La #tecnologia è entrata nelle aule, con risultati non sempre all’altezza. Diventa cultura solo se cambia la #didattica

di Pierangelo Soldavini ( Sole 24 ore Nova 30/7/17)

«Come si era sviluppato nel tempo il ciriveddro di ’sti picciotti? Parivano poter assorbiri tutto con ’na facilità che forsi era sulo di superfici, ma di ’na superfici enormi, globali, che era la superfici del munno ’ntero». Dopo aver confessato che «per mia rapprisentano un munno completamenti ’straneo», anche il Montalbano della maturità nella sua ultima avventura riconosce le difficoltà di dialogo con la generazione più giovane, quella dei nativi digitali. Ma il commissario intuisce che quel comportamento potrebbe nascondere potenzialità enormi.

È quel misto di potenzialità e incompren- sioni che si trova ad affrontare anche la scuola, un po’ in tutto il mondo. L’Ocse ha ribadito in più occasioni che un po’ in tutto il mondo gli investimenti in tecnologie al servizio della di- dattica non hanno mantenuto le promesse: i risultati degli studenti che hanno adottato massicciamente strumenti digitali non si discostano di molto dagli altri. Insomma, il digitale per il momento non fa la differenza, come invece è successo in tanti altri settori. Il problema, ribadisce l’Ocse, non sta nell’inefficacia dei nuovi strumenti quanto in una scarsa capacità dei docenti a utilizzarli in maniera in- novativa. Anche in Italia «le scuole hanno introdotto la tecnologia, ma i docenti non hanno cambiato la didattica – conferma Rosa Bottino dell’Istituto tecnologie didattiche del Cnr -: bisogna condurre l’insegnante a integrarle nel metodo». Anche a questo scopo Bottino sta seguendo il progetto europeo Selfie, che fornirà agli istituti una piattaforma di autovalutazione delle competenze digitali al proprio interno, sia per quanto riguarda gli studenti che (ancor di più) per i docenti.

La scorsa settimana la ministra dell’Istru- zione Valeria Fedeli ha fatto il punto della situazione italiana, che ha compiuto un salto di qualità evidente in fatto di dotazioni e di connessioni. Ora si tratta di innovare la didattica cercando di mettere a sistema l’esperienza degli animatori digitali, i docenti che fanno da snodo per l’innovazione didattica, che da settembre avranno a disposizione una piattaforma social di condivisione e confronto .

Nel sottolineare la delusione per lo scarso impatto che finora ha avuto sui risultati scolastici ai fini di un’educazione veramente personalizzata ed efficace, l’Economist ha recentemente sottolineato che qualcosa si sta muovendo: l’edtech sta trovando nuovi modi per interagire con gli studenti con modalità più creative, ma soprattutto l’esperienza sta portando a utilizzare i nuovi software per modificare le modalità con cui docenti e studenti “fanno” scuola. Proprio per questo le prospettive sono rosee, almeno dal punto di vista del business: il mercato edtech in Europa e America potrebbe lievitare a 120 miliardi di dollari nel 2019 rispetto a 75 cinque anni prima, secondo le previsio- ni di Technavio.

Ma tutto dipenderà da come i nuovi strumenti verranno utilizzati, a partire dai device. Una ricerca dell’Università Cattolica di Milano in collaborazione con il Centro Studi #ImparaDigitale e Hp indica che le Lim sono ancora la tecnologia singola più utilizzata, ma viene però superata da quelle mobili nel loro complesso: smartphone, tablet e notebook, tendenzialmente di proprietà dello studente. Dal sondaggio, condotto su un campione di 1388 docenti già introdotti alla didattica per competenze sfruttando il digitale, emerge come la strategia didattica sia più focalizzata sullo sviluppo delle competenze degli studenti piuttosto che alla semplice trasmissione del sapere. Proprio per questo la tecnologia viene utilizzata prioritariamente per favorire la condivisione, la co-creazione e la comunicazione. «Il docente risulta decisivo nel trasformare il digitale in didattica: non è un problema di età, ma di approccio. Si tratta di passare a un’alfabetizzazione secondaria in materia digitale, che permetta di migliorare effettivamente la didattica», sintetizza il curatore della ricerca Giuseppe Riva, docente di psicologia della co- municazione alla Cattolica.

La scuola dovrebbe quindi dispiegare il digitale in senso culturale e non solo meramente scientifico. «La tecnologia è solo lo strumento per risolvere problemi, l’oggetto di studio del docente è invece la persona che deve risolvere i problemi – sostiene Renzo Davoli, professore presso il dipartimento di Informatica dell’Università di Bologna -: l’obiettivo non è nozionistico ma metodologico. Se i ragazzi hanno conoscenze one click away, abbiamo la possibilità di liberare i loro neuroni per creare nuovi modelli cognitivi».

Così, per esempio, a Pisa è stato imple- mentato DiDat, all’interno del più ampio pro- getto europeo SoBigData, con l’obiettivo di trasferire sul territorio la cultura del dato, a partire dalle scuole: «La cultura del dato in tutta la sua filiera entra nel curriculum scolastico: vogliamo far capire a docenti e studenti che il dato non ha solamente un valore economico, ma anche una valenza culturale e sociale», spiega Paolo Ferragina, docente di computer science all’Università di Pisa e responsabile del progetto. Che è stato finalizzato al liceo scientifico Dini di Pisa con una sperimentazione di data journalism che ha coinvolto gli studenti in maniera nuova.

È solo un esempio ma indica una possibile via di cambiamento che non passa solo per l’applicazione automatica della tecnologia. Perché, come sottolinea l’Economist, i software educational non rendono inutile il ruolo del docente. Anzi, ora più che mai deve entrare in gioco l’abilità e la creatività dell’insegnante per trasformare la tecnologia in didattica innovativa ed efficace.

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