, per i quali era immagine della Trinità divina, e sull’argomento intervenne Agostino per negare tale attribuzione. Ma già il filosofo platonico Senocrate (morto nel 314 a.C.) aveva considerato «divino» il triangolo equilatero e «demonico» quello isoscele; egli, comunque, non conosceva quanto aveva elaborato la Cabala ebraica nello Zohar , il Libro dello splendore : «In cielo gli occhi di Dio e la sua fronte costituiscono un triangolo, il cui riflesso forma un triangolo sulle acque». Il Sole, la Luna e Mercurio sono i simboli del triangolo alchemico. E, tra i mille fratelli geometrici che si potrebbero cercare in Cina o nel «Cuore di Hrungnir» (simbolo di epoca vichinga costituito da tre triangoli intrecciati), quello rettangolo fa ritornare a Pitagora e forse all’antico Egitto tra piramidi e misteri, a quel teorema che si sconta sui banchi di scuola. A proposito del quale Arthur Koestler ne I sonnambuli (tradotto da Jaca Book) commentava, evidenziando i rapporti tra i cateti e l’ipotenusa: «Fra la lunghezza dei lati di un triangolo rettangolo non sussiste alcun rapporto evidente; se però costruiamo un quadrato su ogni lato, la superficie dei due quadrati più piccoli corrisponde esattamente alla superficie del quadrato maggiore. Se leggi così mirabilmente ordinate e finora celate all’occhio umano potevano essere scoperte sprofondandosi nelle strutture costitutive dei numeri, non c’era forse la fondata speranza che tutti i segreti dell’universo sarebbero stati presto rivelati attraverso gli elementi del numero?». 

La matematica non è noiosa, né fredda, né va confusa con gli esercizi che per alcuni anni della vita siamo costretti a risolvere incalzati dalla minaccia dei brutti voti. Non è soltanto calcolo; nemmeno va considerata una «scienza esatta», come amano ripetere i tecnici che la utilizzano per far quadrare le costruzioni di ponti e strade. Ma senza di essa cadrebbero le spiegazioni che tentiamo di dare, per esempio, all’universo di Leonardo, che la utilizzò anche per l’Ultima Cena , collocando apostoli e Gesù in punti topici di figure geometriche; ignorandola non potremmo capire le dimensioni virtuali che abitiamo con sempre più frequenza, grazie a Internet. La corrente formalistica affermò che la matematica è «la scienza del possibile» (per «possibile» va inteso quanto non implica contraddizione) e, se così fosse, questa disciplina non sarebbe parte della logica, né la presupporrebbe. Codesta concezione, sviluppata da Hilbert e dalla sua scuola negli anni Venti del Novecento, sostiene che la matematica si possa costruire come un semplice calcolo, senza altre interpretazioni. 

Mai è mancata nei pensieri dei sommi dell’umanità, anzi a volte ha occupato gran parte della loro vita. Da Aristotele ad Einstein, da Newton a Galileo, da Pascal che vi rinunciò per darsi alla teologia a Gauss che desiderava convincere lo zar a tagliare in forme geometriche le foreste della Siberia per lanciare messaggi nell’universo, questa scienza è stata un riferimento indispensabile. Kant la studia, ne tratta in vari scritti e ne lascia una vera e propria filosofia nella Critica della ragion pura . Leibniz è anche un grande matematico oltre che un pensatore di rilievo. Persino Boezio, l’ultima mente speculativa dell’antichità latina, scrive opere di aritmetica e geometria; lo stesso Agostino non riesce a ignorarla e lo si deduce dalle preoccupazioni che gli giungono da taluni riflessi diffusi dagli scritti di Nicomaco di Gerasa, un tardo pitagorico che tra l’altro si interroga sul significato dei numeri primi e di quelli perfetti. 

La letteratura degna di memoria la interroga, con essa riflette. Borges chiama i numeri transfiniti di Georg Cantor (estendono al caso di insiemi con infiniti elementi i concetti di numero cardinale e ordinale dell’aritmetica) «i vasti numeri che un uomo immortale non raggiungerebbe neppure se consumasse la sua eternità contando». Gadda, ingegnere, definisce l’ora «l’integrale dei fuggenti attimi». I teoremi di Euclide entrano nelle similitudini di Dante: «o se del mezzo cerchio far si puote/ triangol sì ch’un retto non avesse» (Paradiso XIII, 101-2). È appunto la proposizione che si legge nel libro terzo degli Elementi : «In un cerchio l’angolo (alla circonferenza inscritto) nel semicerchio è retto». 

Materia che sarà ancora discussa ne I Fratelli Karamazov di Dostoevskij: il sommo russo, conoscendo la rivoluzione portata dal «Copernico della geometria», ovvero Nikolaj Ivanovic Lobacevskij, ritorna lì angosciato ponendosi quesiti sulla natura euclidea o meno del mondo. Ivan confessa ad Alioša: «Ti dichiaro che accetto Dio, puramente e semplicemente. Ecco però quel che bisogna notare: se Dio esiste e se in realtà ha creato la terra, l’ha creata come ci è perfettamente noto, secondo la geometria euclidea, e ha creato lo spirito umano dandogli soltanto la nozione delle tre dimensioni dello spazio». 

Anche in tal caso il discorso diventa infinito, ovvero assume caratteristiche che hanno bisogno a loro volta della matematica per essere spiegate. Chiudiamo questi brevi cenni con una considerazione di Robert Musil, scritta ne L’uomo senza qualità (citiamo dall’edizione Einaudi, tradotta da Anita Rho): «Quasi tutti gli uomini oggi si rendono ben conto che la matematica è entrata come un demone in tutte le applicazioni della vita. Forse non tutti credono alla storia del diavolo a cui si può vendere l’anima, ma quelli che di anima devono intendersene, perché in qualità di preti, storici e artisti ne traggono lauti guadagni, attestano che essa è stata rovinata dalla matematica, e che la matematica è l’origine di un perfido raziocinio che fa, sì, dell’uomo il padrone del mondo, ma lo schiavo della macchina». Cattivo? No, semplicemente attuale.

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