Il #Tempo: la lezione di #Agostino
Uscire da sé e in sé rientrare
di #RemoBodei (Il Sole Domenica 6/9/15)
Il libro undicesimo delle «Confessioni» parla di un tempo ancorato al soggetto che porta in sé il passato, e si tende verso il futuro, conoscibile attraverso lo stesso passato
Un movimento di andata e ritorno, dispersione e raccoglimento. Come il respiro, come la risacca del mare. Come l’allontanamento dal primo principio, nel pensiero neoplatonico. Come la fuga dal sé interiore, negli scritti di Agostino di Ippona. La critica, soprattutto nella prima metà dello scorso secolo, ha vanamente dato battaglia sul rapporto tra le opere di Agostino e le dottrine neoplatoniche di Plotino e del suo biografo e allievo Porfirio di Tiro. Così, come spesso capita a chi si concentra sul particolare con accanimento degno di cause migliori, così si sono investiti anni di lavoro di studiosi eccellenti per dire: ha letto Plotino, le tali pagine della tale Enneade. No, identifica Dio con l’essere pieno, ha letto solo Porfirio, che ritiene l’intera triade di Intelletto, Essere, Vita, presente in ciascuno dei tre principi, con un gioco di triadi utile anche per addentrarsi nel mistero della Trinità. O forse ha letto entrambi, o forse nessuno. L’ultima, se ben intesa, è forse la più plausibile, tra le ipotesi: nella Milano di Ambrogio, infatti, si riunivano circoli di intellettuali neoplatonici, che spesso leggevano e si scambiavano traduzioni latine di passi scelti di Plotino, Porfirio, forse il Timeo di Platone nella traduzione di Marco Tullio Cicerone. La filologia, non ancora assurta al ruolo di disciplina, non aveva le pretese che saranno poi di Lorenzo Valla e in fondo sono nostre, si lavorava su centoni e testi non di prima mano.
Bene, esaurita la questione tecnica, torniamo al contenuto, a quell’uscire da sé e in sé rientrare così importante per Agostino da arrivare a leggerlo nella pericope evangelica del figliol prodigo. Quel giovane disperdendo i beni suoi e di famiglia, giunse in una terra arida, dove a stento sopravviveva rubando carrube ai maiali che doveva accudire per avere un tetto sulla testa. Il giovane «ritornò in sé», si legge nella pagina del Vangelo di Luca, quando decise di tornare a casa e di chiedere perdono al padre. Eis eauton, verso se stesso, smise di disperdere fuori di sé e la via verso sé divenne la via verso la casa del padre. «Io ti cercavo fuori, mentre tu eri dentro di me»: è un noto passo delle Confessioni, del quale si sbaglierebbe a cogliere solo l’aspetto devozionale, perché Agostino si riferisce sì agli errori della vita passata, ma ricorda la via intellettuale al primo principio, quel ritorno tutto neoplatonico. Solo tenendo ben fermo questo orizzonte filosofico ci si può avvicinare alla comprensione di alcune pagine agostiniane tanto studiate e tanto riproposte. L’idea di tempo, per esempio, che non può essere gettata nel mucchio delle diverse proposte per una definizione del tempo, da Platone a Newton alla relatività. Il libro undicesimo delle Confessioni presenta la soluzione di un tempo ancorato al soggetto che porta in sé il passato, compreso l’essere appena passato di ogni istante presente, e si tende verso il futuro, conoscibile attraverso lo stesso passato. Come potrei vivere l’attesa di un bagno al mare se non ne avessi già contezza, per esperienza mia diretta o riportata (da un racconto, un’immagine, una suggestione o una loro mescolanza)? La mia interiorità così si tende dal passato al futuro, grazie al bagaglio della memoria, contenitore dall’infinita capacità perché luogo della dimora di Dio, del primo principio, vita e logos insieme. Porfirio? Plotino?
Guardiamo avanti, piuttosto. Al ruolo di queste pagine nel Novecento, quando – dopo lo scontro con il feroce giudizio di Nietzsche – hanno reso possibili le letture fenomenologiche del tempo come esperienza del tempo. Come le troviamo in Husserl e Heidegger, riproposte e rilette da Friedrich-Wilhelm von Herrmann in un libro appena tradotto in italiano. Certo, di questi tempi il nome dell’allievo e assistente di Martin Heidegger ci ricorda più la polemica sorta dalla pubblicazione dei Quaderni neri che le digressioni sulla domanda fenomenologica sul tempo. Per quanto anche nella polemica von Herrmann si appoggia a una lettura dell’esperienza temporale che relativizzerebbe le prese di posizione naziste prima, antisemite poi, del suo maestro. Ma non è questa la battaglia di cui ci stiamo occupando – per quanto importante da diversi punti di vista. Torniamo quindi alle Confessioni e a un altro lettore di eccezione, il filosofo francese Jean-Luc Marion, anche lui da poco tradotto in italiano con un Sant’Agostino, in luogo di sé, che riporta ancora a un approccio fenomenologico. Marion si è a lungo interrogato sulla metafisica quale è studiata da Descartes in cerca dei suoi limiti. Un ritorno alle Confessioni, alla lettura non metafisica di questa “opera aporetica” si rivela terreno di prova per la validità ermeneutica dei concetti di «donazione, di fenomeno saturo e di adonato» (brutto termine per tradurre adonné, colui che si dona ed è dono). Le letture che la storia ha riservato alle Confessioni hanno scelto alcuni passi e ne hanno censurati altri, di volta in volta in cerca di conferme alle proprie ipotesi ideologiche, come è quasi inevitabile che si dia in ogni interpretazione di un testo. La sfida di Marion, e di molti lettori agostiniani, è quella di «avvicinarsi al luogo in cui pensa sant’Agostino, per ritrovarvi ciò che egli cerca di pensare», avvicinarsi quindi al luogo del sé, lontanissimo da quello che l’io crede di essere.
Personalmente non credo che sia possibile un sovrapporsi del lettore all’autore, ritengo che davvero, nei limiti della nostra comprensione, ogni lettura, anche ogni rilettura da parte del lettore o dell’autore stesso, ogni volta sia qualcosa di nuovo. Non perché ogni testo abbia infiniti e contraddittori sensi, ma perché questi sono comunque una moltitudine, in cui giocano troppi fattori personali e spaziotemporali per credere davvero di poter entrare una volta per tutte nella mente di un autore. Le Confessioni, poi, già oggetto di pareri in ogni secolo che da queste ci separa: non è una autobiografia, è la prima autobiografia, è un romanzo, un collage di testi sacri, pura ermeneutica, un canovaccio di opera teatrale, uno sfogo dell’inconscio, un trattato mistico, un piagnisteo, una difesa della scienza empirica, un trattato di fisica, e si potrebbe continuare. In verità è alle Confessioni che si potrebbe attribuire il gioco di parole che nel libro undicesimo introduce all’esperienza del tempo: se nessuno me lo chiede so cos’è, ma se mi si chiede che cos’è, non lo so più.
Friederich-Wilhelm von Herrmann, Agostino e la domanda fenomenologica sul tempo , trad. it. Donatella Colantuono, a cura di Costantino Esposito, edizioni di pagina, Bari, pagg. 164, € 15,00. Jean-Luc Marion, Sant’Agostino. In luogo di sé , trad. it. Massimo Loris Zannini, Jaca Book, Milano, pagg. 418, € 32,00.
Venerdì 18, nell’ambito della sezione del FestivalfilosofiaLa lezione dei classici , Maria Bettetini parlerà a Sassuolo (ore 10) mentre Marco Belpoliti interverrà Carpi (ore 11.30)