L’#ulivo per #Atena la #vite per #Dioniso la #palma per #Apollo
Dalla pittura su ceramica agli affreschi i reperti del passato raccontano le relazioni tra la #realtà e i #simboli
di Giuseppe M. Della Fina (Repubblica 5/9/15)
Quale era il rapporto con la natura nel mondo classico? Come veniva raffigurata? A domande simili offre alcune risposte intriganti la mostra Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei allestita, a Milano, all’interno di Palazzo Reale (sino al 10 gennaio 2016) a cura di Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo.
Lungo il percorso espositivo, più di duecento opere tentano di parlare dell’aspirazione a una simbiosi talvolta riuscita (come nella lastra dipinta della tomba del Tuffatore da Paestum, uno dei capolavori esposti), altre volte mancata, o, talora, negata.
La base documentaria a disposizione è rappresentata soprattutto dalla pittura su ceramica e da quella parietale relativa sia ad abitazioni che a spazi funerari pur non mancando altre testimonianze artistiche: è il caso del celebre Vaso Blu con Eroti vendemmianti, rinvenuto a Pompei e lavorato nel preziosissimo vetro-cammeo secondo una tecnica ideata in epoca ellenistica e destinata a un successo notevole in età imperiale romana.
Emerge sin dai reperti più antichi il rapporto con il mare: «luogo dei traffici, dei passaggi, delle avventure e delle scoperte, delle partenze e dei ritorni», come ha osservato Gemma Sena Chiesa in uno dei saggi del bel catalogo edito da Electa. Un mare solcato da imbarcazioni e quindi ritenuto idoneo a creare contatti, incontri, occasioni; eppure altro rispetto alla terra, potenzialmente minaccioso, difficile da dominare. Come appare sul vaso più antico proposto in mostra: un cratere da Pitecusa (Ischia), risalente alla fine dell’VIII secolo a.C., con la rappresentazione di un naufragio.
Una distesa marina simboleggiata spesso dai pesci che la popolano, resi di frequente in maniera iperrealistica come nel caso, ad esempio, di alcuni piatti realizzati da artigiani apuli nel IV secolo a.C. e destinati ad essere utilizzati sia per la mensa quotidiana che per il banchetto funerario.
La rappresentazione del paesaggio terrestre è affidata, inizialmente, soprattutto agli alberi che fungono da quinte per le scene mitologiche, o di altro genere che si volevano ambientare all’aperto. La singola pianta diviene spesso allusione a una divinità: l’ulivo per Atena, la vite per Dioniso, la palma e l’alloro per Apollo e Artemide, il mirto per Afrodite e le ninfe e si potrebbe continuare a lungo. Sui vasi attici – ben documentati lungo il percorso espositivo – tali divinità sono raffigurate con frequenza; ritorna spesso anche Demetra, la dea del grano e dell’alternarsi delle stagioni.
Le piante, talvolta, sembrano interagire coi singoli eventi a cui fanno da sfondo: nel caso di una nota idria della collezione Vivenzio, la palma cresciuta presso il santuario di Artemide appare ripiegata e affranta per la tragedia che ha colpito la città di Troia.
Nel passaggio tra l’età classica e l’ellenismo, lo sguardo sembra ampliarsi e l’insieme inizia a comporre un paesaggio che non riproduce una realtà specifica (come avverrà solo più tardi), ma un luogo ideale destinato a divenire, nelle mani di maestranze meno sensibili, una scena di maniera destinata a una fortuna notevole sia nel nuovo centro del potere – Roma – che nel suo vasto impero.
L’attenzione per il mondo vegetale e animale si coglie anche in nature morte dove l’attenzione si sposta su singoli frutti, fiori, animali resi con una vivezza straordinaria.
Infine va segnalato che l’allestimento – curato da Francesco Venezia – ha previsto, in un’area all’aperto di Palazzo Reale, la riproposizione di un viridarium, vale a dire di un giardino intimo e raffinato, realizzato dall’associazione Orticola di Lombardia ispirandosi ad un affresco della Casa del Bracciale d’Oro di Pompei.