Il maestro di nodi chiamato #Aristotele

Lo studio firmato da Francesco #Ademollo e Mario #Vegetti mostra come la cifra più profonda del pensatore greco sia una #curiosità totale. Nella convinzione che affrontare sfide sia essenziale

di Mauro Bonazzi (Corriere La Lettura 29/5/16)

Quando Dante arriva nel Limbo e vede la «filosofica famiglia», Aristotele è la figura di più alto rilievo: «Tutti lo mirano, tutti onor li fanno». Non era un elogio di circostanza, ma una presa di posizione decisa in favore di un filosofo fino a poco tempo prima guardato con sospetto, accusato di sostenere teorie incompatibili con la verità cristiana. Il suo fascino era troppo forte, la forza dei suoi ragionamenti ineccepibile: Aristotele è colui che ha mostrato di cosa è capace la mente umana, articolando tutte le conoscenze in un sistema completo, che rispecchia la struttura del mondo.

Aristotele stesso, del resto, che non peccava certo di modestia, aveva esaltato a più riprese l’importanza del suo progetto, convinto che grazie a lui il sapere umano avesse (quasi, bontà sua) raggiunto la perfezione.

Conoscere altro non è che organizzare, disporre ogni cosa al suo posto, fare ordine, in modo che le parti e il tutto si tengano e la verità possa finalmente trionfare. Aristotele «il maestro di color che sanno», appunto, come si ripete ogni volta che lo si nomina. Il problema, però, è che quando si celebra troppo si finisce per imprigionare il celebrato in un’immagine di maniera, trasformandolo in una statua: alto sul suo piedistallo, con lo sguardo severo, in una posa seriosa, intento a ripetere qualcosa che non interessa più a nessuno. Anche questo è successo ad Aristotele, che probabilmente non se ne sarebbe troppo preoccupato, continuando a fare quello che ha sempre fatto: indagare, cercare, analizzare. Perché, come Francesco Ademollo e Mario Vegetti mostrano nel libro Incontro con Aristotele (Einaudi), questa è la cifra più propria del suo pensiero, un’inesauribile curiosità per tutto quello che ci circonda, e un piacere quasi fisico per la ricerca e la scoperta.

Il sistema, scrivono i due autori, «costituiva semmai un orizzonte tendenziale di unificazione»; ma quello che davvero appassiona Aristotele è affrontare i problemi e cercare di risolverli. Non c’è niente che non meriti un po’ di attenzione e di tutto Aristotele s’interessò, senza distinguere tra alto e basso, nobile o volgare.

Trascorse vent’anni con Platone, discutendo di dialettica, astronomia e metafisica; ma intanto raccoglieva le opinioni della gente comune, convinto che tutti potessero offrire spunti utili per avanzare nella comprensione dei problemi. E per le sue ricerche scientifiche non si vergognò di frequentare allevatori, pescatori, cacciatori, interrogandoli sulla respirazione degli uccelli o su come copulano i polpi. Quando non ci pensava direttamente lui, inseguendo una rana in uno stagno o scrutando con attenzione un embrione di pollo: i suoi lavori zoologici (che costituiscono una parte consistente della sua produzione scritta, non andrebbe mai dimenticato) sono pieni di allusioni alle sue ricerche sul campo. «Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali vi è qualcosa di meraviglioso».

Filosofia non vuol dire del resto proprio questo, un amore ( philia ) per la conoscenza ( sophia ), tutta? «La natura offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne la causa, cioè sia autenticamente filosofo». Così, ad avere la pazienza di leggerli (perché a volte ci vuole proprio pazienza: i testi di cui disponiamo sono gli appunti personali delle lezioni, non opere destinate alla pubblicazione), si scopre che gli scritti di Aristotele sono pieni di problemi, domande, difficoltà — piccole crepe nel poderoso edificio del sapere, insignificanti solo in apparenza, soprattutto quando in discussione è l’uomo.

Si prenda l’anima. Da scienziato rigoroso quale era, Aristotele aveva costruito un intero trattato per spiegare che l’anima esprime la vita di un corpo, il fatto che un corpo vive: con buona pace del suo maestro Platone non ha senso affermare che è immortale o separata dal corpo. Era una tesi ragionevole, che rispondeva all’esigenza di collocare lo studio dell’essere umano all’interno del sistema fisico. Ma davvero noi siamo completamente riducibili al mondo fisico? Tutti i nostri pensieri sono espressione di processi corporei? Platone lo aveva negato: siamo anche altro. Coerentemente a quello che aveva sostenuto nelle pagine precedenti del suo trattato, Aristotele avrebbe dovuto affermarlo. Forse lo pensava pure. Ma non ne era sicuro e alla fine non si risolse, tenendo aperte entrambe le possibilità.

Ha fatto male, obietterà qualcuno, perché il discorso risulta incoerente. Ma forse abbiamo noi raggiunto una risposta esaustiva, capace di eliminare tutti i dubbi? Del resto, il problema della ragione umana è ancora più delicato. Noi siamo animali razionali (la definizione, al solito, è di Aristotele). Disponiamo della ragione per orientarci nel mondo e per regolare le nostre relazioni con gli altri uomini: per conoscere e per agire. Sembrano affermazioni scontate; ma le due attività spesso sono in contrasto tra di loro. Per agire, per orientare le nostre azioni, abbiamo stabilito alcuni criteri regolatori: il bene e il male, il giusto e l’ingiusto… Ma questi criteri non sembrano prioritari mentre usiamo la nostra ragione per conoscere il mondo che ci circonda. A volte non fa problema, ma a volte sì, e pure tanto, quando si pensa ai tanti temi sensibili in discussione oggi, dalla clonazione alla ricerca sugli embrioni. Cosa conta di più, allora, la conoscenza o l’azione morale? Quando l’uomo realizza veramente la sua natura di animale razionale: dedicandosi alla conoscenza o alla politica? È il grande dilemma tra la vita attiva e vita contemplativa: Aristotele lo ha posto e ancora oggi se ne discute.

Noi possiamo criticarlo per le sue esitazioni; di certo lui avrebbe sorriso vedendoci annaspare nel momento in cui comprendiamo l’entità delle questioni in discussione, quando ci rendiamo conto che quello che sembrava scontato non lo era. È questa la grandezza di Aristotele, ieri come oggi. Molte delle sue dottrine, dalla difesa della schiavitù al geocentrismo o al finalismo, sono ormai superate. Altre probabilmente lo diventeranno. Ma la lezione di metodo, l’onestà che lo porta a segnalare i problemi che rimangono irrisolti e la pazienza con cui continua a tornarci sopra sono la dimostrazione migliore di cosa è la filosofia.

Non si tratta di negare la verità e neppure disperare della nostra capacità di raggiungerla: soltanto, bisogna imparare a cercarla, ragionando correttamente. «Quelli che vogliono trovarsi con le difficoltà risolte prima devono averle affrontate bene, perché la liberazione dalle difficoltà è la soluzione delle difficoltà che si sono affrontate prima; ma non è possibile sciogliere i nodi che non si conoscono e la filosofia aiuta appunto a vedere i nodi che si trovano nelle cose». In un’epoca come la nostra, ossessionata dal bisogno di risposte, sono parole che andrebbero meditate con attenzione.

FRANCESCO ADEMOLLO MARIO VEGETTI Incontro con Aristotele. Quindici lezioni EINAUDI Pagine 304, e 22

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