Luca Canali, il genio che consigliava Cicerone

di Furio Colombo (il Fatto 23/6/14)

Ci sembrava di essere giovani, allora (diciamo, dieci anni fa) quando Luca Canali, il grande latinista appena scomparso, mi ha proposto di presentare un manualetto di regole e istruzioni per la buona politica elettorale, che Quinto Tullio Cicerone dedicava al fratello, quando Marco Tullio si apprestava a candidarsi al consolato. Vedo che ho cominciato così la mia introduzione di allora: “Se si deve parlare di prima repubblica, eccola. È quella descritta in questo manualetto , Commentariolum petitionis di Quinto Tullio Cicerone. Tradotto da Luca Canali con la qualità e la lingua che il lettore potrà godere, questo testo ci guida nei percorsi abili e astuti della repubblica romana. Ma ci offre anche indicazioni preziose per capire da quale mondo, da quale moralità, da quale visione della vita pubblica, così come la conosciamo, la apprezziamo o la disprezziamo noi, ai nostri giorni. Stiamo parlando della repubblica romana dell’anno 64 A.C. e della repubblica italiana nei giorni in cui i lettori scorreranno questa nota. 

NEL RILEGGERE QUESTE RIGHE, oltre a ricordare quanto sono stato felice di ricevere da Luca Canali l’invito a collaborare a questo suo progetto, non posso non notare che mi ero sbagliato, nella frase iniziale. Quinto Tullio Cicerone illustra, con i suoi consigli, i suoi pettegolezzi e la serie di benevolenze e malignità, di finta fede e di grande cinismo, di cui esorta il celebre fratello a valersi, non solo la repubblica romana. E non solo la “prima repubblica” della democrazia italiana. Ma anche, e perfettamente, i nostri giorni. Infatti, se voi riprendete il Commentoriolum, vi accorgete che non una riga andrebbe sprecata per Matteo Renzi. Ma qui il discorso è sui due Cicerone, soprattutto per far notare il genio del latinista Luca Canali. Scegliere che cosa tradurre era il suo primo grande talento, capacità di mettere faccia a faccia due epoche e costringerle a riconoscersi. La lingua era il secondo e, credo, il più grande, per la straordinaria modernità con cui faceva rinascere la storia attraverso il parlato, in modo da far capire, con la ricchezza di una narrazione nuova, quanto ci riguarda e quanto ci somiglia il nostro passato. 

Eppure Luca Canali non può essere ricordato come “un traduttore”. Le sue sono tutte opere d’autore, sia quelle di fiction, a cui si è dedicato volentieri, sia l’opera “apparentemente” di altri e grandi autori che la lingua di Canali, filologicamente perfetta, trasformava in un nuovo grande lavoro di narrazione. È lungo l’elenco delle cose di cui dobbiamo essere grati a Canali: la scena vasta su cui si muove, la capacità esplorativa e avventurosa con cui sceglie autori e opere, epoche e materie, la mano sicura con cui connette con esattezza ma anche con straordinario gusto narrativo, dati ed eventi dei suoi personaggi, trasformandoli in narrazioni bellissime in cui tutto è rigorosamente cercato, trovato, vissuto e fatto vivere. Ma il tesoro che ci lascia è la lingua perfetta, quel latino-italiano (struttura, sintassi, brevità profonda) che lo ha reso scrittore unico.

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