La polemica

Elogio di un’istituzione incompresa

“Ragazzi, tornate a iscrivervi al #classico”

di Raffaella De Santis (Repubblica 16/5/18)

Da un po’ di anni il liceo classico è costretto a smarcarsi dalle accuse di chi lo considera poco adatto ai tempi.

Insegnanti e classicisti si ritrovano a dover difendere una scuola che ha avuto un ruolo di primo piano ma rischia di apparire ingiustamente poco appropriata alla vita di tutti i giorni. Non è così, dice oggi Federico Condello, professore di filologia greca e latina all’università di Bologna, perorando in un saggio ricco di dati la causa del classico ( La scuola giusta. In difesa del liceo classico, Mondadori).

Condello mostra come gli alunni del classico siano i più flessibili a sperimentare scelte universitarie disparate, iscrivendosi con successo a facoltà come ingegneria o matematica.

«Smettiamola di definire gli studi umanistici inutili e di accusare di nozionismo lo studio delle lingue antiche», dice. Non sono parole neutre, ma prese di distanza nette da importanti classicisti, da Maurizio Bettini a Nuccio Ordine e Nicola Gardini.

Crede che una difesa del liceo classico possa servire?

«Sul liceo classico si gioca una partita che va al di là. Non si tratta di difendere l’istruzione classica in sé ma di fare un ragionamento più ampio sullo stato della scuola pubblica italiana, sull’ambizioso progetto che l’ha animata in altri tempi e su quanto ora si va perdendo delle istanze di equità che ne erano alla base».

Un progetto nato nell’Italia risorgimentale.

«Quando si voleva innervare la nazione di una nuova classe media.

Si è trattato di un programmatico esperimento di ascensione sociale.

Una democratizzazione ampia di saperi strutturalmente d’élite».

Oggi però la crisi degli studi classici è innegabile.

«Siamo di fronte a un panorama che inquieta: il liceo classico rappresenta oggi il 6,7% delle iscrizioni contro il 25% dello scientifico, l’8,2 % delle scienze umane e il 9,3% del linguistico. La moltiplicazione dei licei della riforma Gelmini ha introdotto un’offerta formativa fumogena.

Assistiamo ad un’impressionante licealizzazione della scuola, abbiamo superato il 55% di iscrizioni al liceo, ma le scelte che si offrono sono ingannevoli».

Perché ingannevoli?

«Un dato importante è il numero di fallimenti universitari nelle scuole concorrenti del liceo classico. Il linguistico è nell’ordine del 35%, il liceo delle scienze umane sul 45%.

Dati drammatici, vuol dire che oltre un terzo e quasi la metà degli alunni di quelle scuole non è messo nelle condizioni di proseguire gli studi.

Eppure si vuole rendere il liceo classico sempre più di nicchia.

Attraverso il proliferare di indirizzi alternativi è stato ridotto a una scuola per bamboccioni di lusso».

Lei sostiene però che il classico sia ancora oggi un ascensore sociale.

«È la scuola che lascia più liberi nelle scelte universitarie successive e che garantisce successi anche a chi parte da condizioni non avvantaggiate. In questo senso è una scuola “giusta”, perché lascia aperte tante possibilità e non costringe un ragazzo di tredici anni a fare già una scelta che condizionerà tutta la sua vita».

Su cosa basa queste considerazioni?

«Sui dati. Gli studenti che escono dal classico compiono, in una fascia tra il 36% e il 46%, scelte universitarie molto difformi dal loro asse culturale, e hanno carriere eccellenti. Segno che il liceo classico è una scuola aperta. Alcuni esempi: il 7,4% dei suoi studenti si iscrive alla facoltà di medicina, quasi il 6% a ingegneria, più del 14% segue indirizzi di area politico-sociale».

Non è così per gli altri licei?

«Negli altri licei l’“incanalamento” precoce è più forte. Anche lo scientifico è meno flessibile: le scelte difformi rispetto all’asse scolastico sono intorno al 15% per l’opzione “scienze applicate”. Per non parlare degli istituti tecnici o professionali: trappole di classe, scuole nate con il progetto di riprodurre la diseguaglianza sociale di partenza».

Quanto pesano le origini familiari sulla scelta della scuola?

«È vero il classico è una scuola culturalmente e socialmente più omogenea di altre. In questo riflette la struttura della nostra società di classe. In una società di classe la scuola è di classe. Ma oggi in numeri assoluti le famiglie alto borghesi iscrivono più spesso i propri rampolli al liceo scientifico. Il mio è un invito ad utilizzare il classico per quello che può potenzialmente essere, un ascensore sociale straordinario. Non mi convince chi elogia le humanities come sapere “inutile”, disinteressato. Mi sembra una forma micidiale di elitismo».

