Guerra a #Zeus la fantascienza secondo #Graves
Esce il romanzo del 1949 del grande studioso dei miti dell’ #anticaGrecia
Un mondo senza progresso governato da una #Deamadre
di Francesco Pacifico (Repubblica 23/3/15)
Quando usiamo il termine fantascienza per i romanzi ambientati nel futuro stabiliamo implicitamente che il solo criterio che fa cambiare le civiltà è il progresso scientifico e tecnologico. Cosa succede, invece, se immaginando il futuro ci inventiamo che l’umanità a un certo punto ha cambiato paradigma e ha smesso di dare per scontato il primato della scienza, praticamente levandola di mezzo? Per un romanzo che parli della fine delle macchine e del potere di una casta di maghi si può usare il più ampio termine ombrello speculative fiction.
Il romanzo di Robert Graves, romanziere, poeta e autore dei saggi ormai classici I miti greci e La dea bianca, specula su una civiltà del Tremila che si definisce “neocretese”, e regala la prima persona del racconto a un poeta novecentesco che viaggia nel tempo e annota le sue impressioni con eleganza, ironia e passione.
Il poeta, Edward Venn-Thomas, non è arrivato nel futuro in una macchina del tempo, ma è stato evocato dalla casta dei maghi neocretesi: la società che si trova davanti non è una proiezione iperbolica della nostra, come succede tanto spesso nella fantascienza, ma si basa su un paradigma completamente diverso. Nel mondo neocretese il calendario ha tredici mesi perché è lunare; «ore e minuti non si misurano, il tempo è stato abolito insieme al denaro»; è «sconveniente dire l’età delle persone»; «gli archivi non forniscono alcuna informazione su filosofia, matematica avanzata, fisica o chimica, né sulla spiegazione di macchine più complesse della ruota idraulica, della carrucola o del tornio»; «di Shakespeare conservano solo tre libri sui 274000 [un tempo] in circolazione su di lui». È insomma agli antipodi della nostra età dell’informazione.
Ma non è solo l’informazione a essere ridimensionata: il mondo neocretese raccontato in Sette giorni fra mille anni ( Nottetempo, ottima la traduzione di Silvia Bre, non a caso poetessa e traduttrice di Emily Dickinson) è tutto fondato sulla decrescita. I più grandi nemici dell’umanità sono «il gabinetto, l’inceneritore di rifiuti, che derubava la terra delle sue ricchezze, e il trattore che consentiva ai contadini di arare e desertificare vaste aree di terreno meno fertile…».
Come in una corte medievale, per tutto il tempo in cui il poeta novecentesco visita il futuro per raccontarlo, si parla d’amore. Del suo amore per una ninfa del re; del suo amore per la moglie lasciata nel passato; dell’amore per lui della maga Sally; e dell’amore del poeta per quel che oggi è il fantasma di un’antica amante: da questi intrecci, si svela lentamente per quale ragione proprio lui, poeta e grande amante delle donne, è stato portato indietro nel futuro. La Dea madre che governa il mondo neocretese, dopo aver lasciato alla nostra epoca un po’ di tempo per sbizzarrirsi con l’idea di un Dio maschio, tutto guerra e astrazione, sta solo cercando di portare un po’ di igienico rivolgimento in un cosmo governato perfettamente dalle fasi lunari e dalle intuizioni dei maghi, in una società divisa in caste. Un poeta dotato di passione basta a sconvolgere un luogo alato in cui si confonde realtà e allegoria, tanto che per descrivere l’atto sessuale c’è chi dice: «Ci astraiamo e i nostri corpi rimangono laggiù, lontani…». E il poeta novecentesco commenta: «I neocretesi raccontavano molte storie le quali, pur non essendo propriamente false, erano vere solo per modo di dire».
È affascinante pensare che un libro così allegro e ispirato sia uscito nel 1949, nel secondo dopoguerra e un anno dopo 1-984 di Orwell. Orwell ragionava pragmaticamente su ogni risvolto psicologico del totalitarismo. Graves pensa alla poesia. Nel suo saggio pubblicato proprio nel 1948, La Dea bianca, Graves propone la tesi «che il linguaggio del mito poetico anticamente usato nel Mediterraneo e nell’Europa settentrionale fosse una lingua magica in stretta relazione con cerimonie religiose in onore della dea-Luna, ovvero della Musa… e che resta a tutt’oggi la lingua della vera poesia…».
Per Graves, la cultura puramente patriarcale, «senza più alcuna traccia di dee», in Inghilterra si era pienamente raggiunta «all’epoca di Cromwell, perché nel cattolicesimo medioevale la Vergine e il Figlio (che avevano sussunto i riti e gli onori della Luna e del Figlio-stella) avevano maggiore importanza religiosa del Dio-padre». A distruggere la vera lingua poetica furono i primi filosofi greci, «fortemente ostili alla poesia magica, nella quale ravvisavano una minaccia per la nuova religione della logica».
In questo quadro, parlare della poesia vuol dire parlare della guerra. Come spiega un neocretese: «Quando i vostri antenati si ribellarono contro di lei [la Dea], inventarono un Dio-padre il cui solo interesse era la guerra». Il cristianesimo è considerato una deviazione, un tentativo di «regolare e purificare il culto del Dio-padre mediante la definitiva soppressione del culto della Dea».
Come si è tornati al culto della Dea, nel futuro inventato da Graves? Di guerra in guerra, passando per una pioggia radioattiva artificiale, lo spopola- mento e la fine del predominio della scienza. La civiltà neocretese nasce come esperimento: formare alcune colonie (di galeotti) in cui riavviare antiche forme di vita, come per esempio l’età del ferro, lasciando che si sviluppi «fino alla vigilia dell’invenzione della polvere da sparo e della stampa». Questo mondo senza macchine e senza informazione riscopre il potere della magia. È una forma radicale di decrescita: il sistema è vincente e si impone praticamente in tutto il mondo.
E qui arriviamo al paradosso di questo romanzo: se prende in giro l’ingenuità dei neocretesi quasi per necessità drammaturgiche, allo stesso tempo è impegnato in tre grandi profezie che sembra considerare positive. Le sintetizza Silvia Ronchey nella postfazione, giudicandole esatte seppure in maniera complessa: «La fine del cristianesimo, il sostituirsi al predominio del maschio di un nuovo dominio femminile e il ritorno di un nuovo paganesimo legato al culto magico della natura».
IL LIBRO Sette giorni fra mille anni di Robert Graves (Nottetempo, pagg. 411, euro 20)