Il Palatino di Roma
Dopo due anni di restauri, fra pochi giorni si aprirà al pubblico gran parte della dimora Era stata chiusa anche per problemi di umidità. Ecco in anteprima come apparirà ai visitatori
Dalla biblioteca alla sala da pranzo la casa di Augusto svela i suoi segreti
di Carlo Alberto Bucci (Repubblica 13/9/14)
ROMA La stanza è inondata di rosso: profondo, pompeiano, conturbante. Ci pensa però l’architettura dipinta a dare ordine a tanta passione. E le aperture illusionistiche sfondano la parete per fare entrare nell’intimità della sala da pranzo, o in quella della biblioteca, la natura rigogliosa dell’antica Roma. Sacro e profano si fondono sul Palatino nella sala del triclinio della casa di Livia. E in quella teatrale delle maschere del suo regale congiunto, l’imperatore Augusto.
Da giovedì prossimo gli appartamenti del primo principe di Roma e della sua terza, amatissima, moglie, saranno per la prima volta aperti al pubblico in un’ampiezza mai raggiunta prima. E questo grazie a lavori di restauro e di copertura (un tetto a basso impatto visivo) dell’ala della casa di Augusto fino a pochi mesi fa esposta alle intemperie. Ma anche alla riqualificazione del Museo Palatino che conserva i marmi trasmigrati dalle vicine, splendide dimore.
Era il 2008 quando le due prime case sul colle degli imperatori di Roma vennero riaperte al pubblico. Innanzitutto c’era, certo, la capanna di Romolo, il fondatore di Roma, al quale Augusto volle però associarsi anche come “vicino di casa”. Mettendo il primo mattone di un palazzo in continua espansione. Pochi visitatori alla volta poterono sei anni fa visitare le tre stanze di rappresentanza del tablinum nella casa di Livia e ammirare l’affresco di Mercurio che libera Io e si volge verso Argo. Ma anche, superata una parete, contemplare quei festoni di rigogliosi tralci come fossero un trofeo di natura, proprio come il giardino dipinto per l’imperatrice nella villa fuori porta ( ad gallinas albas) e oggi conservato al Museo nazionale romano di palazzo Massimo, sempre a Roma.
Poco tempo dopo l’apertura del 2008, la casa di Livia sul Palatino fu sigillata di nuovo agli occhi dei visitatori. «Aveva grossi problemi di umidità, ma gli interventi di idraulica ci hanno permesso di sanare gli ambienti. E di riaprire una tale meraviglia al pubblico», spiega Mariarosaria Barbera, l’archeologa che guida la Soprintendenza di Roma e che ha coordinato l’équipe di studiosi, architetti, tecnici che per due anni hanno lavorato al progetto “Bimillenario di Augusto” (morì il 19 agosto del 14 dopo Cristo). Due milioni e mezzo circa di investimenti, sfilati dal bilancio ordinario e autoprodotto della Soprintendenza romana, ed ecco i soldi anche per sfondare una porta e aprire alle visite (20 persone alla volta, per una quarto d’ora al massimo, previa prenotazione) anche la sala del triclinio di Livia. Scavata nell’Ottocento, e per molti decenni abbandonata alle intemperie, la stanza da pranzo dell’imperatrice ha visto i suoi affreschi cadere a terra. Cinquecento i pezzi, enormi e piccolissimi, che i restauratori, guidati da Cinzia Conti, hanno riallestito lungo le pareti. In un puzzle gigantesco dove la punta del “pilastro betilo” dell’affresco con Diana è tornato magicamente in cima a quella sorta di albero della cuccagna che, tra protomi di cinghiale e di cervi, è il trofeo sacro alla dea della caccia. Siamo del resto, ci spiega una restauratrice, nella cosiddetta sala dei paesaggi sacri.
Al santuario di Artemide/Livia rispondeva, sull’altro lato della strada basolata in cima al Palatino, quello di Apollo/Augusto. Ed ecco, infatti, nella sala delle maschere il “pilastro betilo” sacro al dio del Sole. In mezzo alle due auguste dimore di moglie e marito, il tempio di Apollo del quale rimangono oggi solo alcuni puntini sul terreno. La domus, le domus di Augusto, appaiono da oggi completamente trasformate da una copertura che, acciaio color ruggine e un manto di materiale drenante che trasforma il tetto in un giardino, permette ai visitatori di appropriarsi di spazi preclusi fino ad oggi alle visite. Nella parte privata, tutto sommato (e programmaticamente) umile, del palazzo del principe vittorioso nel 31 a. C. ad Azio su Antonio, la natura degli affreschi con festoni di pino viene adesso arricchita da un pappagallo dimenticato e riapparso sotto la coltre di polvere di un vecchio scavo. Ma è la passerella tesa sulla storia dell’ala pubblica del palazzo voluto dal figlio adottivo di Cesare, la vera novità di questa apertura straordinaria organizzata dal ministero Beni culturali. Ecco la prima biblioteca, forse quella greca, e, all’opposto, la sala affrescata della latina. Quindi, il triclinio di Augusto, con gli ambienti di servizio che servivano ai domestici per allestire i pranzi regali. Al centro, magnifica, la sala delle prospettive, mai mostrata prima se non agli studiosi: una sorta di “casa di bambole” su due piani, aperta sul davanti e con le linee che corrono verso un embrionale punto di fuga.
A testimoniare anche lo sfacelo della caduta degli dei, ecco in uno degli ambienti della casa di Augusto un gigantesco frammento della volta, isolato come fosse una scultura modera. E alla scultura contemporanea rimandano i nuovi pannelli di acciaio Corten che, nel tono rosso ruggine, mimano il colore della terra, ma anche evocano il rosso pompeiano degli interni. «C’è un gioco di suggestioni», dice l’architetto Barbara Nazaro, dietro questi tagli nell’acciaio e i cristalli che ricordano le ferite inferte nel muro che divideva il pubblico dal privato nell’ideologia di Augusto. «Il progetto di copertura è frutto di un lunghissimo e condiviso lavoro» spiega la soprintendente Barbera: «La copertura ideale non esiste. La nostra si mimetizza ma lascia comunque un segno. Non si nasconde. Ed è, comunque, reversibile».