Motori di ricerca, social network e social media, da luogo di free speech e free access, di pluralismo per antonomasia, rischiano di cementificare le premesse materiali della post-verità?
Tra #postverità e #informazione #emotiva
di Antonio Nicita (Repubblica 23/10/17) #post-truth
È passato un anno da quando “post-verità” è stata dichiarata parola dell’anno da Oxford Dictionaries.
È stato un anno di studi, analisi, proposte di policy e di regolazione dei nuovi media, a partire dai social media, sui temi dell’hate speech e delle strategie di disinformazione che si nutrono di falsità. E sull’impatto della post-verità sulla qualità della democrazia deliberativa. Un dibattito destinato a continuare nei prossimi anni.
C’è chi ritiene che tutta quest’attenzione sulla post- verità sia un abbaglio, la denuncia elitaria di chi ha perduto il controllo sui vecchi media. È vero, bufale e menzogne sono sempre esistite, specie nei rapporti tra potere e media, tra propaganda e libertà di espressione. Ma, come spiega bene nel suo nuovo libro ( Post- verità e altri enigmi, Il Mulino) Maurizio Ferraris, l’avvento del paradigma della post-verità è qualcosa di intrinsecamente nuovo nella relazione tra verità e libertà d’espressione.
Ciò che oggi appare nuovo nel rapporto tra libertà d’espressione e verità è il ruolo di quella “rivoluzione tecnica” rappresentata dal web — anche nella interazione con i media tradizionali — la “documedialità” di cui parla Ferraris che mette al centro le emozioni nella selezione delle informazioni.
Il paradosso cui assistiamo, dopo un anno di dibattiti e riflessioni, è il possibile divorzio tra libertà e verità nel passaggio dai vecchi ai nuovi media. O se si vuole, la cesura tra concorrenza e pluralismo. Motori di ricerca, social network e social media, da luogo di free speech e free access, di pluralismo per antonomasia, rischiano di cementificare le premesse materiali della post-verità.
Nel mercato digitale delle idee, l’offerta di informazioni tende ad essere sempre più profilata, con algoritmi che tendono a raccontarci una realtà che somiglia ai nostri desideri, al nostro “tipo”, in base al comportamento che riveliamo nel web. Allo stesso modo, dal lato della domanda, tendiamo a ricercare ciò che ci interessa, che ci dà ragione, che conferma i nostri “pre-giudizi” (confirmation bias), trascurando o cancellando dal nostro orizzonte informativo tutto ciò che falsifica la nostra pregressa visione del mondo.
Questo doppio filtro dal lato della domanda e dell’offerta, fatto di echo chamber e di profilazione, ci restituisce un mondo informativo parziale e “su misura”, la cui effettiva dimensione dipende dalla nostra curiosità, dalla disponibilità a sperimentare cose nuove, a misurarci con idee diverse dalle nostre e così via. E più diamo spazio alle emozioni nella ricerca di “verità”, più quel mondo informativo diventa uno specchio delle nostre brame, con l’illusione che ciò che lo specchio ci restituisce sia la verità su come vanno effettivamente le cose, dalla politica ai vaccini.
Sono i limiti cognitivi dal lato della domanda di informazione, studiati dai premi Nobel Daniel Kahneman e Richard Thaler, a generare le distorsioni informative. Non le bugie in sé, dunque, ma le illusioni, dal momento che — come scriveva Demostene — «ciò che un uomo desidera, crede anche che sia vero».
Il risultato — misurato da un numero crescente di studi sperimentali e di indagini statistiche — è che è aumentata la polarizzazione su molti temi rilevanti del nostro vivere comune e individuale. Parliamo di tutto, ma ci confrontiamo sempre meno con chi la pensa diversamente. “Bannare” è diventato l’antitesi di “condividere” in Rete.
Non sorprende che questo fenomeno sia alimentato anche da quella che Tom Nichols, in un recente libro, ha chiamato «la morte dell’expertise», la tendenza, cioè, a sostituirci agli esperti. Un’illusione generata dall’ignoranza di ciò che non sappiamo o dalla presunzione, come scrisse Asimov, che «la mia ignoranza è altrettanto valida della tua conoscenza».
Per anni abbiamo pensato che fosse sufficiente la concorrenza tra chi parla nel mercato delle idee a garantire il pluralismo e, attraverso di esso, l’affermazione di fatti veritieri. Oggi, il destino della relazione tra pluralismo e verità in Rete è affidato alla domanda di informazione, al ruolo attivo di chi ascolta, alla disponibilità a ricercare la qualità nell’informazione e a mettersi in discussione prima di discutere. A “depolarizzare”, come scrive Sunstein, sottraendo al dominio esclusivo dell’emozione la ricerca della verità.
L’autore, professore alla Sapienza, ora è commissario Agcom