L’ #otium latino, il sabato ebreo, il weekend inglese
Livia Capponi (La Lettura, 15/7/18)
Diciotto secoli prima che gli inglesi inventassero il weekend, i romani dibattevano sul concetto di otium, concetto ampio e articolato che il nostro termine «ozio» traduce in modo imperfetto. Otium era l’attività privata, comprendente lo studio, la scrittura, il ritiro nella villa di campagna, che un aristocratico si permetteva in alternativa al negotium, il «non-ozio», cioè gli affari e gli incarichi pubblici. Cicerone, esautorato da ogni carica ad opera di Cesare, definiva il suo ritiro forzato dalla scena politica «ozio con dignità», presentando questo trascorrere il tempo in attività amene come l’ideale culturale delle classi agiate. Per Seneca, l’ozio doveva essere anzitutto periodo di automiglioramento, non di dissolutezze: secondo lui anche un eccellente generale come Annibale commise un grave errore indulgendo con l’esercito negli ozi di Capua (215 a.C.), che lo portarono alla sconfitta. Descrive poi l’aristocratico romano che si ritira a vita privata perché stanco o frustrato dagli affari politici, e che in quel nascondiglio non diventa migliore: la sua ambizione, mai estirpata, è addirittura esacerbata dagli insuccessi della vita pubblica. Neanche la villeggiatura, altra invenzione romana, salva l’uomo: «È l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi» e «fuggi sempre in compagnia di te stesso». Mentre i Romani si affaccendavano in queste disquisizioni, gli ebrei praticavano sia il sabato, giorno di vacanza e di studio, che l’anno sabbatico, periodo a cadenza settennale in cui uomini, animali e terre riposavano, gli schiavi erano liberati e i debiti cancellati. Riavviare la vita a intervalli regolari e anche prima della vecchiaia, per coltivare talenti o affetti trascurati a causa del lavoro: pare l’ultima frontiera dei diritti umani nella società dello stress.