Il giallo risolto dell’undicesima mummia
Ritrovata in un museo. Venne recuperata nella prima spedizione in Egitto
La missione nell’Ottocento guidata dall’italiano Rosellini e dal francese Champollion
di Cecilia Zecchinelli (Corriere 8/4/14)
Un giovane orientalista pisano, Ippolito Rosellini, a capo della prima spedizione archeologica mai effettuata in Egitto nel 1828-29, insieme al già celebre decifratore dei geroglifici Jean-François Champollion. La scoperta nelle sabbie di Tebe di un vero tesoro: solo la parte italiana, anzi toscana, contava duemila oggetti tra cui una decina di mummie, caricati ad Alessandria sul mercantile Cleopatra con destinazione Livorno. E poi l’avaria della nave, la burrasca che in parte danneggia quel prezioso carico. Al Granduca Leopoldo II, co-finanziatore della storica impresa tosco-francese, alcune casse non arrivarono mai. Distrutte forse, certo dimenticate. Tra loro quella con i resti di Kenamun, fratello di latte del faraone Amenofi II. L’undicesima mummia rimasta ignota per quasi due secoli e ora riapparsa. A trovarla, ricomponendo i pezzi del puzzle sparsi tra Nubia, Toscana e Boemia, un’egittologa napoletana e pisana d’adozione che insegna nella stessa Università in cui fu docente Rosellini.
Sembra la trama di un romanzo o di un film. Più o meno belle ma sempre popolari fin dall’Ottocento, sono tantissime le opere a base di Antico Egitto con sudari, sepolcri e morti che tornano, in genere per vendicarsi. Dal capostipite La Mummia dell’inglese Jane Loudon (1827), passando per Indiana Jones fino al recente Adèle e l’enigma del faraone di Besson, la serie è infinita. Ma questa storia è vera. «Vera e documentata, come si potrà vedere nella mostra che il 12 aprile apre a Calci al Museo di Storia naturale dell’Università di Pisa», dice Marilina Betrò, ordinaria di Egittologia e capo del sistema museale dell’ateneo, direttore degli scavi archeologici di Dra Abu El Naga a Luxor, e appassionata studiosa di Rosellini. «È nelle ricerche sulla sua spedizione che nel 2012 a Praga ho trovato documenti inediti, portati da Leopoldo II quando fu costretto all’esilio. Il più emozionante: la lista compilata da Rosellini di tutti i reperti imbarcati sul Cleopatra . Per la prima volta si parlava di 11 mummie, noi ne conoscevamo dieci». È bastata quella lista per ritrovare i resti di Kenamun: uno scheletro ormai privo di bende ma con segni di mummificazione, chiuso in una scatola nel magazzino del Museo di Storia Naturale di Pisa a cui Rosellini l’avrebbe lasciato perché troppo danneggiato per donarlo al Granduca. «La scritta sul cranio è chiara, ci dice che appartiene a una mummia della spedizione», spiega Betrò. «Le altre dieci erano note: sette sono al Museo Egizio di Firenze e tre sono andate distrutte ma ne avevamo seguito la sorte».
Le scoperte non si fermano qui: sempre grazie all’elenco di Praga si individua quanto resta del sarcofago. «Cassa in tinta nera e geroglifici tracciati in giallo», aveva precisato Rosellini. E così è stato identificato nei magazzini del Museo Egizio di Firenze, incompleto del coperchio e in cattive condizioni, dimenticato. Ma pur semidistrutto, il sarcofago con i suoi geroglifici ha tramandato il nome e il titolo di Kenamun, uno dei personaggi centrali della storia egiziana nel XV secolo a.C.. Altri dettagli della sua vita emergono dai dipinti nella sua tomba sulle colline di Tebe.
«Kenamun era fratello di latte di Amenofi II, cresciuto con lui nel palazzo reale di Perunefer, il Porto del Buon Viaggio, città ricchissima e viva, prima base navale dell’Egitto del Nord forse vicina all’antica Menfi —, spiega Betrò —. Diventato re nel 1427 a.C., Amenofi gli conferì molte cariche: Gran Maggiordomo, capo delle truppe, amministratore di Perunefer, incarichi importanti nel tempio del sommo dio Amon a Karnak. Sul piano privato, i dipinti mostrano che la sua fu una vita di fasti e di svaghi». Non durò molto però: le analisi dello scheletro mostrano infatti che Kenamun morì all’improvviso prima dei trent’anni, e non per ferite o malattie. La sua morte prematura fa pensare invece che fosse caduto in disgrazia. «Un’ipotesi confermata dalla tomba, che fu sottoposta a una furia distruttiva che si accanì quasi soltanto sulla sua figura, il suo nome e i suoi titoli — racconta l’egittologa —. Probabilmente Kenamun fu messo al bando quando Amenofi era ancora re e forse non sapremo mai se questo portò a una condanna a morte o a più onorevole suicidio. Certo è che quello scempio indica la volontà di cancellarne per sempre la memoria». Chi lo seppellì, conclude Marilina Betrò, volle però ricordare quanto era stato potente: accanto alla mummia fu posto un prezioso e rarissimo cocchio da corsa, dono di Amenofi. Che Rosellini trovò a Tebe, imbarcò sul Cleopatra e inviò a Firenze dove si trova da allora, senza sapere che fosse di Kenamun. Ma ora anche questo mistero pare finalmente chiarito.