#Narciso #mito moderno

Oggi lo specchio è #Twitter

di Nicla Vassallo (Sole Domenica 25/9/16)

Il mito di Narciso, in estrema sintesi, può essere raccontato così. L’indovinino Tiresia profetizza, contro ogni tradizione socratica, che Narciso vivrà fino a quando non conoscerà se stesso. Epilogo: dato che il giovane attesta in diverse occasioni insensibilità amorosa verso donne e uomini, gli dei decidono per una punizione esemplare, conducendo Narciso a specchiarsi in un’acqua chiara, ove il giovane conosce la propria bellezza, una bellezza unica di cui s’innamora, ma che, essendo un’immagine, o, comunque, una bellezza del tutto esteriore, non può consistere in amore vero e proprio, per di più si tratterebbe di un amore in cui l’alterità verrebbe per e pur sempre annullata. Narciso chi riuscirebbe poi ad amare? Unicamente se stesso, nessun altro-da-sé; la sua affettività non potrebbe aprirsi, al fine di porre in gioco se stesso, di saggiare anche le propria fragilità: meglio costringere altri a fragilità e disistima. Che fare? A differenza di quanto accadrebbe oggi, il giovane prende atto della folle situazione e sceglie coerentemente di suicidarsi, trafiggendo il proprio petto con una spada. Il mito possiede una ricchezza psicoanalitica e una filosofica, che, in un certo qual senso, si mescolano armoniosamente l’una con l’altra.

Anche per tale ragione il saggio Il narcisismo: l’identità negata dello psicoanalista Alexander Lowen è giunto ormai alla quindicesima edizione. Stando a Lowen, occorre tracciare una distinzione tra un tipo di narcisismo individuale (e qui si solleva il problema filosofico dell’identità personale) e un tipo di narcisismo culturale (in cui il problema filosofico si trasforma nel ritrovarci immersi nel sociale).

Chi è affetto dal primo tipo di narcisismo non giunge a conoscere se stesso, investe esclusivamente sulla propria esteriorità, tende a mortificare e prosciugare energie, entusiasmi, sensibilità, intelligenze di chiunque, specie di chi codesto Narciso finge di amare, ovvero ad annientare l’identità personale altrui, perché a contare rimangono i propri vantaggi, associati al proprio senso di maestosità che si declina nel recepirsi unici al mondo, unicità di matrice infantile e al contempo crudele, priva di responsabilità, passionalità ed empatia adulta verso il prossimo.

Palese che svolazzare tra fantasie di bellezza, potere, successo sia all’ordine del giorno: quando ci si rende conto che queste appartengono al surreale, scoppia la rabbia, non nei confronti di sé (il narcisismo lo vieta), bensì nei confronti degli altri, con una elegante operazione chirurgica di distruzione dell’altro-da-sé, giammai di auto-distruzione. Veniamo alla cultura narcisistica, ove assistiamo alla scomparsa dei valori umani (da una prospettiva filosofica, non solo etici, ma anche epistemici e socio-politici), scomparsa cui hanno collaborato negli ultimi decenni e proseguono a collaborare i vari tipi di media, mettendo in piazza, senza pudore, anzi con ipocrisia, ogni lato tragico-comico di personaggi conosciuti e sconosciuti, che stanno al gioco.

Personaggi che possono, tra l’altro, non esitare ad abusare di Fb, twitter, google per mettersi in bella mostra, per specchiarsi e ammirarsi. Si rivelano così i narcisi occulti, i massoni del narcisismo, quelli che a parole condannano il narcisismo, e che in verità somigliamo in tutto e per tutto al narcisista dichiarato, pure nell’intendere la realtà come un prolungamento del proprio sé, un ritratto dei propri bisogni, ove un’esistenza effimera viene ben accettata assieme a fanciullesche emozioni in cui ribolle ogni voglia di onnipotenza. Onnipotenza che obbliga al desiderio di molteplici conquiste sessuali, ma che, stando a Lowen, è desiderio di mostrare la propria potenza erettiva: l’apice dell’orgasmo giunge esclusivamente con la presenza dei sentimenti. Onnipotenza che comunque viene sempre utile per conquistare e occupare posizioni di rispetto.