Non è un’esortazione a coltivare il pensiero critico?

«Equivale a dire: fate il liceo classico solo se avete tempo da perdere. A ciò si aggiunge un’immagine caricaturale del classico con docenti impegnati a torturare con spietatezza di aguzzini gli studenti».

Nel libro prende le distanze dall’idea di umanismo di Nuccio Ordine e Nicola Gardini.

«Vedere riemergere le difese degli studi umanistici come studi anticapitalistici, antiaziendalistici, antiutilitaristici riporta il dibattito a fasi tardo ottocentesche o primo novecentesche».

Critica anche l’approccio antropologico di Maurizio Bettini, basato su orizzonti più vasti di un mero esercizio grammaticale sulle lingue antiche.

«Quello che non colgo è la novità.

Esiste il nozionismo della grammatica così come esiste il nozionismo della letteratura, dell’antropologia o della matematica. Inoltre esagerare sui contenuti classici rischia di rendere ancora più rigido in senso classicistico il corso di studi».

Una certa critica al nozionismo non è condivisibile?

«La vilipesa traduzione è per sua natura un’operazione che insegna competenze trasversali. Attraverso la traduzione non si imparano il greco e il latino ma procedure di pensiero. Nei Quaderni del carcere Gramsci è netto nel dire che greco e latino non sono materie in sé ma metodi formativi che insegnano a pensare, a problematizzare».

E il greco “geniale” di cui parla Andrea Marcolongo?

«Il greco non è più geniale del dialetto della bassa veneta dove sono cresciuto. Che il greco sia stato utilizzato da Platone o da Sofocle oltre che per comprare le acciughe al mercato, può dare la sensazione che sia una lingua geniale. Trovo preoccupante parlare dello spirito di una lingua, il passo successivo è parlare dello spirito di un popolo».

Lei insegna all’università.

Come sono i suoi studenti?

«Una generazione splendida. Chi dice che era meglio la precedente forse rimpiange solo la propria giovinezza».

Un commento su “La polemica”

  • Vorrei dire un paio di cose -in cui la negatività e l’approvazione sono complementari – alla gentile Licia e al prof. che ha scritto il libro. Secondo me Bettini sbaglia (non gravemente) nella comunicazione e nell’operatività SCOLASTICA. Io l’ho conosciuto come relatore e siamo rimasti abbastanza amici anche se è una vita che non lo vedo: era (è) un filologo e un “grammatico” di un’acribia invidiabile, molto maggiore di quella degli allora suoi detrattori “antiantropologici”. Ha sempre lavorato per l’unione di percorsi reali, su come vivevano i Romani e i popoli antichi, legati alla traduzione esatta di testi concreti. I suoi libri non scolastici lo confermano. Quelli scolastici, curati da vari collaboratori, sono più o meno come tutti gli altri libri con qualche schedina antropologica (bella tra l’altro) aggiuntiva: sono i libri che i ragazzi pretendono per annotarsi meno cose in classe e studiare per l’interrogazione. Tutti (i libri e i ragazzi). Ad esempio molti miei colleghi non han letto niente di Bettini e in base a un paio di dichiarazioni televisive hanno deciso che vuole diminuire la forza del vecchio liceo classico. Io non credo sia esattamente così…

    Sono d’accordo con la difesa del classico fatta dal prof oggetto di recensione, e mi complimento per l’uso di statistiche concrete. Credo però che dovremmo pensare meglio, proprio in senso linguistico, a chi ha scelto il liceo classico con una certa onestà e disponibilità, ma non fa parte di chji arriva già convintissimo e preparatissimo (quest’ultimi saranno più o meno 3 o 4 ogni classe): è qui che si gioca la forza o meno di quello che il prof dice.

    Ottimo, ma da ritoccare a parer mio, anche il giudizio sulla Marcolongo: le parti linguistiche in senso stretto, storico/tecnico, del libro di costei sono piuttosto arretrate ..; ma non è questa l’importanza del suo libro: è la passione da mostrare ai ragazzi e soprattutto gli ottimi collegamenti tra cultura artistica europea e vicende personali,da un lato, e la grande importanza del greco dall’altro, che certo è una lingua come tutte, ma è stata lingua franca per mille anni, e lingua culturale per duemila. Grazie dell’attenzione

Lascia un commento