Il #Titanic dell’ #antichità “cucito” come diceva #Omero

Ricostruita a #Gela la #nave più antica e grande del #Mediterraneo

di Laura Anello (La Stampa 22/2/16)

La nave cucita Ecco la prora dell’imbarcazione più antica e grande mai recuperata nel Mediterraneo centrale: le tavole di legno sono tenute insieme da fibre vegetali una tecnica antichissima (la nave «cucita») narrata da Omero nell’Iliade

Il vento di libeccio si alza, il mare si ingrossa, l’equipaggio si precipita ad ammainare la vela, ad ancorare la prua, ma un’onda violenta strappa la cima. La nave si inclina repentinamente, la zavorra provoca uno squarcio nella parte destra dello scafo. È il naufragio, a sei metri di profondità, a soli ottocento metri dalla costa di Gela. Il mercantile cola a picco e sparisce tra i flutti. Sono i fotogrammi di una tragedia di 2500 anni fa, raccontati come in presa diretta dal relitto. L’imbarcazione più antica e grande mai recuperata nel Mediterraneo centrale, una nave greca lunga venti metri e larga otto esposta per la prima volta, dopo un restauro lungo sei anni al laboratorio specializzato della Mary Rose Archeological Services di Portsmouth, in Inghilterra.

È conosciuta come «prima nave arcaica di Gela», la città del petrolchimico che in epoca greca era una piccola Atene, la città dove tanti si sono arricchiti scavando dietro la porta di casa e raccogliendo monete d’oro antiche come fossero funghi. Ecco le quaranta casse finalmente aperte che la contengono, pezzo a pezzo. Ecco le meravigliose ceramiche attiche del carico, ecco le fibre vegetali che tengono insieme la tavole di legno, una tecnica antichissima (la nave «cucita») narrata da Omero nell’Iliade.

Nel museo

Tutto esposto fino al 20 marzo al museo archeologico di Gela climatizzato a 20-25 gradi, umidità del 55 per cento, nell’attesa che sia costruito il grande Museo della navigazione per cui stanno finalmente per partire i lavori. Soltanto allora, soltanto quando sarà completata la nuova grande sala espositiva, la nave arcaica potrà essere ricomposta nella sua interezza.

Intanto, e non è poco, si vedono per la prima volta le parti principali, la chiglia, la mastodontica ruota di poppa, i reperti. E si ripercorre la storia di un Titanic dell’antichità che racconta la vita del tempo, 480 avanti Cristo o giù di lì. Nessuno l’aveva mai visto, a parte i due subacquei che lo scorsero sott’acqua nel lontano 1988, a parte i tecnici che lo portarono su nel 2008, con una gru da duecento tonnellate caricata su un moto-pontone da quarantacinque metri, a parte i restauratori inglesi che per anni hanno consolidato i legni in un bagno di glicole polietilenico a pesi molecolari crescenti, lo stesso materiale utilizzato per la nave vichinga di Stoccolma. «Uno dei pochi relitti di età greca conservato in quasi tutte le sue parti», commenta Lorenzo Guzzardi, il sovrintendente di Caltanissetta da cui dipende il museo.

L’ultimo viaggio

Da dove veniva la nave? Era partita da una località dell’Egeo per poi fare scalo ad Atene (soltanto da lì possono arrivare il vasellame attico a figure nere e i due rarissimi askoi a figure rosse) e poi in diversi porti, come raccontano le numerose «pietre da zavorra» caricate al posto delle merci consegnate per riequilibrare il peso. Che cosa portava? Un carico di prodotti pregiati tra cui olio e vino di varie parti del Mediterraneo. Ma non solo. Otto cestini in fibra vegetali, restaurati in Svizzera, contenevano derrate alimentari destinate alla vendita ma anche all’alimentazione dell’equipaggio, come i pezzi di bue dei quali sono stati individuati i resti della carcasse. Mentre un amo dimostra che i marinai si cibavano anche di pesce, durante i pasti a bordo serviti tra le olle da cucina, le ciotole, le brocche, le lucerne con tracce di combustione ritrovate nel relitto. E ancora uno zufolo serviva probabilmente a impartire ordini.

Giornale di bordo

Al comandante apparteneva lo stilo in osso che serviva incidere le tavolette di legno spalmate di cera utilizzate per redigere il giornale di bordo. Sulla nave si pregava pure, come testimoniano una statuetta di legno della quale è stato rinvenuto un braccio, un cinghialetto e quattro arule di terracotta, e ancora una raffigurazione di divinità seduta. Oggetti di culto usati per propiziarsi le divinità dell’Olimpo durante la navigazione. Una devozione che, quel giorno, non bastò.

       

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