Filosofo, tra Oxford e Cambridge, autore di diversi best-seller, Simon Blackburn, pur ammettendo che commiseriamo narcisismo e vanità, specie negli altri, si domanda se queste due caratteristiche dominanti in alcuni debbano considerarsi davvero da depravati, come appaiono, e se, volendolo, possiamo evitarle.

In proposito, viene scandagliato il pensiero di Aristotele, Cicerone, ed Erasmo to Rousseau, Adam Smith, Kant e Iris Murdoch, per distinguere nettamente tra narcisismo e autostima, ove il primo, non la seconda, presenta diverse ossessioni: basti pensare ai selfie, alla chirurgia estetica, agli abusi di cosmetici. L’autostima è invece parte salutare della nostra esistenza, nonostante si abbia perduta la capacità di discernere tra buone e cattive tipologie di essa, ovvero a confonderla con istanze narcisistiche nonché egotistiche.

Rispetto a chirurgia estetica e cosmetici, Simon Blackburn non mostra alcuna benevolenza, poiché segni e, al contempo, simboli del culto di sé, del rafforzamento della propria bellezza esteriore, il che rimanda a un Narciso moderno, che, invece di optare coerentemente per il suicidio, prosegue a perseguire una labile avvenenza, nell’illusione di eternizzarla. Ma l’esistenza umana, come ci ricordano parecchi filosofi, non è un prodotto spendibile a piacimento, in base alla propria esteriorità, bensì un lungo processo di crescita interiore, non privo di complessità e varietà. Blackburn giunge a menzionare a mo’ di esempio di slogan che incita con esasperazione alla bellezza esteriore quello dell’Oréal: «Because you’re worth it».

Il filosofo lo considera una sorta di provocazione rispetto alla nostra identità personale e confessa, non senza imbarazzo, di provare irritazione rispetto agli slogan che si tramutano a tutti gli effetti in ordini, nel rispetto del culto narcisistico. Al fine di tentare di destituire la costante ricerca della bellezza esteriore, assieme alla grande industria che la sorregge, Blackburn propone di soppiantare lo slogan dell’Oréal con «Because I am worth nothing». Certo, si potrebbe pensare che il narcisismo si manifesti anche nel possedere un certo tipo di auto, di computer, di smartphone, di orologio, di scarpe, di gioielli, e via dicendo, ma cadremmo in errore a pensarlo, poiché qui si tratta di un possesso con cui intendiamo standardizzarci agli altri, e il narcisista rifugge l’uniformità come la peste.

Se non si evita un esame acuto di casi concreti (Bush, Blair, i banchieri, la cristianità), casi sempre utili a chiarire meglio le argomentazioni, a importare è che Blackburn affronti con rigore e vigore temi complessi che costituiscono parte integrante della nostra quotidianità, costringendoci a riflettere in modo articolato sul nostro sé. Lo fa con malinconia e grazia, nel tentativo di sviluppare in noi il candore necessario a comprendere chi siamo, senza censurare le nostre soddisfazioni che giacciono nella buona autostima, e senza però neanche suggerirci di rilassarci nelle pratiche (narcisistiche?) dell’auto-aiuto, insistendo piuttosto su una sorta di costante ginnastica intellettuale, in grado di rivelare a noi e agli altri i valori della bellezza interiore. Tale ginnastica richiede allenamento e determinazione, oltre che intellettualità, e, come in un sport di squadra, deve essere condivisa e collaborativa. In tale sport, non merita neanche la panchina, chi insiste col domandarsi: «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella (o il più bello) del reame?».

Alexander Lowen, Il narcisismo. L’identità rinnegata , Feltrinelli, Milano, pagg. 208, € 9

Simon Blackburn, Mirror, Mirror:

The Uses and Abuses of Self-Love , Princeton University Press, Princeton, pagg. 248, £ 16,95

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