Filosofia, un antidoto alla stupidità

Dalla «Repubblica» di Platone ai «Saggi» di Montaigne la parola d’ordine è contrastare l’assenza di riflessione

di Armando Torno ( Da “Corriere della Sera” 4/3/14)

Una frase si aggira guardinga e ben commentata in Internet. Porta la firma dello scrittore francese Jean Cocteau: «Il dramma della nostra epoca è che la stupidità si è messa a pensare». La sua fortuna cominciò quando — pensate un po’ all’ironia della sorte — un letterato reazionario amico di Céline, Robert Poulet, la commentò su una rivista che procurava gonfiore al fegato di coloro che si sentivano politicamente corretti, Rivarol . Ci aggiunse quale chiosa la seguente osservazione: «Non sarebbe niente se l’intelligenza non si fosse messa a rimbecillire». 

Poulet, cattolico e cittadino onorario della Vandea anche se dadaista, la utilizzò nei suoi libelli (in italiano Castelvecchi ha proposto recentemente Contro l’amore ). La frase ebbe una sua vita, indipendentemente dall’autore e dalle reazioni, finì nei repertori sulla stupidità. I quali, per ragioni che non è difficile comprendere, diventano sempre più voluminosi. Si potrebbe credere che Cocteau, per la battuta ricordata, sia stato ispirato da una conferenza di Robert Musil, tenuta a Vienna l’11 marzo 1937 (e ripetuta sei giorni dopo) su invito della Österreische Werkbund, il cui titolo era appunto Sulla stupidità . Notava il celebre scrittore austriaco: «La stupidità è fittamente intessuta con altro, senza che da qualche parte spunti il filo che sciolga la tessitura. Persino genialità e stupidità sono indissolubilmente legate. Ci si vieta di parlare molto solo per paura di passare per stupidi». Si era preparato a lungo per la bisogna e un amico gli aveva inviato persino il raro testo a stampa di un’altra conferenza, anch’essa avente come titolo Sulla stupidità , tenuta nel 1866 da Johann Eduard Erdman, allievo di Hegel. Studiò anche teologia a Berlino e infine diventò professore a Halle. 

Ora non vorremmo scrivere una bibliografia sull’argomento, anche perché le leggi fondamentali le ha ben messe in evidenza Carlo Maria Cipolla. Il sapido economista le affidò a un libello intitolato The Basic Laws of Human Stupidity (la prima tiratura è del 1976, offerta come regalo di Natale agli amici); quindi raccolse le sue mirabili osservazioni in italiano nel 1988 in Allegro ma non troppo (Il Mulino continua a ristampare l’operetta, tradotta in tredici lingue). Tra l’altro scrisse: «Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione»; e ancora: «Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Un preziosissimo corollario ammoniva: «Lo stupido è più pericoloso del bandito». Parole auree, che riprendono un monito di Nietzsche nel quale il celebre filosofo ricordava che è meglio cadere nelle mani di un assassino che nei progetti di talune persone. Certo, esagerava. Ma, come si suol dire, è bene tenerne conto: almeno dal punto di vista morale. Del resto, anche Wilde ne Il critico come artista notava: «There is no sin except stupidity», ovvero: «Non c’è peccato tranne la stupidità». 

Tutto questo discorso non desidera essere un commentario ai problemi della stupidità, giacché avremmo bisogno di ben altro spazio, ma semplicemente la segnalazione di un antidoto: la filosofia. Per carità, lo sappiamo, anche tra i pensatori ci sono degli stupidi ben riusciti (in genere si riconoscono dai titoli delle opere prodotte, che nemmeno loro riescono a spiegare), ma di certo tra i grandi del passato — quelli ben verificati dalla storia — il loro numero tende allo zero. Si prenda Michel de Montaigne, per esempio, con i suoi formidabili Essais . Stefan Zweig, che gli dedica una biografia tradotta in questi giorni da Castelvecchi, coglie da fine psicologo la forza presente nei ricordati Saggi : «In tutta la sua opera ho incontrato un’unica formula, un’unica affermazione categorica ripetuta costantemente: “La cosa più importante al mondo è essere se stessi”». Il magnifico francese mette a punto un sistema per vivere senza servire e, soprattutto, per evitare di cadere nelle trappole del mondo. Abbandona le cariche, rifiuta gli onori, si allontana dalla corte e dalle incombenze; si guarda bene dal partecipare a riunioni o dal frequentare salotti, decide di ritirarsi tra i libri, nella torre del suo castello. Persino gli incontri con sarti e parrucchieri li riduce all’osso, al minimo indispensabile. Assomiglia a Giona nel ventre della balena. Lì conversa, soprattutto in latino e greco, con gli spiriti sommi e si diverte a lanciare dalle finestre della sua biblioteca bombe cariche d’intelligenza sull’umanità. Le fa esplodere senza requie, incurante delle regole accademiche o delle convenzioni di guerra. E impara a ridere di se stesso e di tutti. Già, il riso: Bergson osserverà più tardi, forse con un aiutino di Aristotele, che il criminale è un uomo che ha smarrito il senso del comico. 

Platone organizzerà lo stato ideale nella sua Repubblica per sfuggire alla stupidità dei governi del mondo più che per concretizzare sulla terra un modello fissato nei cieli (si legga a proposito il finale del libro IX). Aveva forse capito con due millenni e qualche secolo di anticipo quanto Karl Kraus rivelò in Scrivere e leggere : «Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi». Per evitarne l’inventario e la complessa catalogazione politica, il filosofo greco si spinse sino a teorizzare per primo il comunismo. Purtroppo il suo rimase un modello adatto per pensare più che da attuare. Ma questo è il compito della filosofia: alzare le difese immunitarie contro la stupidità e, nel caso fossimo già stati contagiati, avvisarci dei pericoli che stiamo correndo o alimentando. 

Ne I demoni l’incomparabile Dostoevskij, per i russi più filosofo che scrittore, pone in bocca a Stepan Trofimovi un’altra osservazione da meditare: «Che cosa vi può essere di più stupido di un imbecille buono? Un imbecille cattivo, ma bonne amie . Un imbecille cattivo è ancora più stupido». Anche di questo occorre tenere conto. E i pensatori veri aiutano a riconoscere meglio di un capoclasse qualunque i buoni dai cattivi, due categorie che nell’era dell’eccessiva comunicazione si possono confondere facilmente. In particolare, essi continuano a prestarci alcuni strumenti utili per l’orientamento e per vivere senza considerare noi stessi criterio di verità assoluta. Perché anche la fede ha bisogno del dubbio. Immaginatevi la vita.

Un commento su “Filosofia, un antidoto alla stupidità”

  • Sono un’appassionata di filosofia platonica: condivido pienamente la filosofia come antidoto alla stupidità, ma aggiungo che per poter fare questo bisogna riscoprire la vera filosofia, quella che è teoria e prassi quotidiana come nel mondo greco, non pura astrazione.

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