Le gesta ero(t)iche di #Zeus. Il romanzo di Giorgio Dell’Arti (Corriere, 30/12/16)

Per la necessità di dare una spiegazione alle molteplici contraddizioni del reale, ogni civiltà ha spesso fatto ricorso a strutturate credenze religiose tramite una narrazione fantastica di imprese compiute da esseri superiori. Sono rappresentazioni verosimili, in forma di allegoria, di verità inattingibili da parte della ragione umana. Leggende tramandate oralmente o in forma scritta, che tentano di indagare la genesi del mondo, la creazione del primo uomo, l’inevitabile rapporto con le divinità, testimonianze di esperienze e pratiche primitive ritenute comuni a tutti i popoli.

Affascinato dal corpus dei racconti degli antichi Greci, Giorgio Dell’Arti ha assemblato i diversi miti grazie a una sapiente e insolita architettura scritturale nel romanzo Bibbia pagana (Edizioni Clichy, pagine 496, euro 19). Lo spazio temporale preso in considerazione va dal dono dei fulmini offerto dai ciclopi a Zeus, al tempo in cui ancora si praticavano i sacrifici umani per fertilizzare i campi, e termina con la fuga di Elena di Sparta che, per amore di Paride, abbandona persino Ermione, la figlia di 9 anni avuta da Menelao. Tanta è la smania di giacere con il corpo bellissimo del principe troiano che la regina scarmigliata giunge al porto, schiava del sesso e macchiata di tradimento, senza voler sentire più il pianto della propria bambina.

A ogni pagina costante è la potenza evocativa dell’autore, che non dà vita a elencazioni scheletriche né si limita ad annoverare gli eventi come fossero fatti indipendenti uno dall’altro, bensì riesce a divenire voce narrante capace di cucire assieme aspetti terribili, disgustosi e cruenti ad altri patetici, ilari e ironici. Un ampio passo viene dedicato alla libidine di Zeus, che a 12 anni tenta di violentare la madre Rea, sorella e moglie di Crono, e alla fine riesce a penetrarla sotto l’aspetto di un serpente. Non solo. Il padre di tutti gli dei aspira a godere della verginità delle femmine, ancor prima che nascano, quasi prenotandole, per poi ingravidarle al primo impatto sotto qualsivoglia forma. È così incontrollabile il suo desiderio che organizza orge sfrenate sul monte Olimpo. Se Demetra s’illude di cavarsela mutandosi in gialla cavalla, non conosce certamente il proprio destino. Ogni giorno il dio del mare Poseidone la possiede in foggia di cavallo nero. Per non essere da meno il fratello Zeus ogni notte fa altrettanto in forma di cavallo bianco. Demetra gode e non è mai spossata, presa com’è dalla frenesia priapea. Mentre Hera, la sposa di Zeus, non così attratta dal membro virile e quotidianamente tradita, partorisce figli a iosa fecondandosi da sé solamente sfiorando dei fiordalisi oppure accovacciandosi su un cespo di lattuga. È allora che i contadini iniziano a fecondare i campi utilizzando enormi falli di pietra o legno e ficcandoli nelle zolle.

Di particolare intensità la descrizione della morte momentanea di Dioniso. Prima che la sua carne venga dilaniata dai Titani, allarga le braccia in forma di croce, fissando gli occhi al cielo e sospirando languidamente un inatteso rimprovero: «Perché padre Zeus anche stavolta mi hai abbandonato?». Successivamente il feto recuperato di Dioniso venne cucito nella coscia di Zeus, che lo partorì senza dolore.

È una trama che si snoda tra sangue e sesso, ridicolo e debolezza, lotta per il potere e bramosia carnale. In tale senso Dell’Arti riesce a scrivere una narrazione con lo sguardo scettico e sorpreso dell’uomo contemporaneo, consapevole che i miti greci sono il fondamento della cultura occidentale. La forza della semplicità del lessico contraddistingue la volontà dello scrittore di non rivolgersi agli specialisti, semmai al pubblico più vasto delle persone comuni.

Franco Manzoni

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