La #strada sul #Danubio che divide #romani e #barbari
Mostre di archeologia. Ad Aquileia, una rassegna narra la storia della regione dell’ #Illirico, corrispondente all’attuale Serbia. Seicento anni di guerre, conquiste e invasioni ma anche di fruttuosi scambi culturali
di Valentina Porcheddu (Il manifesto 1/6/18)
Là dove il Danubio attraversa le cosiddette Porte di Ferro e segna il passaggio dai Monti Carpazi meridionali ai Balcani, la possente roccia che pure sembra affiorare dall’acqua, conserva la traccia di un’antica strada. L’iscrizione nota come Tabula Traiana, incisa nel 100, ne ricorda il rifacimento per iniziativa dell’imperatore che vinse i Daci. Nel I secolo d.C. il Danubio non era solo un fiume ma parte del limes, il confine che separava i territori sottomessi a Roma dalle genti barbariche.
Una mostra ospitata presso Palazzo Meizlik ad Aquileia (fino al 3 giugno) racconta la storia della regione romana dell’Illirico corrispondente all’attuale Serbia. Tesori e Imperatori. Lo splendore della Serbia romana (catalogo Gangemi) è promossa dalla Fondazione Aquileia, dal Museo nazionale di Belgrado e dalla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Polo museale del Friuli Venezia Giulia, il Comune di Aquileia e l’Associazione nazionale per Aquileia.
CURATA DA UN TEAM internazionale – Bojana Boric-Breškovic, Ivana Popovic, Deana Ratkovic, Cristiano Tiussi, Monika Verzár e Luca Villa –, riunisce sessantadue oggetti provenienti dal Museo nazionale di Belgrado, di Zajecar e di Niš e dai musei di Požarevac, Novi Sad, Sremska Mitrovica e Negotin oltre a un calco storico della Colonna Traiana (1861) prestato dal Museo della Civiltà Romana.
Nell’allestimento sobrio ed elegante progettato dall’architetto Enrico Smareglia e accompagnato dalle suggestive foto di Gianluca Baronchelli, emergono seicento anni di guerre, conquiste e invasioni ma anche di fruttuosi scambi culturali. Il diploma militare di Taliata (Donji Milanovac), costituito da due tavolette bronzee e datato precisamente al 28 aprile del 75 d.C., testimonia la presenza dei soldati in servizio lungo il Danubio e riveste un interesse particolare per essere il più antico reperto di questa tipologia.
La Tabula Traiana sul Danubio. Foto di Gianluca Baronchelli
All’ambito militare appartengono anche gli elmi e le maschere da parata cronologicamente collocati tra II e IV secolo d.C. I primi, rinvenuti a Berkasovo, sono formidabili esempi del ridondante stile dell’epoca, con le paste vitree incastonate in una calotta dorata, a imitare pietre preziose. Le maschere, specialmente quella proveniente da Vinceia/Smederevo, emanano tutto il mistero dei fulgidi sguardi che dovettero animarle in occasione delle giostre equestri. Significativo per le confluenze artistiche è, invece, il Tesoro in argento di Transdierna/Tekija del I secolo d.C.: malgrado i gioielli rivelino somiglianze stringenti con ornamenti daci, i recipienti – patera e simpulum –, gli elementi di cintura e le iconcine con raffigurazione della Magna Mater (o Proserpina) e Giove – furono realizzati in Italia.
L’IMPORTANZA STRATEGICA delle province balcaniche, porta d’accesso alle ricchezze dell’Oriente, determinò la carriera di alti ufficiali dell’esercito, i quali – originari di queste aeree – si erano distinti nei combattimenti contro i Barbari. A metà del III secolo, molti di essi furono proclamati imperatori. La rassegna in corso a Palazzo Meizlik mette in evidenza soprattutto il periodo della Tetrarchia, quando Diocleziano – per affrontare meglio il problema della difesa dei confini e della soppressione delle rivolte locali – proclamò Massimiano coreggente e scelse poi come Cesari Costanzo Cloro e Galerio. Da questo momento, i ritratti imperiali divennero rigidamente frontali, con la forma della testa tendente al cubico e grandi occhi spalancati. Le figure, private di qualsiasi caratteristica individuale, dovevano trasmettere l’idea di uguaglianza tra gli Augusti e i Cesari, loro «figli».
TALE VOLONTÀ POLITICA trovò espressione nel porfido rosso, la più dura fra le pietre, che ben rappresentava i valori della forza e della dignità. Tra i frammenti scultorei esposti si distingue la testa di Galerio da Felix Romuliana (Gamzigrad) sormontata da una corona trionfale a medaglioni, abbellita con busti di divinità come nelle corone indossate dai sacerdoti. In porfido rosso è anche una statuetta votiva di Igea, dea della salute, scoperta in una villa a Mediana.
L’ESERCITO fu il principale mezzo di diffusione della religione romana, sia nelle strutture militari che negli abitati sorti lungo le vie d’acqua del Danubio e della Sava. In mostra non poteva mancare, dunque, una sezione dedicata ai culti: alle radiose teste in marmo di Ercole e Venere si affiancano i rilievi del dio Mitra da Transdierna /Tekija e Vinceia/Smeredevo: in entrambe le lastre è rappresentato il rito del sacrificio del toro (tauroctonia) dal quale prendeva luce questa divinità misterica adorata dagli oppressi.
Degno di menzione, infine, il Cammeo di Belgrado, piccolo capolavoro che – attraverso le sfumature policrome – esalta le virtù di un personaggio a cavallo: si tratta probabilmente di Costantino il Grande, nato a Naissus e autore del celebre editto del 313 che «legalizzò» il cristianesimo.
DOPO IL CICLO dell’«Archeologia ferita», che ha portato ad Aquileia reperti di paesi colpiti da guerre e terrorismo, con Tesori e Imperatori. Lo splendore della Serbia romana, la Fondazione Aquileia – per il tenace impegno del suo presidente Antonio Zanardi Landi – offre al pubblico l’occasione di conoscere un paese con un patrimonio archeologico di notevole impatto e una sponda protesa all’amicizia fra i popoli.