#Facebook, stretta sulla #privacy. Zuckerberg annuncia nuove regole
(Il Sole 24 Ore, 29/3/18) Vito Lops
Facebook cambia strategia per evitare ulteriori danni d’immagine. Dopo le fortissime polemiche sull’uso improprio fatto dalla società di marketing Cambridge Analytica dei dati di oltre 50 milioni di utenti del social network, la community più popolosa del pianeta (oltre 2 miliardi di utenti attivi al mese) ha pubblicato nuove linee guida sulla privacy, che renderanno agli utenti più facile individuare e gestire le proprie informazioni e i dati personali che il social network ha raccolto su di loro.
Lo scandalo seguito alle rivelazioni su Cambridge Analitica (che secondo le accuse potrebbero aver influenzato il voto delle presidenziali Usa vinte da Donald Trump) sta mettendo a rischio la credibilità del social network e la fiducia degli utenti. Tra le novità ci sarà uno strumento (”Accedi alle tue informazioni”), per leggere i commenti lasciati e i post condivisi e cancellarli. Su mobile sarà più semplice accedere alla sezione privacy. A breve il colosso dovrebbe anche rendere più chiaro il modo in cui raccoglie i dati e li tratta.
La notizia è stata ben accolta. Dopo l’ennesima apertura turbolenta il titolo dell’azienda di Mark Zuckerberg ha girato in territorio positivo. In ogni caso il #Facebookgate non può dirsi concluso. Perché ora incombe la spada di Damocle della politica. Se dovesse regolamentare e ridurre gli spazi di autonomia è evidente che ci potrebbero essere delle ripercussioni sul giro d’affari. Ed ecco perché in questa fase gli investitori stanno alleggerendo, anche con una certa violenza, le posizioni. Dal 12 marzo (una settimana prima dello scoppio dello scandalo sul tema privacy e dati) Twitter ha perso il 21%, Netflix il 13%. Facebook il 18%, ovvero 75 miliardi di dollari. La stessa cifra in valore assoluto “bruciata” da Amazon (ieri -5%). Sul colosso guidato da Jeff Bazos pesano le parole di Trump secondo cui, stando a un rapporto di Axios, «sta uccidendo» il business dei grandi centri commerciali e dei negozi tradizionali e per questo dovrebbe pagare più tasse.
Sta di fatto che nel complesso il valore della Fang economy (un acronimo che comprende Facebook, Apple, Netflix e Google) è diminuito dal 12 marzo di 280 miliardi. La politica e una maggiore disciplina regolamentare e fiscale sui colossi hi-tech non sono l’unico fattore ribassista. Il secondo è legato a singole storie di autogol societari giunti con un tempismo da legge di Murphy. Tra queste storie c’è quella di Tesla, la società più famosa al mondo nel campo delle auto sportive elettriche. Il numero uno Elon Musk non ha fatto in tempo a criticare Facebook annunciando di essersi cancellato e invitando gli altri a fare altrettanto (seguendo l’hashtag #deleteFacebook) che uno scandalo ha colpito proprio la sua società, incapace di fornire spiegazioni sull’incidente fatale di venerdì scorso, nel quale è morto il conducente del Model X andata a fuoco dopo una collisione. Intanto l’agenzia di rating Moody’s ha abbassato il rating a “B3” da “B2” con outlook negativo a seguito dei ritardi nella produzione della berlina Model 3.
Cattive notizie anche da Apple che in due settimane ha perso il 7%, ovvero 64 miliardi di dollari. Goldman Sachs e Rbc hanno abbassato le stime di vendita dell’iPhone.
I mercati stanno quindi conteggiando vari indizi sul fatto che la “Fang economy” possa perdere parte del forte slancio che l’ha spinta nell’ultimo lustro. Indizi ovviamente non ancora presenti nell’ultimo dato sul Pil Usa, pubblicato ieri ma relativo al quarto trimestre del 2017, cresciuto (+2,9%) più delle attese (+2,7%).