LA FINE DELL’IMPERATORE GIULIANO: UNA VERSIONE MEDIEVALE

[Boccaccio, De casibus, VIII, 11 (De Iuliano Apostata rege Romanorum)]:

«Il cui [Giuliano] corpo dicono, poi quelli, che riferiscono la vita di Fabiano, che per comandamento di Sopore [Shapur II] fu tolto, e levatali la pelle; la quale per mano d’un artefice acconcia, e tinta di colore, fu tenuta da Re per una coperta di sella.»

Questo è la traduzione in volgare di un passo del “De casibus virorum illustrium” di Giovanni Boccaccio, dove è narrata una versione poco conosciuta della fine dell’imperatore Giuliano.

Come in tutte le storie medievali che siano bizantine o occidentali, l’Imperatore Giuliano è ucciso da San Mercurio di Cesarea, un soldato martirizzato durante le precedenti persecuzioni di Decio. Giuliano si rivolge al cielo e le ultime sue parole sono l’ammissione di essere stato sconfitto da Cristo.

Boccaccio e altri due autori precedenti, Goffredo da Viterbo e Jacopo da Varazze, aggiungono un piccolo particolare: il cadavere di Giuliano non è portato dal suo successore Gioviano a Tarso per essere seppellito (come tramandato da Ammiano Marcellino e Zosimo), ma è prelevato dai soldati sasanidi, consegnato al re Shapur II che ordina di farlo scuoiare e non solo espone la pelle del suo rivale, ma addirittura la utilizza come coperta.

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BOCCACCIO E L’IMPERATORE GIULIANO

Questa immagine è intitolata “la pelle di Giuliano” e proviene dal manoscritto del The Fall of Princes, un poema della prima metà del quindicesimo secolo, scritto dal monaco inglese John Lydgate of Bury. Il The Fall of Princes è fortemente ispirato, anzi quasi un riassunto del De casibus virorum illustrium (sulle sventure degli uomini illustri) di Giovanni Boccaccio, opera in latino dedicata al fiorentino Mainardo Cavalcanti, siniscalco del regno di Napoli.

Il De casibus è composta da nove libri nei quali sono trattate le fini orribili di uomini e donne del passato. Quest’opera ha principalmente un fine educativo; possiamo considerarlo come uno “speculum principis” se teniamo conto anche del probabile vero destinatario dell’opera: la Regina Giovanna I di Napoli.

Tra gli sventurati c’è anche l’imperatore Giuliano ed è interessante notare come Boccaccio proponga una versione poco conosciuta della sua morte, anzi per essere precisi del destino del suo corpo.

Come in molte storie medievali sia occidentali che bizantine Giuliano muore per la ferita inflitta il giorno primo da San Mercurio di Cesarea e le sue ultime parole rivolte al cielo sono “Vicisti Galilee”.

Il cadavere dell’imperatore è prelevato dai soldati sasanidi e consegnato al Re Shapur II, che ordina di scuoiarlo per poi esporre pelle del suo avversario arrivando addirittura a utilizzarla come una coperta.

La punizione divina colpisce l’imperatore apostata, superstizioso e crudele non solo facendo fallire il suo folle e superbo piano di conquistare l’Impero sasanide, ma umiliandolo con una fine indegna di un imperatore.

Questo è il passo di Boccaccio da una traduzione in volgare della fine del sedicesimo secolo (p. 483):

[Boccaccio, De casibus, VIII, 11 (De Iuliano Apostata rege Romanorum)]: «Il cui [Giuliano] corpo dicono, poi quelli, che riferiscono la vita di Fabiano, che per comandamento di Sopore [Shapur II] fu tolto, e levatali la pelle; la quale per mano d’un artefice acconcia, e tinta di colore, fu tenuta da Re per una coperta di sella.»

https://books.google.it/books?id=d5QD_uFhmVQC&pg=PA446&lpg=PA446&dq=I+casi+degl%27huomini+illustri.+Di+messer+Giouan+Boccaccio&source=bl&ots=pGnSCet3ht&sig=fwjfX6G0d7BSD3S5Cqy6DFCGPDc&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjnqJmNzr_aAhVGPBQKHSUIAX0Q6AEwC3oECAAQUA#v=onepage&q&f=false

Il passo originale in latino:

«Cuius exinde cadaver dicunt qui Fabiani vitam referunt, iussu Saporis regis acceptum et eius corium artificis venustatum manu et coccineo decoratum colore et selle regis infixum.»

http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit001350/bibit001350.xml&chunk.id=d80e1805&toc.depth=100&toc.id=d80e1598&brand=bibit

La vita di Fabiano è andata perduta, ma doveva essere la fonte originale di questo aneddoto, perché è citata anche da Goffredo da Viterbo nel suo Pantheon (dodicesimo secolo) e da Jacopo da Varazze nel suo Legenda Aurea (tredicesimo secolo).

– Goffredo da Viterbo

http://www.dmgh.de/de/fs1/object/goToPage/bsb00000867.html?pageNo=179&sortIndex=010%3A050%3A0022%3A010%3A00%3A00

– Jacopo da Varazze

http://www.archive.org/stream/legendaaureavulg00jacouoft#page/144/mode/2up

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