L’età dell’angoscia
L’ #Imperoromano e il suo lato oscuro
Ai #MuseiCapitolini dal 28 gennaio la rassegna dedicata al III secolo dopo Cristo, tempo di ansie religiose e presagi di decadenza
di #MaurizioBettini (Repubblica 22/1/15)
SI ERA nel 1970 e La Nuova Italia mandò in libreria Pagani e Cristiani in un’epoca d’angoscia , un libro di Eric R. Dodds. L’autore, regius professor di Greco a Oxford, era in realtà già noto in Italia per un altro libro dal titolo ugualmente suggestivo: I Greci e l’irrazionale , apparso una decina di anni prima. Che cosa introduceva Dodds, con questa nuova opera, nella nostra visione dell’età imperiale romana e del mondo antico in generale?
Sostanzialmente due cose: il richiamo a un poema composto nel 1947 da Wystan Hugh Auden, The Age of Anxiety e soprattutto l’idea che una determinata epoca della storia umana potesse aver condiviso uno stesso stato d’animo, una medesima condizione spirituale: per non dire un medesimo inconscio. Sappiamo che nel periodo compreso fra Marco Aurelio e Costantino l’impero romano fu caratterizzato da una crescente spirale di mali: decadenza sociale, crisi economica, pressione ai confini dell’impero da parte di altre popolazioni, conflitti intestini, strapotere dell’esercito, e così di seguito. Nell’interpretazione di Dodds, a questa realtà profondamente negativa avrebbe fatto riscontro, in campo spirituale, la crescita di un nuovo sentimento religioso, più profondo, più individuale, tale da aprire la strada all’affermazione di culti centrati sull’immortalità e la sopravvivenza dell’anima: fra cui il cristianesimo, ovviamente, che in breve avrebbe assunto una posizione dominante. Questa trasformazione religiosa dell’impero si sarebbe dunque consumata sullo sfondo di uno stato d’animo ben individuato e largamente condiviso: l’angoscia. Per la verità l’edizione originale del libro di Dodds aveva per titolo Pagans and Christians in an Age of Anxiety . E come rileva Eugenio La Rocca nel bel saggio che inaugura il catalogo di questa mostra, è difficile capire perché il termine anxiety – “ansietà”, “inquietudine” – fosse stato tradotto con una parola tanto più marcata come “angoscia”. In ogni caso fu forse anche per questa scelta editoriale, un po’ spiccia ma efficace, che il libro suscitò molta attenzione. Questa formula foriera di inquietudine, “età dell’angoscia”, torna adesso nel titolo della mostra che si apre il 28 gennaio ai Musei Capitolini (fino al 4 ottobre), dedicata al periodo che Dodds mise al centro delle sue ricerche. Inutile dire che un momento come quello odierno, in cui certezze sociali, economiche e culturali sembrano scomparire, pare fatto apposta per resuscitare i fantasmi che, secondo Dodds, agitarono pagani e cristiani. Per altro verso, però, non dobbiamo neppure semplificare troppo il senso delle trasformazioni che ebbero luogo nel III secolo d. C. Sarebbe sbagliato affermare che l’afflusso di religioni “straniere” a Roma in quel periodo costituì un fenomeno radicalmente nuovo: il politeismo antico ha sempre praticato, e accettato, la trasmigrazione degli dèi, cercare e accogliere nuovi culti faceva parte del sistema. Così come è difficile accettare l’idea che l’avvento di nuove religioni, e soprattutto quello del Cristianesimo, fosse dovuto esclusivamente al bisogno di spiritualità che travagliava gli abitanti dell’impero: con l’implicita presupposizione che i culti tradizionali fossero inadeguati a soddisfare questo bisogno e come tali già predestinati a soccombere. Si tratterebbe infatti di un’interpretazione più teologica che non storica. Ma non è tanto questo che deve interessarci, quanto l’angoscia, o l’ansia, collocate da Dodds sullo sfondo della sua ricostruzione. In altre parole, com’era arrivato l’autore a trasformare una condizione psicologica in una categoria buona per interpretare la storia?
Per comprenderlo conviene rifarsi all’altro libro di Dodds: I Greci e l’irrazionale . Siamo nel 1948, la seconda guerra mondiale è appena terminata, la prima non è affatto lontana. La storia recente dell’Europa mostra, in altre parole, che la cultura europea, apparentemente così razionale, in realtà non lo era affatto. Probabilmente fu questo il motivo che spinse Dodds a dedicare le sue energie alla parte più “scandalosa” della Grecia: la pazzia vista come fenomeno po- sitivo, veicolo di ispirazione poetica o di contatto con la divinità; il sogno, alla cui realtà significativa i Greci sembrano in qualche modo credere; lo sciamanesimo, che Dodds vede all’origine di una nuova dottrina dell’anima, concepita adesso come soggetto autonomo rispetto all’essere umano nel suo complesso. Nelle sue ricerche l’obiettivo di Dodds è quello di sostituire l’immagine dei Greci come popolo dominato dalla ragione – amministratori unici del lógos – con una in cui trova piena cittadinanza anche ciò che al lógos si oppone. Ecco perché, oltre all’antropologia, ne I Greci e l’irrazionale l’orizzonte metodologico include anche la psicoanalisi, nella convinzione che l’inconscio possa esercitare un grosso peso nelle vicende umane: e quindi anche nei fenomeni storici o culturali. A Dodds insomma sta a cuore mettere in luce il lato oscuro, profondo di una cultura o di un popolo, ciò che si agita nella sua psiche: sia che si tratti dei Greci, sia che si tratti degli abitanti dell’impero romano divenuti preda dell’ansia.
La vita intellettuale di una persona, comunque, è una cosa complicata, e quella di Eric R. Dodds sembra esserlo stato anche più di altre. Il fatto è che egli fu personalmente e individualmente un attento osservatore di fenomeni psicologici, specie se oscuri e irrazionali. Il regius professor, infatti, per anni partecipò alle sedute della Society for Psychical Research, di cui divenne anche presidente: una società che si occupava di manifestazioni extrasensoriali, di trasmissione del pensiero e di fenomeni medianici. Un classicista oggi di fama internazionale, il quale fu studente ad Oxford quando Dodds era ormai in pensione, mi ha raccontato una volta questo aneddoto. Dopo aver preso il suo PhD discutendo una tesi sulla religione greca, il giovane studioso aveva inviato a Dodds il libro che aveva tratto dal proprio lavoro. Questo dono gli era valso un invito per il tè a casa dell’illustre maestro. Ci era andato, piuttosto emozionato, aveva suonato il campanello e Dodds era venuto ad aprirgli la porta. «Grazie per il suo libro, giovanotto» gli aveva detto ancora sulla soglia «ma debbo avvertirla che non mi occupo più di religione greca. Mi interessa solo lo spiritismo»