#Leda e il #cigno, #Pompei a luci rosse

di Maurizio Assalto (La Stampa 20/11/18)

Leda guarda verso gli spettatori e pare ammiccare quasi rassegnata, mentre un bianco cigno pianta le zampe sulle sue cosce opulente e ritorce il collo insinuando il becco sul seno della fiorente moglie di Tindaro, re di Sparta. Eppure il cigno è nientemeno che Zeus, uso a queste trasformazioni per fare sue le donne altrui. La storia è nota: dall’unione vennero fuori alcune uova (non poteva essere altrimenti), e da queste nacquero i Dioscuri Castore Polluce, oltre a Clitennestra e Elena, futura moglie di Menelao e causa (involontaria?) della guerra di Troia. Siccome però nella stessa notte l’instancabile Leda giacque pure con il legittimo consorte, la tradizione mitologica non si è mai messa d’accordo su quali dei figli fossero progenie di Tindaro e quali di Zeus, e quindi immortali.

Sicuramente immortale doveva in ogni caso essere Leda, se a quasi duemila anni di distanza dall’eruzione che seppellì Pompei la sua immagine affrescata in una domus è rispuntata dalla lava e dai lapilli bella e florida come pria. Un quadretto di straordinaria qualità esecutiva, dai colori vividi come appena dipinto, e soprattutto di esplicita, inconsueta sensualità, che sembra riportarsi ai modelli scultorei di Timoteo, come ha sottolineato ieri il direttore del Parco archeologico di Pompei, Massimo Osanna, nell’annunciare il ritrovamento. Una nuova, meravigliosa scoperta, che va ad aggiungersi alle innumerevoli altre registrate dalla scorsa primavera, quando sono stati avviati i lavori di salvataggio per riconfigurare il fronte di scavo nella Regio V minacciata dall’incombere del materiale eruttivo causa dei recenti crolli.

La licenziosa scena di Leda e il cigno – un motivo iconografico molto popolare a Pompei, come del resto nell’arte di tutti i tempi, da Leonardo a Dalí – è riemersa dal cubiculum (camera da letto) di una casa dal cui atrio era «risorto» in estate un Priapo nell’atto di soppesarsi l’abnorme fallo: evidentemente il dominus non voleva farsi mancare nulla e non si peritava di esplicitare le sue intenzioni. Poteva essere «un ricco commerciante», ipotizza Osanna, «forse un ex liberto ansioso di elevare il suo status sociale anche con il riferimento ai miti della cultura più alta».

Ora si pone il problema di come proteggere i due affreschi: «Si valuterà con i tecnici», anticipa il direttore, «l’ipotesi di rimuoverli e di spostarli in un luogo dove potranno essere salvaguardati e esposti al pubblico». Resta una curiosità: se da un ettaro o poco più di scavo nella Regio V stanno tornando alla luce tante meraviglie, che cosa potrebbero riservare i 22 ettari di Pompei ancora sepolti?

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