#Etruschi

Le #parole #svelate

La #stele rinvenuta a Poggio Colla

di Silvia Bencivelli (Repubblica 4/4/16)

Ritrovata nel sito di Poggio Colla ( 20 km a nord-est di Firenze) dagli archeologi americani del Mugello Valley Archaeological Project, nelle mura di un antico tempio etrusco

La stele risale probabilmente al 500- 550 a. C.

Pesa circa duecento chili ed è alta poco più di un metro: la stele dissotterrata all’interno di un tempio sacro da un team di archeologi americani vicino a Firenze è stata paragonata a quella di Rosetta degli egizi. Il numero di vocaboli e i segni di punteggiatura ne fanno lo scritto più articolato mai ritrovato finora

Ecco perché con la sua scoperta potremmo riuscire a decifrare la cultura e la lingua di questo antico (e misterioso) popolo

È una stele di arenaria di più di duecento chili, alta un metro e qualcosa. Ed è una stele parlante etrusco. È emersa nel verde sito di Poggio Colla, una ventina di chilometri a nord est di Firenze, tra le mani degli archeologi americani del Mugello Valley Archaeological Project. Adesso, ventisei secoli dopo essere stata incisa e venerata, ventitré secoli dopo essere stata dimenticata e sepolta dalla terra, si spera che riacquisti la sua voce e che ci racconti qualcosa di nuovo sulla cultura e sulla lingua del suo popolo.

Questa stele, infatti, ha due caratteristiche interessanti: è incisa con i caratteri dell’alfabeto etrusco, ed è stata trovata all’interno degli scavi di un luogo sacro. Qualcuno, forzando un po’ la mano, l’ha paragonata alla stele di Rosetta degli antichi egizi grazie alla quale gli archeologi riuscirono a decifrare la scrittura geroglifica. Ma stavolta la situazione è diversa: in primo luogo, perché siamo nelle fondamenta di un tempio di 2500 anni fa. Poi, la stele è scritta in una lingua sola. Infine, perché, in realtà, nonostante il perdurante mito del “segreto degli etruschi”, sono già leggibili settanta, ottanta dei caratteri con cui è incisa, punteggiatura inclusa. La ragione per cui il rinvenimento è importante è dunque più sottile.

Come spiegano gli esperti, infatti, iscrizioni etrusche ne abbiamo tante: «circa tredici o quattordicimila e ogni anno se ne trovano due o trecento nuove», spiega Enrico Benelli, etruscologo del Cnr di Roma. Ma «anche se sono praticamente tutte leggibili, contengono un lessico limitato». Poche parole, cioè, sempre le stesse. «Perché provengono quasi sempre dalle necropoli o comunque contengono formule sempre uguali: qui giace Tizio figlio di Caio. Oppure: questo vaso è di Tizio». La ragione è principalmente una: «le iscrizioni delle tombe si sono conservate meglio, perché le tombe degli etruschi erano camere sotterranee. Mentre tutto ciò che è stato all’aperto è sopravvissuto peggio, o non è sopravvissuto affatto», prosegue Benelli. Questo non è un problema soltanto degli etruschi: la scrittura quotidiana dei popoli antichi si faceva su lino, papiro, tavolette cerate. E l’abbiamo persa quasi sempre.

Se per il greco e il latino questo non ci ha impedito di avere comunque un’approfondita conoscenza della lingua, la ragione è anche un’altra: «Greco e latino si sono continuati a usare, non sono mai state lingue morte. Mentre gli etruschi, molto probabilmente, non hanno fatto in tempo a produrre una propria letteratura». Non dovremmo stupirci visto che anche i romani hanno sviluppato la loro molto tardi, «quando già dominavano mezzo mondo, cioè più o meno nel terzo secolo avanti Cristo», precisa Benelli. Quello che invece gli etruschi avevano era una letteratura religiosa: veri e propri manuali che riguardavano l’arte dei fulmini e dell’aruspicina, cioè l’arte divinatoria basata sulla lettura delle viscere degli animali. «Ma a un certo punto è stato tutto tradotto in latino e, per leggere, non c’è stato più bisogno di imparare l’etrusco o di conservare gli originali».

Infine, esistono analoghi etruschi della stele di Rosetta, cioè testi bilingui che sono stati molto importanti all’inizio dello studio della lingua etrusca. Ma nemmeno loro ci hanno permesso di compilare un gran vocabolario. «Per esempio ci sono le famose lamine di Pyrgi, in etrusco e fenicio. Il problema è che non sono perfettamente bilingui perché non dicono esattamente le stesse cose nelle due lingue», prosegue Benelli.

La speranza è che la stele di Poggio Colla riveli un contenuto nuovo, perché è un reperto fatto di tante parole a differenza delle molte frasi laconiche che avevamo trovato finora. Non sarebbe il primo testo lungo scritto in lingua etrusca, ma si aggiungerebbe a una breve lista di reperti. Di questi il più importante è la cosiddetta mummia di Zagabria: un manuale rituale scritto su una lunga striscia di lino, che apparteneva a una comunità di etruschi residenti ad Alessandria d’Egitto. Il testo è arrivato fino a noi perché fu riciclato come benda per una mummia femminile di epoca tolemaica, e il clima secco del nord Africa ne ha permesso la conservazione. Il suo contenuto è stato letto per la prima volta nel 1892 e indica i riti da seguire giorno per giorno. Oggi la mummia è conservata a Zagabria, ma proprio in questo momento sia lei sia le lamine di Pyrgi sono esposte a Cortona, in provincia di Arezzo, in una mostra sulla scrittura etrusca organizzata da Museo del Louvre, Museo Henri Prades di Lattes, e Maec di Cortona. Quanto alla stele di Poggio Colla, adesso si trova all’Università del Massachusetts Amherst dove verrà ripuli- ta e presto letta dal più importante esperto americano di scrittura etrusca. Il suo destino sarà probabilmente un museo, come quello di Dicomano, che raccoglie gli altri reperti trovati dagli archeologi del Mugello Valley Archaeological Project.

In tutto questo, dunque, c’è ben poco di segreto: tra i popoli italici antichi gli etruschi sono probabilmente quelli che conosciamo meglio. Se siamo convinti dell’esistenza di un loro “mistero” è anche per una leggenda cominciata nel XV secolo quando il mistico francese Guillaume Postel attribuì agli etruschi (ma non soltanto) l’idea di una cultura alternativa, resistente a quella dominante, greco- romana. Leggenda poi propagatasi come tutte, a dispetto del lavoro degli archeologi e degli epigrafisti. Chissà se il rinvenimento di Poggio Colla ci aiuterà a metterci una stele sopra.

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