Il #conflitto tra #genitori e #figli? Una #storia che parte da lontano
Crono evira Urano che lo ha concepito E mangia la prole per non essere detronizzato Casi estremi come Edipo e Medea dimostrano che il tema era molto scandagliato
Livia Capponi (9/12/2015 Corriere della Sera )
Nell’epoca del «tramonto del padre», il nuovo libro di #EvaCantarella, intitolato appunto Non sei più mio padre (Feltrinelli), approfondisce il tema dei rapporti fra genitori e figli nell’antica Grecia, da Omero a Socrate. Nella famiglia per eccellenza, quella con dimora sull’Olimpo, la partenza non è delle migliori, con il terribile Urano, il Cielo, che ricaccia nell’utero i figli concepiti da Gea, la Terra, finché uno di essi, Crono, il Tempo, lo evira con un falcetto. A sua volta Crono mangia i figli per paura di essere detronizzato. Gli sopravvive Zeus, che diventa il tipico patriarca. Eternamente sposato con Era, la tradisce senza sosta, seminando figli in tutto il mondo. Quando Era usa la seduzione per ingannarlo, lui la appende al cielo per i piedi, lasciando gli altri dèi sbigottiti e impotenti. Zeus genera anche due figli da solo: Atena dal cervello, e Dioniso dalla coscia, dove l’aveva provvisoriamente cucito ancora in stato embrionale. Quale esempio migliore dell’invidia del monopolio della donna su gravidanza e parto?
Nel canto VI dell’Iliade, Ettore è un padre affettuoso: solleva il figlioletto e si augura che diventi più forte di lui. La sua famiglia, però, non è diversa dalle altre: Andromaca tiene in casa anche i figli illegittimi e afferma di averli pure allattati, per far piacere al marito. Perfino Penelope, fedele per vent’anni a Ulisse — che nel frattempo aveva avuto altre donne e forse figli — è guardata con sospetto fino alla fine. Anche dalle migliori ci si aspettava che potessero dilapidare il patrimonio, sposandosi con un altro. Del resto, fino al 1967 l’adulterio fu un reato esclusivamente femminile. Telemaco è cresciuto debole, aspettando il ritorno del padre, e solo la realizzazione di tale attesa riesce a fargli riprendere il controllo sul regno e su se stesso. Un ruolo importante lo hanno nutrici e servitori che allevano gli eroi omerici: capaci di affetto autentico, sostengono più generazioni nel superare i traumi.
Dalla commedia di Aristofane abbiamo indizi di una ribellione giovanile nell’Atene del V secolo a.C., causata dal fatto che i padri detenevano il controllo del patrimonio fino alla morte, lasciando i figli ormai adulti senza indipendenza economica. Peggiora le cose la scuola dei sofisti, fautori della necessità di una continua ricerca critica, che mette in discussione i valori della famiglia patriarcale. La crescita delle istituzioni democratiche, aumentando la coscienza dei giovani, porta inevitabilmente a conflitti generazionali. L’allievo di Socrate, Alcibiade, che arriva a contestare lo stesso Pericle sul rapporto legge-giustizia, è il prototipo del «rottamatore». Perciò, dopo il colpo di Stato dei Trenta Tiranni, la rinata democrazia, vulnerabile e impaurita, vota la morte di Socrate, visto come il «cattivo maestro» di una gioventù irrispettosa e arrogante.
L’autrice fa riflettere sugli errori di chi vide nelle conquiste della democrazia un pericolo per la polis. La dialettica filosofica non implica per forza la distruzione della morale, anzi aiuta a smascherare le contraddizioni sociali. Molti padri ateniesi lo sapevano e aggiravano le leggi patriarcali, rinunciando in vita a parte del patrimonio per permettere ai figli un’esistenza migliore. Non solo padri padroni e figli obbedienti, dunque. Edipo, Medea e gli altri casi estremi dimostrano lo sviluppo di una profonda consapevolezza delle pieghe che i rapporti familiari potevano prendere, fra affetto e conservazione di patrimonio e potere.