Gli #antichi #popoli citati nella #Bibbia inventarono gli #alfabeti europei
di Livia Capponi (Corriere, 16 gennaio 2017)
Assiri, Aramei, Caldei, Cananei, Popoli del Mare, Filistei: i loro nomi affiorano da qualche enigmatico passo della Bibbia: ma chi erano costoro? Non appena ci si avvicina al Vicino Oriente antico, si scopre una varietà di regni, lingue, scritture di impressionante ricchezza, spesso però trascurata a causa di quel complesso di superiorità nei confronti dell’Oriente, definito dallo studioso palestinese Edward Saïd «orientalismo», che caratterizzava molti studiosi europei del secolo scorso, e che abbiamo ereditato dalla nostra beneamata tradizione classica.
Il volume della serie La Storia in edicola domani con il «Corriere della Sera» s’intitola Imperi e Stati nazionali dell’Età del Ferro e copre il periodo dal 1200 al 539 avanti Cristo. L’oggetto trattato dagli autori nei loro saggi potrebbe sembrare qualcosa di immobile, impenetrabile e perduto. Nulla di più sbagliato. Si tratta di civiltà fortemente burocratizzate, dove iscrizioni, cronache, annali, documenti d’archivio ci restituiscono con immediatezza le parole dei protagonisti a tutti i livelli sociali, dalla propaganda dei re ai registri con le paghe dei lavoratori. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, è una storia molto viva, in cui l’economia e il commercio sono il motore di migrazioni e di contaminazioni linguistiche e culturali, e i grandi imperi territoriali si reggono non solo sugli eserciti, ma anche su paci armate raggiunte tramite complessi accordi diplomatici. In più, questo campo di studi è continuamente arricchito da scoperte e progressi interpretativi, che spesso portano a ribaltare le ortodossie di pochi decenni prima.
Per la massa di lettere e circolari (fino a 15 mila l’anno) fra i re e la loro burocrazia, l’impero neoassiro (IX-VII sec. a.C.) è stato soprannominato«impero della comunicazione». Le iscrizioni ufficiali dei re di Ninive contengono dettagliate res gestae rivolte ai posteri, il cui tono insieme tecnico e ieratico ha lasciato un’eco persino in quelle di Augusto. L’ideologia, espressa in modo martellante dall’edilizia e dai testi scritti, afferma che l’attività del re è guidata e favorita dall’ausilio divino. Il sovrano è il vicario in terra del dio nazionale Assur, che rende ogni sua guerra«giusta» per definizione. Il centro del mondo è l’Assiria, buona e santa; la periferia, cattiva e peccaminosa; l’uomo assiro è civile, lo straniero barbaro. In qualche caso le guerre assire sono favorite persino dagli dei del nemico, che, adirati per i suoi peccati, lo abbandonano alla punizione che merita. E la dea venerata in tutta la cultura mesopotamica è Ishtar, contraddittoria come i cicli della natura, capace di essere al tempo stesso vergine e madre, pura e impura, protettrice amorevole e, all’occorrenza, guerriera sanguinosa.
Se si confrontano le storie di Israele scritte in Italia nel XX secolo si noterà un cambiamento radicale e un progressivo distacco dal racconto biblico, a favore delle fonti archeologiche e documentarie. A partire dalla stele del faraone Merenptah (1230 a.C.), il primo documento che cita il nome di Israele fra i popoli sconfitti dall’Egitto, l’archeologia smentisce la notizia dell’Esodo biblico, cioè di una migrazione ebraica dall’Egitto alla terra di Canaan, seguita da una conquista per infiltrazione o aggressione.
Pare invece che gli Ebrei, tribù dedite alla pastorizia e poi alla coltivazione di vino e olio, siano sempre stati lì, riconducibili a uno sviluppo interno. Un’altra stele egiziana poco più antica menziona una tribù di Raham, rivelando il significato di«Abraham» come il «padre dei Raham», e identificando Israele/Giacobbe in un suo discendente che diede il nome al popolo. La storia di re David, così come la racconta la Bibbia, è oggi ritenuta leggendaria. Il rapporto di amore esclusivo che lega il popolo di Israele a Yahweh si può confrontare con il legame fra il re e il popolo nei giuramenti di fedeltà assiri:«Non cercheremo alcun altro re o alcun altro signore per noi». Molti precetti biblici sono stati confrontati con altri codici legali, come quello babilonese di Hammurabi (1750 a.C.), gettando luce sulla koiné giuridica vicino-orientale.
La dichiarazione sulle offerte pronunciata durante la liturgia del pranzo pasquale, che costituisce la professione di fede ebraica, inizia con la frase«mio padre era un Arameo errante». Gli Aramei, regno formatosi intorno a casate di origine tribale, lasciano un segno duraturo con la loro lingua, che nell’impero neoassiro diventa un mezzo di comunicazione internazionale, dalla Persia all’Egitto, dalla Siria alla Battriana. Con essa si sviluppa un sistema alfabetico di 22 segni, che prende piede anche nei porti della Fenicia, seguendo le rotte commerciali. Grazie alla sua praticità e adattabilità espressiva, questo alfabeto è adottato da tutte le lingue semitiche dette«cananaiche», incluso l’ebraico, e servirà poi anche per costituire gli alfabeti greci, precursori di ogni sistema di scrittura in Europa.