In fuga dal #tempo arido e mediocre
Saggistica. #Omero, #Cicerone, #Virgilio. Oppure Corneille, Racine, Moliére. Sono gli amici intimi di Marc #Fumaroli, esule volontario nella «Repubblica delle lettere», animato da un dichiarato rigetto verso i miti della modernità
di Lina Bolzoni (Il Sole Domenica 17/6/18)
Ci può essere un legame molto forte tra autobiografia e ricerca, tra i ricordi dell’infanzia e quello che si decide di studiare, di far rivivere nei propri libri. È il caso di Marc Fumaroli, già professore di Retorica e società in Europa al Collège de France, membro dell’Académie francese e di molte altre accademie, fra cui l’Accademia Nazionale dei Lincei. Ce lo testimonia il suo ultimo libro, la poderosa raccolta di saggi che Adelphi, suo fedele editore italiano, ha pubblicato di recente e che reca il titolo di La repubblica delle lettere. «All’esterno, – leggiamo nella Prefazione- sono vissuto nell’epoca in cui l’espressione “Repubblica delle Lettere” sta a indicare, più o meno ironicamente, la piccola scacchiera esclusivamente parigina o festivaliera, sempre alquanto agitata, in cui le pedine della sfida annuale sono rappresentate da centinaia di romanzi, e la vittoria da decine di premi letterari. Interiormente, sono malgrado tutto vissuto, per più di mezzo secolo, in compagnia di pochi amici intimi…in una Repubblica europea delle Lettere di tutt’altro genere e di tutt’altra epoca». Di questi amici intimi fanno parte i grandi scrittori classici, quella piccola biblioteca, altamente selezionata, che la madre aveva portato con sé in Marocco, dove Fumaroli è cresciuto: «Sono state le mie prime letture.- ha raccontato in una intervista al Venerdì di Repubblica- Mi sono sentito salvato da Omero, Cicerone, Virgilio, oppure Corneille, Racine, Molière, senza accorgermi che erano così démodé. Per me non erano, e non sono tuttora personaggi defunti, lontani nel tempo. Sono contemporanei, e la consolazione di chi è nato tardi, nell’epoca sbagliata. La mia cittadinanza letteraria mi ha salvato dal sentimento di decadenza provocato dal tempo arido e mediocre nel quale siamo immersi».
È un ritratto fedele dello spirito che anima i diversi saggi, le varie incursioni in opere e personaggi più o meno noti. C’è il senso di un distacco dal presente, c’è una visione molto critica verso il mondo moderno che cerca conforto nel passato e che in questo modo vuol rendere consapevoli dei prezzi pagati al progresso, di quanto si è perso o trascurato. Vengono in mente, leggendo le parole che Fumaroli dedica alla sua amicizia con personaggi di altri tempi, alcuni celebri passi di Petrarca, che si sente in esilio dal proprio tempo e nelle Familiares racconta che Cicerone è lieto di andare con lui a Valchiusa e che là, nello spazio magico della sua biblioteca, egli può conversare con gli amici migliori che tutte le età e tutti i paesi gli hanno inviato. Anche per i diversi protagonisti della Repubblica delle Lettere che Fumaroli ci presenta, infatti, essenziale è il rapporto con il mondo classico e Petrarca è punto di riferimento fondamentale per gli umanisti. A uno di loro, il veneziano Francesco Barbaro, leggiamo, risale l’invenzione, nel 1417, dell’espressione Respublica litteraria: la usa in una lettera indirizzata a Poggio Bracciolini, prendendo come modello la Respublica christiana della tradizione medioevale.
Nell’Europa di Ancien Régime, caratterizzata da sistemi politici certo non caratterizzati dalla democrazia, Fumaroli ripercorre le tracce, ridisegna i volti di una società di uguali e di amici, di persone legate fra loro da forti legami di amicizia e dal culto delle lettere, una specie di confraternita internazionale di missionari umanistici, che praticano un intenso scambio epistolare, che coltivano il dialogo e l’arte della conversazione, che viaggiano molto e si accolgono e si sostengono a vicenda, che trovano nei circoli e nelle Accademie le loro istituzioni ideali. Le loro capitali si ridispongono via via sullo scacchiere europeo: da Firenze, a Roma, a Venezia, a Parigi. È uno sguardo attento e fortemente selettivo quello che anima queste pagine, dove il confronto col passato è animato da una forte diffidenza, spesso da un dichiarato rigetto verso i miti della modernità. Così ad esempio Fumaroli prende le mosse da un celebre libro di Elizabeth Eisenstein, The Printing Press as an Agent of Change, uscito nel 1979 e tradotto in Italia dal Mulino (La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento)per sostenere che «con il pretesto di celebrare i vantaggi rivoluzionari della stampa e del libro stampato, poneva le basi di un’altra apologetica, quella dei nuovi media che stavano sorgendo in America e quella di Internet, ancora poco nota negli anni Ottanta». È in questa prospettiva che acquistano un senso polemico e contemporaneo le pagine in cui sono puntualmente registrate le resistenze che la diffusione del libro a stampa registra presso gli umanisti, in nome della qualità contrapposta ai rischi della quantità.
È un panorama molto ricco quello che il libro ci presenta, a cui non possiamo che invitare i lettori. Ci limiteremo qui a ricordare alcuni eroi di questa storia, di cui l’autore rivendica con orgoglio la riscoperta, al di là di una storiografia che l’ha a lungo ignorata o sottovaluta. Ad esempio Aldo Manuzio, il grande editore veneziano che ricrea la biblioteca antica e celebra con grande consapevolezza il senso della propria opera nelle dediche dei vari libri; oppure Erasmo, il principe della Repubblica delle Lettere, che ne sancisce la dimensione europea e la tiene unita al di là delle divisioni religiose; oppure ancora Nicolas Claude Fabri de Peiresc, suo “procuratore generale”, che «incoraggiava gli autori, forniva loro lumi e materiali, usava il proprio denaro per fare acquistare le opere antiche più rare e più utili», e morì esaltato dai dotti di diversi paesi, celebrato dalla Accademia romana degli Umoristi, «sconosciuto a molti francesi, anche importanti e dotti», come scrive nella voce a lui dedicata nel suo Dizionario storico e critico Pierre Bayle, il pensatore fuggito dalla Francia per motivi religiosi, che pubblica a Amsterdam le Nouvelles de la République des Lettres.
Tornano in questo libro alcuni dei temi che hanno caratterizzato la ricca produzione di Fumaroli. Ad esempio la riscoperta di una Repubblica delle Lettere che ha avuto come propria lingua il latino umanistico comporta la messa in luce di opere che sono state a lungo trascurate, proprio perché scritte in neolatino, come Argenis, il romanzo allegorico in latino che John Barclay pubblica a Parigi nel 1621 e che era fra le letture predilette di Richelieu. E soprattutto la rivendicazione dell’importanza della retorica, del ruolo centrale che ha svolto nell’Ancien régime. Che l’arte dell’eloquenza sia per Fumaroli tuttora vitale lo sa bene chi ha avuto il piacere di ascoltarlo: la pratica come i classici che gli sono cari.
La Repubblica delle lettere
Marc Fumaroli
Adelphi, Milano, pagg. 460, € 32