In principio era la #Mesopotamia. Una mostra al Louvre di Lens rivela le primogeniture della Terra tra i due fiumi di Daniela Fuganti (La Stampa, 28 /12/16)
Verso la fine del 1872 a Londra, davanti alla Society of Biblical Archaeology e in presenza della regina Vittoria, George Smith, uno dei primi decifratori dei testi cuneiformi, annunciò d’aver scoperto – fra le tavolette provenienti dalla biblioteca reale del palazzo di Assurbanipal (687-627 a.C.) a Ninive – una storia del Diluvio universale che anticipava fin nei minimi dettagli quella della Bibbia. Questa dunque non poteva più essere letta come parola emanata da Dio in persona, e diventava un’opera scritta dagli uomini.
L’archeologo rivelò, davanti a una platea sconcertata, l’epopea di Gilgamesh, il leggendario re sumero di Uruk, vissuto intorno al 2500 a.C., che si era spinto in capo al mondo per scoprire il segreto dell’unico essere umano divenuto immortale, chiamato Supersaggio. Costui, eroe a sua volta di un altro poema epico che narra la Creazione, gli aveva descritto la storia di una catastrofe, il Diluvio, che un tempo aveva annientato l’umanità, a cui era sfuggito imbarcandosi su un battello con la sua famiglia e una coppia di ogni animale. Gli dèi, per ringraziarlo di avere così permesso agli uomini, loro indispensabili servitori, di restare sulla terra, lo avevano reso immortale. Quindi la saga di Gilgamesh era già considerata antichissima all’epoca della divinamente grande Ninive, ultima capitale dell’impero assiro, oggi drammaticamente nota con il nome di Mosul.
Cinquemila anni fa
Nell’ora in cui si stringe la morsa intorno alla città irachena per sloggiare i jihadisti, e in cui l’esercito ha da poco liberato Nimrud, la prima capitale assira (883-859 a.C.) selvaggiamente devastata, c’è una mostra al Louvre Lens – appendice del museo parigino, inaugurata nel 2012 nel Nord-Est della Francia – per raccontarci quanto dobbiamo alla Mesopotamia. È qui, nel paese dell’Eden dove scorrono il Tigri e l’Eufrate – sottolinea Ariane Thomas, conservatrice delle collezioni mesopotamiche del Louvre e commissario della mostra del Louvre Lens -, che cinquemila anni fa quasi tutto è avvenuto per la prima volta. Qui è stata concepita la scrittura e sono nate le prime città: Kish, Uruk, Eridu, Ur e Lagash. Qui è stata inventata l’irrigazione artificiale, la tessitura, la ruota, i mattoni, l’arco e la volta, il vetro, la birra e il vino. E ancora, gli sviluppi fondamentali nell’architettura, la matematica e la medicina.
Nella mostra – allestita con le collezioni del Louvre e prestiti provenienti da Berlino e Londra – è esposto il contenuto della prima cassa di reperti, inviata al Louvre da Paul-Emile Botta, nato torinese, e divenuto console di Francia a Mosul nel 1842. Partito per localizzare la Ninive biblica, si era invece imbattuto nell’antica Dur Sarrukin, l’attuale Khorsabad, fastosa capitale dell’impero assiro al tempo di Sargon II, celebre per i tori alati che ornano oggi i più grandi musei del mondo, la quale aveva soppiantato Nimrud e preceduto Ninive. Il vero colpo di scena doveva tuttavia avvenire alcuni anni più tardi, nel 1877, quando un altro console francese, Ernest de Sarzec, resuscitò a Tello una civiltà grandiosa e completamente ignorata: quella dei sumeri e della loro antica capitale Lagash, governata dal principe Gudea verso la fine del terzo millennio a.C.
Da allora decine di migliaia di tavolette scritte in cuneiforme, rinvenute nelle biblioteche dei templi e dei palazzi, svelano una lunga storia insospettata. Alcune di queste, esposte e tradotte nelle vetrine dell’esposizione, mostrano una società ben strutturata, con libri dei conti, contratti di matrimonio e professionali. Senza dimenticare le preziose liste delle dinastie reali. In una tavoletta si esprimono dubbi sulla giustizia divina: «Perché tanta infelicità, se mi sono comportato bene?». Altre lasciano senza fiato e rivelano il primo caso di delinquenza minorile, il primo caso di esenzione fiscale, il primo sistema politico bicamerale.
Il ritratto di Hammurabi
Capolavori celebri e pezzi inediti percorrono la storia di due popoli, i Sumeri e gli Accadi, che hanno messo in comune il loro genio e la loro cultura per gettare le basi di un impero che dominò per tremila anni il Vicino Oriente. Del quale Babilonia, la città di Hammurabi e poi di Nabucodonosor, incarnerà per sempre la potenza e la gloria. Centoventi leoni, emblema della dea Ishtar, adornavano i muri, ricoperti con ceramiche azzurre, del leggendario viale delle processioni dirette al tempio di Marduk. Uno di questi, esposto a Lens con le fauci spalancate, sembra ancora ruggire.
«Il British – spiega la curatrice della mostra – ha prestato la rarissima tavoletta che racconta il Diluvio, ma anche un’opera spettacolare: una parure femminile con diadema, orecchini, fili di perle d’oro, lapislazzuli e cornaline, esumata nel Grande pozzo della morte di Ur, databile al 2600 a.C.». Per poter ammirare ogni dettaglio dei minuscoli e straordinari sigilli cilindrici, incisi su pietre dure dagli artigiani del terzo millennio a.C., un’intera parete è stata ricoperta da fotografie ad altissima definizione. Un ritratto di Hammurabi (1811-1750 a.C.), autore del famoso trattato giuridico, rinvia invece a temi di costante attualità. Per ben tre volte durante il suo regno il re babilonese aveva condonato i debiti ai sudditi. Un modo di assicurare la libertà a persone che altrimenti sarebbero state ridotte in schiavitù: un modo di governare, confida Ariane Thomas, verso cui il presidente Hollande, quando è venuto a inaugurare la mostra, ha mostrato molta curiosità.