L’ #artedigitale diventa unica (e immortale)
Le opere digitali vengono #trasferite via #blockchain (su Ethereum) associate a un token che ne garantisce proprietà e originalità. Il giro d’affari cresce e anche Christie’s entra
Massimo Franceschet (Sole 24Ore 21/1/19)
Non tutti sanno che la tela jeans indossabile è stata creata a Tolmezzo, in Carnia, nella prima metà del 1700 da Jacopo Linussio, un grande innovatore del sistema industriale del tempo. Tela jeans che gli americani hanno trasformato nell’indumento che tanto ha influenzato la cultura e l’immaginario contemporaneo. Lo scambio tra Stati Uniti e Carnia vive oggi un altro momento: la prima esposizione italiana del movimento artistico denominato CryptoArt, nato proprio negli Stati Uniti attorno alla tecnologia blockchain, ha luogo proprio a Tolmezzo in occasione della mostra personale Fight Fear del duo Hackatao, che di questo cambio di paradigma è uno dei pionieri italiani. La CryptoArt è una recentissima corrente artistica in cui l’artista produce opere d’arte, tipicamente immagini fisse o animate e spesso in stretta collaborazione con la macchina -non necessariamente un computer ma anche, ad esempio, uno scanner o una vecchia Polaroid – e le distribuisce sfruttando la tecnologia blockchain e la rete peer-to-peer Ipfs (InterPlanetary File System). Ma come funziona il sistema della CryptoArt? Proviamo a spiegarlo in maniera semplice, nonostante i concetti che stanno alla base di blockchain e IPFS non lo siano affatto. Si consideri l’opera intitolata O Snail dell’artista generativo HEX0x6C (nell’illustrazione qui a fianco, ndr). L’opera, esposta nella galleria digitale SuperRare, interpreta, in chiave moderna, un antico haiku di Kobayashi Issa (potremmo
dire che è una sorta di haiga ai tempi della blockchain). Quando l’artista ha esposto l’opera nella galleria SuperRare, è stata creata una transazione nella blockchain di Ethereum. La transazione crea e trasferisce un token associato univocamente all’opera d’arte nel portafoglio crittografico dell’artista. La transazione è firmata digitalmente dall’artista, usando la crittografia asimmetrica, allo scopo di provare l’autenticità dell’opera. L’opera d’arte, in realtà la sua immagine in formato Jpeg, viene quindi immessa dalla galleria nella rete peer-to-peer Ipfs e distribuita tra i vari nodi della rete. La rete Ipfs battezza l’immagine con un codice univoco, che ne contraddistingue il contenuto. Questo fa sì che la stessa immagine, anche se distribuita su più nodi della rete, avrà sempre lo stesso nome e sarà identificata concettualmente come un’unica risorsa (diversamente dal Web che conosciamo). L’opera digitale ora comincia la sua vita (peraltro immortale) sulla blockchain. Chiunque può ammirarla e comprarla al prezzo fissato dall’artista (molte vendite funzionano tramite asta). Il prezzo è espresso in Ether, la terza criptovaluta per capitalizzazione di mercato dopo Bitcoin e Ripple. Al momento dell’eventuale acquisto, una nuova transazione viene immessa in Ethereum: il token dell’opera passa nel portafoglio del collezionista compratore mentre gli Ether pattuiti passano nel portafoglio dell’artista venditore. O Snail è stata ceduta al collezionista LuoHan per 1,5 Ether. L’opera, anche dopo essere stata venduta, rimane sul mercato e può essere ancora scambiata. Ogni passaggio di mano remunera, in per
centuale, anche l’artista originale (un 10% del prezzo di vendita su SuperRare). Tutti questi passaggi, che nel mercato dell’arte tradizionale impiegano mesi o anni per verificarsi, grazie a questa tecnologia avvengono in pochi istanti, in modo certificato e sicuro. Ma perché comprare un’immagine visibile e potenzialmente scaricabile da tutti? Il collettivo Hackatao risponde così: «L’opera rimane comunque riproducibile all’infinito, sempre visibile a tutti, ma solo un collezionista possiede quello che l’artista definirà l’originale, il token unico dell’opera. Ovviamente il collezionista deve entrare nell’ottica di possedere un’opera digitale e non un oggetto fisico da appendere al muro. Un concetto molto più comprensibile ai millennials che non alla generazione dei boomers ancora legata al “materico”, al peso, alla palpabilità di un’opera. E come la mettiamo con il crollo delle criptovalute del 2018? Se è vero che Ether ha perso circa il 90% nel corso dello scorso anno (valeva oltre 1000 dollari dodici mesi fa e poco più di 100 in questi giorni), è altrettanto vero che il valore scambiato in transazioni di CryptoArt è esploso nello stesso anno (solo su SuperRare ci sono state 256 opere vendute, per un totale di 546 Ether scambiati). Non è un caso che la più grande casa d’aste al mondo, Christie’s, abbia fiutato le potenzialità della blockchain nell’arte. Lo scorso Ottobre ha battuto all’asta per 432 mila dollari un’opera creata con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale dal collettivo francese Obvious, collettivo che ha mosso i primi passi proprio nella galleria SuperRare. Appena dopo ha collaborato con il servizio di blockchain Artory per la vendita della collezione Barney A.Ebsworth per un valore totale di oltre 300 milioni di dollari. Jason Bailey (artnome.com) ha scritto una pungente presentazione per la prima mostra italiana di CryptoArt di Tolmezzo. «A differenza del mondo dell’arte tradizionale, questi artisti non hanno chiesto il permesso a galleristi, agenti, case d’asta o altri custodi per condividere e vendere le loro opere. Invece, sfruttando la blockchain, hanno semplicemente deciso da soli di mostrare il loro lavoro e renderlo disponibile – conclude Bailey nella sua recensione -. Naturalmente, la vecchia guardia deride regolarmente la CryptoArt, ma se la storia ci ha insegnato qualcosa, questo è un segnale sicuro che i cripto artisti sono sulla giusta via».