La musica degli atomi
C’è una geometria sonora come pensava Pitagora
I corpi celesti correndo tra gli spazi non umani emettono vibrazioni: i Greci l’avevano già intuito
L’interrogativo anche sui rapporti tra noi e gli astri dell’universo: aveva ragione Giordano Bruno a sostenere che esistono altri mondi abitati da esseri intelligenti?
di Armando Torno (Corriere 02/10/14)
Gli atomi emettono delle note, qualcosa che ricordi una musica? Un fisico razionale vi risponderebbe subito «no», ma non è semplice offrire certezze, pur frugando nei dettagli la storia del pensiero. Democrito, il filosofo greco che li amava tanto, non ne parla; tuttavia i pitagorici, che la pensavano in maniera opposta a lui e alla sua scuola, credevano nella musica delle sfere, che è poi quella nata dai movimenti dei pianeti e degli astri che vagolano nell’universo. Risalirebbe al fondatore Pitagora l’idea che i corpi celesti, per effetto del loro correre tra gli spazi non umani, emetterebbero un suono, impercettibile all’orecchio ma continuo; e queste note si abbraccerebbero diffondendo un’armonia. I latini la chiamavano musica universalis . Nel Medioevo essa era testimoniata e anche creduta, tuttavia senza gli antichi entusiasmi; inoltre, in quei secoli, i sapienti smisero sostanzialmente di pensare anche agli atomi, pur con delle eccezioni che si ritrovano nella Philosophia mundi di Guglielmo di Conches e nei Mutakallimun, una scuola musulmana di atomisti.
Eppure una risposta al quesito è possibile, anzi l’ha offerta un protagonista scientifico del mondo attuale. Frank Wilczek, lo statunitense che ha vinto il Premio Nobel per la fisica del 2004, in una lezione tenuta a BergamoScienza parla di «musica degli atomi». L’universo di queste particelle — usiamo sue parole — «appaga in modo eccezionale i sogni di Pitagora di geometrie perfette, ed è persino vero, reale». Le sfere musicanti, sognate dai greci e anche da Keplero, avrebbero un corrispettivo nelle vibrazioni impercettibili che potrebbe emettere un atomo di idrogeno, con il protone nel mezzo e un elettrone intorno ad esso.
Ammesso che si riesca un giorno ad ascoltare tali vibrazioni che giungono dagli abissi della realtà e riflettono armonie celesti, va precisato che esse svanirebbero se la materia venisse raffreddata con il laser cooling raggiungendo temperature di un microkelvin, vale a dire un milionesimo di grado Kelvin. Dopo un simile processo gli atomi diventano trecento milioni di volte più freddi dell’aria che percepiamo in un giorno d’estate. Ma a questo punto ecco un’ulteriore osservazione che è possibile trovare in un’altra lezione tenuta a BergamoScienza da Claude Cohen-Tannoudji, Premio Nobel per la fisica nel 1997: «A quelle velocità, o a quelle temperature, gli atomi si spostano di pochi millimetri al secondo, mentre a temperatura ambiente si muovono di vari chilometri ogni secondo». La misteriosa musica si congela dunque, quasi che si ritrovi nell’ipotesi accennata il possibile freddo universale che un giorno sarà recato dall’entropia.
Inseguendo l’armonia delle sfere ci si dimentica di un altro quesito: c’è vita sugli altri pianeti? O essi dovrebbero pitagoricamente limitarsi a emettere soltanto un suono? Giordano Bruno riteneva che la Terra non fosse un unicum e, più convinto di Copernico, sostenne che esistono «pianeti come la Terra, magari milioni di altri mondi abitati da esseri intelligenti». Le parole, sempre prese da una lezione di BergamoScienza, sono di un Premio Nobel, Jack W. Szostak, che vinse quello per la medicina nel 2009. Dopo aver parlato del telescopio Kepler (che ha scoperto migliaia di pianeti candidati a essere simili alla Terra) lo scienziato si pone un quesito fascinoso: «Se ci fossero forme di vita da qualche parte dell’universo, avrebbero le caratteristiche di quello che vediamo sulla Terra? Sarebbe una vita basata sull’acqua come solvente? Avrebbe il Dna o qualcosa di simile? Avrebbe le proteine o molecole simili a sostenere i processi biochimici della cellula?».
Certo, non è difficile continuare riprendendo le parole di James D. Watson, Premio Nobel per la medicina nel 1962, e della lezione che ha tenuto — sempre nell’ambito delle lezioni bergamasche — su Il Dna: il regista occulto della nostra vita . Si scoverebbero forse le possibili note che si consumano lì, ma il discorso si fa infinito. Basti soltanto aggiungere che da un quesito sugli atomi siamo finiti nell’universo e poi siamo ritornati nelle intime manifestazioni della vita, utilizzando come spirito-guida una musica-fantasma che nessun critico potrà mai né comprendere né recensire. Non abbiamo risolto il problema posto da Frank Wilczek, tuttavia grazie ad esso ci siamo accorti quale legame unisca armonie impercettibili ai viaggi dei corpi celesti o alle folli corse delle infime particelle di materia. Sir James Hopwood Jeans, astronomo, matematico e fisico britannico che lasciò questo mondo nel lontano 1946, ci aiuta a meglio comprendere la nostra insolita odissea con una sua osservazione: «L’universo comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che non a una grande macchina».